Se si fa una visita all’interno del museo civico Giovanni Marongiu di Cabras, oltre ad ammirare alcune delle enormi e meravigliose statue preistoriche dei Giganti di Mont’è Prama, oppure i resti del tofet fenicio punico di Tharros, si possono vedere i reperti di una nave romana, precisamente un mercantile, naufragato in epoca repubblicana nelle coste sarde, nei pressi dell’isola di Mal di Ventre.
Va precisato che il nome dell’isola, come per molti elementi della toponomastica Sarda, è una traduzione errata, perché il nome originale era “Malu entu”, che tradotto dal sardo significa “cattivo vento”, associato molto probabilmente al fatto che in quel tratto di mare a causa del vento di maestrale si formano delle tempeste notevoli; ciò nonostante venne tradotto erroneamente in italiano con mal di ventre.
La nave romana che affondò nei pressi di quest’isola, o meglio i suoi resti, vennero trovati per casualità da un subacqueo che nel 1988 faceva un’immersione nelle acque cristalline della penisola del Sinis, trovando ad una profondità di 30 metri il relitto.
Gli scavi subacquei, fatti tra il 1989 e il 1996 per conto della Sovraintendenza Archeologica di Cagliari e Oristano, riportarono alla luce una nave mercantile di epoca repubblicana che era affondata ipoteticamente l’89 e il 50 a.C.
Questa datazione viene ipotizzata grazie ad una moneta e allo studio dei materiali trovati al suo interno, ossia dei lingotti di piombo che portano il marchio di due fabbri ispanici che li produssero, Caio e Marco della famiglia dei Pontilieni. In tutto sono stati riportati alla luce più di mille lingotti dalla forma trapezoidale e dal peso di circa 33 kl ciascuno.
Ci sono però altri lingotti che portano i nomi di altri produttori ispanici, tra cui Quinto Appio e Lucio Carulio Hispalo. Ci sono diverse ipotesi sulla causa del naufragio, si pensa infatti ad un attacco di pirati, un incendio o uno scontro con gli scogli, ma l’ipotesi più plausibile trova la causa nei numerosi lingotti; è molto più probabile infatti che a causa di una forte tempesta causata dai venti di maestrale, il carico si sia spostato verso sbilanciando il peso della nave e facendola colare a picco nelle profondità del mar di Sardegna.
Bisogna tener presente che oltre al carico, che fa dedurre come questa fosse un mercantile, sono stati rinvenuti diversi oggetti che fanno comprendere come poteva essere la vita di bordo dei marinai romani.
Sono state rinvenute infatti numerose anfore che contenevano le riserve alimentari e i liquidi utili alla sopravvivenza del personale marittimo durante la tratta navale; analizzando le anfore rinvenute, gli studiosi hanno compreso che queste contenevano acqua, vino ma anche la famosa salsa con cui i romani condivano ogni cibo, il garum.
Un’anfora è stata analizzata e al suo interno sono stati trovati i resti delle lische di pesci che erano l’ingrediente base per la creazione di questa salsa con la quale i romani accompagnavano qualsiasi cibo. Oltre alle anfore utili a contenere i liquidi indispensabili ai marinai per la sopravvivenza durante il viaggio, sono stati trovati utensili di ceramica utili alla vita di bordo, come il pentolame o le ciotole per poter contenere il cibo.
Oltre a questi oggetti, sono state riportate in superfice quattro ancore di piombo con decorazioni a forma di delfino, una macina, una lucerna, una daga di ferro, numerosi proiettili di piombo, degli ancorotti, quattro astragali contrapposti e un’infinità di chiodi che costituivano lo scafo ma anche la riserva per le eventuali riparazioni.
Mentre questi oggetti hanno visto la luce e sono custoditi nel museo, lo scafo ligneo giace nelle profondità del mare, dicendoci che proveniva dalla provincia ispanica, senza però svelarci la sua destinazione alla quale non è mai giunto.