La medicina nell’antica Roma. Malattie e cure

La medicina dell’antica Roma era una branca del sapere molto sviluppata. Come vedremo, non solo i romani fronteggiavano diversi tipi di malattie, ma avevano una figura professionale, quella del medico, che conobbe una importante evoluzione, oltre a possedere tecniche curative basate su erbe ed interventi chirurgici per certi versi all’avanguardia.

Le malattie fondamentali: le infezioni

Sul fronte delle malattie che dominavano il mondo romano, il problema fondamentale erano le infezioni.

Conosciamo i romani come straordinari costruttori di acquedotti e ognuna di queste strutture aveva delle vasche di decantazione che permettevano di far riposare l’acqua, per depurarla prima di proseguire nel percorso verso i centri abitati.

Ma nonostante queste tecnologie, che per il tempo erano veramente all’avanguardia, la qualità dell’acqua che arrivava alle case non era minimamente paragonabile alla nostra.

I romani bevevano puntualmente un’acqua abbastanza torbida e moderatamente contaminata.

Discorso simile per il cibo. Le vivande non venivano trattate, come oggi, attraverso la famosa “catena del freddo”: il cibo veniva conservato sotto sale o sotto olio, ma senza certamente quegli standard di igiene a cui siamo abituati e senza una adeguata disinfezione dei contenitori.

I romani avevano inoltre una passione per le vivande molto fermentate, quasi marcite, come nel caso del garum, la loro salsa di pesce: elementi con un’altissima proliferazione batterica che peggiorava l’igiene generale dei loro pasti.

Il discorso non cambia per le condizioni igieniche delle città: deiezioni, sporcizia e spazzatura dominavano le strade, per cui l’organismo del romano medio era esposto ad ogni tipo di agenti patogeni.

Questi elementi determinavano un enorme quantità di batteri a cui i romani erano costantemente esposti: ecco perché avevano come principale problema di salute tutte le conseguenze delle infezioni.

Durante i secoli, i romani patirono così la peste, il tifo, il vaiolo ma anche raffreddori o influenze molto più pesanti e croniche rispetto a quelle che conosciamo.

Carenze vitaminiche e gotta

Le altre malattie della Roma antica, dipendevano dalla propria condizione sociale: i più poveri avevano un’alimentazione abbastanza inadeguata, motivo per cui erano piuttosto diffuse le carenze alimentari o vitaminiche, con tutti i problemi e le disfunzioni che ne potevano derivare.

Un grave problema che affliggeva molto spesso gli schiavi e coloro che facevano i lavori più umili erano i danni ai tendini, alle articolazioni, le fratture e l’artrosi.

Secondo degli studi recenti, i romani convivevano abitualmente con dei dolori che oggi riterremmo insopportabili, il che ci conferma che avevano una soglia del dolore molto superiore rispetto alla nostra.

I ceti benestanti invece, avevano un’alimentazione molto viziata, con diversi nutrienti non coerenti tra di loro e per questo soffrivano spesso di malattie metaboliche. Quella principale fu certamente la gotta, che faceva soffrire molti pazienti e per la quale c’erano alcune soluzioni ma certamente non definitive.

Il saturnismo, l’avvelenamento da piombo

Un problema di salute che fu davvero trasversale in tutta la popolazione romana era il cosiddetto “saturnismo“, cioè l’avvelenamento da piombo.

Il problema è che i romani utilizzavano il piombo nelle condutture degli acquedotti e nei paioli per cucinare, a ritmo continuo: si trattava di un rilascio ininterrotto di materiale cancerogeno su tutta la popolazione romana, la quale non sospettava minimamente degli effetti negativi di questa sostanza.

Il saturnismo fu sicuramente un problema che i romani soffrirono per tutta la loro storia, ma di cui non si resero mai definitivamente conto.

Il medico nel mondo romano

Evidente punto di riferimento per tutti i malati, era la figura del medico.

In tutto il periodo monarchico e repubblicano, il medico non era una figura professionale ben definita.

Abbondavano gli autodidatti che si ispiravano alla tradizione egizia e greca che si presentavano come professionisti privati che erogavano i loro servizi ai più ricchi.

Solamente i più abbienti potevano permettersi le cure e le consulenze di personale qualificato, mentre i più poveri si rivolgevano a degli esperti a metà tra i sacerdoti e i maghi.

A volte queste figure potevano condividere delle informazioni utili o delle buone pratiche mediche, ma spesso il loro ruolo sconfinava nella magia o in riti che in realtà erano più propiziatori che risolutivi.

Da Augusto, e per tutta l’età imperiale, la figura del medico diventa invece più professionale.

Vi erano dei luoghi, veri e propri ambulatori, dedicati all’esercizio della medicina con infermieri, sia uomini che donne, ed esperti qualificati che erogavano un servizio al pubblico.

Questi ambulatori erano disseminati sul territorio per servire la popolazione e di alcuni di questi vi sono tracce tutt’oggi. Nell’isola tiberina a Roma, vi era un tempio di grande tradizione, un centro di eccellenza conosciuto per le sue pratiche mediche (il tempio di Esculapio).

Oggi quell’area è occupata dal Fatebenefratelli, ancora oggi un presidio medico importante e all’avanguardia.

Cure e rimedi: le piante

I romani curavano la gran parte delle loro malattie attraverso l’utilizzo delle piante, da cui ricavavano i principi attivi che costituivano la base della loro medicina.

Ogni pianta aveva un effetto che nel corso del tempo i medici romani avevano collegato al trattamento di una particolare patologia. Alcuni esempi:

  • I fichi secchi utilizzati per curare la tonsillite
  • Il decotto di melograno contro le congiuntiviti, dal momento che si riteneva avesse una funzione disinfettante
  • Lo sterco d’asino impastato con l’aceto, certamente non molto gradevole da applicare, ma utilizzato regolarmente per le ferite.
  • La farina d’orzo, impiegata per accelerare la guarigione e la cicatrizzazione
  • Il cavolo: una sorta di panacea per tutti i mali, aveva moltissime proprietà e poteva essere combinato con diversi altri alimenti o piante. Curava dall’indigestione fino all’insonnia, dai dolori articolari alla stipsi e in generale era considerato un ricostituente per gli anziani.
  • I funghi: i romani avevano intuito che esistevano degli elementi in grado di sconfiggere le infezioni e probabilmente avevano immaginato la presenza di piccoli corpuscoli, i batteri, che andavano combattuti. I funghi possono essere comodamente considerati come degli antibiotici o antisettici dell’epoca.

Gli interventi chirurgici nella Roma antica

Un altro campo in cui i romani eccellevano, era quello degli interventi chirurgici: il primo fondamentale e più importante era quello di aggiustare e sistemare le ossa.

Le slogature, le fratture, anche molto gravi, erano trattate quotidianamente. E nel corso dei secoli, i medici romani hanno dimostrato una grande capacità nel curare le ossa rotte, nello steccare un braccio o una gamba e nell’eseguire aggiusti manuali.

Ancora, erano soliti curare le emorroidi, anche quello un problema abbastanza diffuso, di eseguire estrazioni dei denti, e alcune fonti ci parlano addirittura di piccoli interventi al cranio per curare le commozioni cerebrali.

Gli interventi chirurgici erano estremamente pericolosi e dolorosi, in quanto esistevano solo alcuni blandi anestetici certamente non paragonabili alle sostanze di cui disponiamo oggi.

I metodi anticoncezionali

Non si tratta di una malattia, ma è una curiosità spesso collegata: quali erano i metodi anticoncezionali?

In tutto il mondo romano il sesso era estremamente diffuso, in quanto le prostitute costavano pochissimo: esistevano persino degli appositi gettoni per acquistare una prestazione sessuale.

Una così vasta diffusione di rapporti continui necessitava di metodi anticoncezionali su vasta scala.

Gli uomini concepivano già l’utilizzo di una specie di preservativo: ai tempi veniva realizzato prevalentemente con il budello di alcuni animali, che veniva tagliato e debitamente adattato alle misure umane, con cui cercavano di prevenire l’inseminazione.

Le donne utilizzavano un meccanismo diverso: il metodo anticoncezionale femminile era basato su piccoli gomitoli di lana impregnati di grasso, in modo che non facessero passare alcun liquido, delicatamente inseriti nella loro zona intima, per evitare che gli spermatozoi potessero fecondare.

Nell’antica Roma esistevano poi gli aborti. Si praticavano con dei bagni bollenti, con dei movimenti fisici molto violenti o con dei salassi: tutte tecniche piuttosto brutali che miravano a ottenere l’interruzione di gravidanza.

Ovviamente era una pratica altamente rischiosa, che spesso provocava la morte anche della madre, per cui si può considerare un trattamento estremo e utilizzato in una ristretta cerchia di casi.

E’ stato testimoniato anche l’utilizzo del parto cesareo. Questo è oggi un metodo che si impiega in emergenza, o in altri casi per evitare stanchezza e inutile sofferenza alla madre.

In realtà i romani non adoperavano il parto cesareo per comodità: nella stragrande maggioranza dei casi questa tecnica veniva scelta quando la madre era già morta, come tentativo disperato di salvare il bambino.