Publio Ventidio Basso fu politico e generale della Repubblica di Roma: originario della zona del Piceno fu uno dei principali generali agli ordini di Marco Antonio e sfoderò delle qualità militari di primissimo livello, sia durante la guerra civile contro Ottaviano in occasione della guerra di Modena ma soprattutto durante la campagna contro l’impero dei Parti che si tenne dal 39 al 38 a.C.
Nel corso di questa campagna Publio Ventidio fu in grado di infliggere una pesante sconfitta ai Parti che andò a vendicare la disfatta di Carrè del 53 a.C. : la vendetta cadde esattamente nell’anniversario della sconfitta, costituendo una delle più importanti e significative rivincite dell’Impero Romano in Oriente.
Publio Ventidio Basso era originario della zona del Piceno: un cittadino di Ascoli che nacque con la cittadinanza romana e fu figlio della comandante omonimo Publio Ventidio Basso. Le sue origini sono piuttosto modeste e oscure: alcuni suoi antenati potrebbero risalire addirittura ai tempi della guerra sociale.
Secondo le fonti latine venne catturato dopo la distruzione da parte dei romani di Ascoli Piceno e dovette subire l’umiliazione di sfilare assieme alla madre durante il trionfo di Pompeo Strabone nell’89 a.C.: la sua infanzia e la sua giovinezza furono dominate dalla povertà e dall’impossibilità di accedere ad una serie di studi, che gli consentirono di raggiungere quindi una educazione appena sufficente.
Fece diversi lavori, come quello del mulattiere nelle stalle, e si dedicò ad attività di fatica per gran parte della sua adolescenza: tuttavia con impegno e determinazione Ventidio Basso riuscì a raggiungere una buona stabilità economica. La sua fortuna fu certamente rappresentata dall’amicizia con Giulio Cesare il quale, nella sua ascesa politica, aveva grande bisogno di giovani e promettenti politici e generali.
Cesare prese in simpatia Ventidio e lo arruolò nell’esercito che condusse durante la conquista della Gallia: l’uomo giorno dopo giorno fu in grado di guadagnarsi l’ammirazione di Cesare come comandante sul campo di battaglia e rimase fedele al suo generale anche durante le guerre civili contro Pompeo.
Durante questo periodo e dopo la vittoria di Cesare fu in grado di arrivare al rango senatorio: un obiettivo che sembrava impensabile per la sua famiglia. Fu anche nominato tribuno della plebe e quindi personaggio importante e inviolabile secondo le leggi romane: secondo Aulo Gellio fu in grado di compiere rapidamente il cursus honorum, raggiungendo la carica di pretore, di pontefice e infine di console.
Certamente il ricordo delle sue umili origini fu utilizzato dagli avversari politici nel corso di tutta la sua carriera: soprattutto Cicerone, avversario politico, lo apostrofo più volte come mulattiere militare addetto ai rifornimenti e anche una parte del popolo romano non accettava di buon grado il fatto che un magistrato così importante derivasse da un passato così poco nobile. Spesso si registravano delle scritte sui muri che lo prendevano in giro.
Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco Antonio lo tenne in buona considerazione, nominandolo console suffetto o sostitutivo nel 43 a.C. ma una volta che Antonio partì per l’Egitto nel 41 a.C. per gestire le province orientali che gli erano state assegnate, Ventidio non si dimostrò particolarmente riconoscente: e infatti non partecipò ai tentativi del fratello di Marco Antonio, Lucio Antonio e di sua moglie Fulvia di mettere in difficoltà Ottaviano, l’avversario politico di Antonio durante tutta la seconda guerra civile.
Marco Antonio però dimostrò di non avere particolari recriminazioni nei confronti di Ventidio tanto che nel 39 a.C, mentre era impegnato in grandi campagne militari in Oriente, lo chiamò per affrontare i Parti. Ventidio si mise subito in marcia verso l’Oriente per affrontare sia i nemici politici di Marco Antonio che la popolazione orientale dei Parti: percorse rapidamente l’Asia romana e riuscì a battere presso il Monte Tauro sia l’avversario Quinto Labieno che un primo contingente di Parti, dimostrando di aver capito perfettamente come sconfiggere quella popolazione orientale.
Dopo aver ottenuto un primo successo, Ventidio Basso inviò il suo comandante di cavalleria Pomponio Osidio fino al passo del Mons Amanus, una zona che separava le province di Cilicia dalla Siria per una ricognizione e soprattutto per attaccare un contingente nemico.
Ma i Parti, guidati in quell’occasione dal Generale frana Pat e agli ordini di Pacoro Primo si accorsero della presenza della Cavalleria romana e la misero rapidamente in difficoltà: Ventidio fu costretto ad intervenire il più rapidamente possibile per evitare una strage totale.
L’intervento di Ventidio fu risolutivo in quanto fu perfettamente in grado di sconfiggere i Parti. Negli anni successivi riuscì a ottenere il controllo della Siria e della Palestina: due zone di importanza strategica che erano recentemente state sottratte ai Romani dalle incursioni dei Parti.
Nonostante questo, soprattutto per i nemici politici che continuavano ad inneggiare contro di lui, non riuscì ad ottenere un riconoscimento ufficiale da parte del Senato e non gli fu tributato il trionfo come avrebbe invece meritato. Il culmine della carriera politica di Ventidio Basso si ebbe tuttavia con la battaglia del Monte Tindaro: l’uomo si trovò faccia a faccia con l’esercito dei Parti guidati da Pagoro Primo nella zona del Gindara, 50 km ad est dell’antica città di Antiochia.
Ventidio dimostrò una grande intelligenza militare: si accampò sulle pendici del Monte Gindaro, dando l’impressione di trovarsi in una situazione di debolezza e permise all’esercito avversario di superare indisturbato il fiume Eufrate: Pacoro credette di essere in superiorità numerica e disse i suoi arcieri a cavallo di percorrere in salita la collina per attaccare i legionari romani, i quali contrattaccarono con particolare efficacia e riuscirono a metterli in fuga.
Ventidio richiamò al momento giusto I legionari e mandò avanti i frombolieri che, con i loro strumenti, misero sotto tiro di frecce, giavellotti e pietre l’esercito catafratto avversario, infliggendogli gravissime perdite e ferendo in maniera importante Pacoro nella sortita finale. I legionari di Ventidio furono in grado di annientare la resistenza dei parti fino ad uccidere Pacoro: gli avversari furono costretti a ritirarsi oltre il fiume Eufrate e dovettero rinunciare definitivamente al controllo delle sponde del mar Mediterraneo.
Questa volta Roma celebrò meritatamente il trionfo di Ventidio, soddisfatta sia per le ripetute vittorie ma soprattutto per la vendetta che si era consumata straordinariamente il 9 giugno del 38 a.C. esattamente il giorno dell’anniversario della sconfitta di Carre, avvenuta nel 53 a.C.
Sia per una sua evidente carenza politica ma probabilmente anche per il peso della vecchiaia, Ventidio scelse di ritirarsi a vita privata senza cercare ulteriore gloria. La sua morte, avvenuta in un giorno che non è stato possibile ricostruire con certezza, venne accolta da tutta la popolazione romana con grande dolore e venne istituito un funerale pubblico.
Il principale studioso di Ventidio Basso, Sebastiano Andrea Antonelli, conclude le sue opere con l’immagine suggestiva di Ventidio che trionfa proprio in quella Roma che da piccolino lo aveva schiavizzato e incatenato e umiliato: un esempio perfetto di integrazione romana ma soprattutto della possibilità di riscattare la propria condizione sociale e di ottenere la gloria tramite vittoriose campagne militari.
Il ricordo di Ventidio Basso è presente nella sua città natale, Ascoli Piceno, dove esisteva una sua statua con iscrizioni a lui dedicate e dove oggi l’amministrazione comunale gli ha intitolato un teatro e una piazza nel centro storico.