Le riforme di Tiberio e Gaio Gracco

Le riforme di Tiberio e Caio Gracco, furono una serie di provvedimenti che i due fratelli della fazione politica dei Populares, cercarono di far approvare dal Senato per redistribuire le terre ai cittadini romani, e porre delle soluzioni definitive a una situazione sociale particolarmente problematica e alla scarsità di rendite agricole.

Le loro riforme andarono tuttavia a toccare forti interessi terrieri, ed entrambi i fratelli furono assassinati dalla violenza dilagante nella politica romana di quel tempo, che già aveva in sé i germi della guerra civile.

Vita e carriera di Tiberio Gracco

Tiberio Gracco, nipote di quello Scipione Africano che aveva vinto Annibale a Zama e figlio del Gracco “Senior” che aveva conquistato i guerrieri spagnoli Celtiberi, aveva prestato servizio come questore e si era più volte impegnato in importanti azioni diplomatiche.

In particolare aveva servito nell’esercito di Gaio Ostilio Mancino e aveva contrattato, grazie al prestigio del suo nome, una pace con il nemico. Ma quando il Senato, su mozione di suo cugino Scipione Emiliano, rinunciò alla pace, Tiberio comprese di essere stato messo politicamente in minoranza e si unì a un gruppo di anziani senatori ostili al programma di governo di Emiliano e alle sue riforme.

Eletto tribuno nel 133, in assenza di Scipione Emiliano perché impegnato in campagne militari, Tiberio tentò di trovare una soluzione alla crisi sociale e militare.

Tiberio non aveva intenzione di abolire la proprietà privata, ma mirava semplicemente a far rispettare un limite legale all’occupazione dei terreni pubblici, che già esisteva ed era fissato a 500 iugera, (309 Acri), ma che fino a quel momento era stato ampiamente ignorato.

In questo modo, Tiberio mirava a recuperare una grande quantità di terreni da redistribuire a nuovi cittadini, che avrebbero avuto la possibilità di condurre una vita migliore e di far ripartire il settore agrario della società romana.

La guerra e la rivolta degli schiavi in Sicilia, che da diversi anni imperversava e minacciava di estendersi in tutta la penisola italica, aveva già sottolineato quanto fosse pericoloso impiegare una gran numero di schiavi sul territorio e aveva già ampiamente dimostrato la necessità di una riforma e di un aumento della manodopera qualificata.

La proposta di Tiberio incontrò, tuttavia, una forte opposizione nel Senato, composto prevalentemente da grandi proprietari terrieri che non volevano rinunciare a una parte dei loro possedimenti.

Consigliato da alcuni suoi sostenitori, Tiberio “saltò” il Senato e propose la sua legge direttamente alle assemblee popolari. Una mossa che gli fece trovare rapidamente un ampio sostegno presso le fasce più deboli della popolazione.

La reazione dei suoi avversari politici e dei proprietari terrieri fu però quella di utilizzare un altro tribuno, Marco Ottavio, per porre il veto al disegno di legge di Tiberio, e bloccare l’approvazione del provvedimento.

Tiberio lanciò così un appello al Senato per dirimere la questione, ma i senatori non erano disposti a intervenire né Ottavio a rinegoziare il suo veto. Nonostante questo ostruzionismo fosse tecnicamente permesso dalle leggi romane, a livello politico si trattava di una violenza che sfiorava l’incostituzionalità.

Tiberio fu quindi costretto a far approvare un disegno di legge decisamente ridimensionato rispetto alla proposta iniziale, ma nonostante ciò, era riuscito a istituire una commissione per la redistribuzione dei terreni agricoli.

Prevedendo il tentativo di boicottaggio da parte dei suoi avversari politici, Tiberio fece nominare se stesso, suo suocero e suo fratello Gaio, come membri della Commissione, con il potere di determinare i confini del suolo pubblico, confiscare i terreni in eccesso e dividerli in lotti inalienabili tra i cittadini.

Anche se pesantemente ridimensionata dagli avversari, la riforma di Tiberio sembrava procedere di buon passo. Ma un fatto inaspettato complicò la situazione.

Alcuni messaggeri avvisarono il Senato romano che Attalo III, re del regno di Pergamo, era morto e, da disposizioni testamentarie, aveva donato il suo regno al popolo romano. Questa decisione derivava dal fatto che Attalo apparteneva alle clientele di Tiberio, e i suoi avversari politici approfittarono dell’occasione per accusare Tiberio di mirare a una tirannia personale.

Tiberio venne dipinto come un aspirante monarca ellenistico, che desiderava conquistare un potere al di fuori dalle leggi, per ottenere terreni nelle province e per scavalcare le istituzioni repubblicane.

Le accuse si fecero ogni giorno più pesanti, e Tiberio, temendo di essere messo sotto processo non appena fosse terminata la sua carica di tribuno, ricorse all’appello di un secondo tribunale speciale, un atto senza precedenti, che rafforzò inevitabilmente i timori di tirannia da parte di una importante fetta dei senatori. Ora, la gran parte della politica romana era ostile a Tiberio.

Il tragico epilogo si consumò durante le successive elezioni per scegliere i futuri magistrati: Tiberio si candidò nuovamente al tribunato della plebe, ma, tacciato sistematicamente dell’accusa di tirannia, fu circondato da una folla di violenti.

Quando il pontefice massimo, Publio Scipione Nasica, guidò un certo numero di sostenitori e dei loro clienti nel foro di Roma, Tiberio fu coinvolto in una rissa, dove perse la vita.

Si tratta di uno dei momenti più tragici della storia politica Romana. L’omicidio politico e il martirio di una figura inviolabile come il tribuno della plebe, furono sdoganati ufficialmente.

Nonostante la morte di Tiberio, la commissione fondiaria per la redistribuzione delle terre fu autorizzata a continuare il suo lavoro. Nel 129 a.C, la terra detenuta dai cittadini Romani iniziò a scarseggiare seriamente e la legge di Tiberio Gracco fu sfruttata per l’esproprio di alcuni terreni pubblici, i quali erano detenuti da comunità d’italici.

Quando i cittadini italici cominciarono a protestare, il Senato accolse, su mozione di Scipione Emiliano, l’eterno nemico di Tiberio, la proposta di trasferire dalla Commissione direttamente al console le decisioni riguardanti l’assegnazione di terreni sul territorio.

Questa mossa, esautorò pesantemente le attività della commissione voluta da Tiberio, minando alle fondamenta l’intero progetto.

Un ultimo tentativo di far funzionare la riforma di Tiberio appartiene al presidente della commissione e console del 125, Marco Fulvio Flacco, che cercò di trovare un compromesso con gli italici, offrendogli la cittadinanza romana in cambio della consegna dei loro possedimenti, secondo la legge di Tiberio Gracco. Allarmati dalla mediazione di Flacco, che stava facendo ripartire le attività della commissione, i senatori lo incaricarono di condurre una guerra nel sud dell’attuale Francia, togliendo di mezzo un pericoloso avversario politico.

Fu così che il disegno di legge di Tiberio Gracco si concluse in un nulla di fatto, attraverso l’ostruzionismo politico e la violenza organizzata.

Le riforme di Caio Gracco

Un secondo tentativo di recuperare e ampliare le riforme di Tiberio, venne portato avanti dal fratello minore, Gaio Gracco.

Gaio aveva lavorato nella commissione fondiaria ideata dal fratello e aveva sostenuto il piano di Flacco. Nel 123, Gaio riuscì a diventare tribuno della plebe con un buon numero di voti ed ebbe una seconda occasione per riformare la proprietà terriera.

Le riforme si basavano su due capisaldi principali. Il primo era quello di aumentare il gettito fiscale in maniera più equa per la popolazione.

Gaio prevedeva di posizionare i cosiddetti pubblicani, dei funzionari incaricati alla riscossione delle tasse, nei territori dell’Asia e in particolare nelle terre donate a Roma da Attalo, il che avrebbe permesso un sensibile aumento del gettito fiscale senza gravare sui cittadini italici.

La seconda misura mirava a fornire maggiori diritti al ceto degli Equites, i piccoli imprenditori romani, elevandoli a una posizione dalla quale, anche se non prendevano concretamente parte all’emanazione delle leggi, avrebbero potuto esercitare un controllo sull’amministrazione dei senatori.

Per ridurre la corruzione e aumentare l’efficienza dei senatori, Gaio aveva in mente di attribuire il potere a personaggi eminenti della classe dei Cavalieri di mettere sotto esame i membri del Senato che avevano dimostrato inefficienza. Questi sarebbero stati giudicati da dei Tribunali, i quali avrebbero potuto comminare delle multe salate.

Immediatamente le riforme di Gaio Gracco vennero osteggiate dai nemici politici e nel corso del 122 i cittadini Romani vennero convinti da una feroce propaganda senatoria, che le riforme di Gaio avrebbero danneggiato i loro interessi. Questa campagna elettorale diffamatoria nei confronti del tribuno impedì a Gaio di essere rieletto l’anno successivo.

Nonostante l’iniziativa di Gaio e di Flacco di agire da privati cittadini per opporsi alla cancellazione della legge di Tiberio e per rilanciare le loro misure, nel 121 a.C, dei facinorosi assoldati dai senatori scatenarono nuove risse, durante le quali anche Gaio perse la vita.

Durante gli anni successivi, ulteriori misure a favore della popolazione vennero sistematicamente abolite, mentre i privilegi dei senatori non vennero più toccati da alcuna altra proposta di legge.

In altre parole, la società romana fallì nell’eseguire una serie di riforme che erano invece fondamentali per far ripartire il settore agrario e tutta l’economia romana.

Gli unici, attraverso l’uso della forza, a poter nuovamente mettere mano alla produzione agraria, saranno, molto più tardi, Giulio Cesare e Ottaviano Augusto.

Articolo originale: The Brothers Gracchi: The Tribunates of Tiberius & Gaius Gracchus di (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Andrea Finzi