Portus: il porto di Roma antica che fece grande l’impero

A cura di: Fabio Saverio Gatto

Vi siete mai chiesti quante volte un passeggero di una qualsiasi compagnia aerea si sia trovato a transitare o anche solo a sorvolare uno degli aeroporti più trafficati d’Europa? Probabilmente almeno una volta nella vita!

Fiumicino, l’aeroporto principale di Roma, è una delle strutture aeroportuali più importanti d’Italia, se non addirittura la più grande. Non c’è dubbio: il compito di un’infrastruttura simile è quello di alimentare l’economia di una città e di un intero Paese, sostenendo un flusso continuo di pendolari, turisti e, soprattutto, di merci.

A questo punto potreste chiedervi: “E che c’entra questo aeroporto con la storia di Roma, la città eterna?”

Ebbene, sebbene abbiano scopi molto diversi, c’è qualcosa che li accomuna: oltre alla radice del nome – “porto” – condividono il luogo e la funzione di punto nevralgico per i trasporti.

Portus: il porto che cambiò la storia di Roma

A circa venti miglia a sud-ovest di Roma, immerso nella campagna romana e a poca distanza dall’attuale aeroporto di Fiumicino, si nasconde quello che, con buona ragione, può essere considerato uno dei più grandi capolavori dell’ingegneria dell’antica Roma: Portus.

Oggi, purtroppo, il porto è quasi interamente insabbiato, ma al culmine del suo splendore era il principale snodo marittimo della città eterna, accogliendo ogni anno migliaia di navi, proprio come l’aeroporto accoglie oggi milioni di passeggeri e merci.

Portus era il cuore pulsante della logistica romana: qui si importavano, stoccavano e distribuivano beni essenziali, soprattutto il grano, risorsa vitale per mantenere stabile l’economia e la vita quotidiana di Roma e del suo vasto impero.

L’archeologo Simon Keay riassume bene l’importanza del sito affermando: “Perché Roma potesse funzionare a pieno regime, Portus doveva funzionare a pieno regime” e aggiunge: “Le sorti della città sono indissolubilmente legate a quelle del porto. È difficile sopravvalutarne l’importanza.”

Sin dai suoi albori, Roma avvertì l’esigenza di dotarsi di un porto efficiente in acque profonde, e Portus rappresentò la soluzione più grandiosa, realizzata grazie all’ingegno e alla tenacia dei Romani, che scavarono direttamente nel terreno per costruirlo.

Per lungo tempo il sito non ha ricevuto la giusta attenzione da parte degli archeologi, ma negli ultimi quindici anni è finalmente diventato il fulcro di un ambizioso progetto di ricerca, volto a riscoprire non solo l’imponenza di Portus, ma anche il suo stretto legame con Roma e il ruolo cruciale che ebbe come nodo nevralgico del sistema portuale mediterraneo.

Attualmente, il Portus Project è diretto da Simon Keay, docente dell’Università di Southampton, che guida il progetto ormai da cinque anni. Tuttavia, Keay conduce ricerche sul campo nell’area fin dalla fine degli anni ’90, collaborando con un team internazionale che si occupa di studiare le origini del porto – risalenti al I secolo d.C. – la sua crescita come principale hub commerciale di Roma e le complesse interazioni tra il porto, la città e il Mediterraneo romano.

Una delle principali difficoltà affrontate dal team di ricerca riguarda non solo l’enorme estensione del sito, ma anche la sua straordinaria complessità. Portus, infatti, non era solo un semplice porto, ma una vera e propria cittadella dotata di tutte le infrastrutture necessarie: due grandi bacini artificiali, templi, edifici amministrativi, magazzini, canali e una rete stradale ben sviluppata. L’obiettivo degli archeologi è quello di decifrare il funzionamento dell’intero complesso studiando un’area chiave situata al centro del porto, che potrebbe offrire indizi cruciali sulla sua organizzazione e operatività.

Le ricerche condotte finora ci mostrano come la realizzazione di Portus sia stata fondamentale per consentire a Roma di evolversi nella potenza che oggi conosciamo.

Ma cosa spinse i Romani a dedicare risorse e ingenti somme di denaro alla costruzione di un’opera così imponente?

All’alba del I secolo d.C., poco prima della costruzione di Portus, il dominio di Roma si estendeva dalla penisola iberica al Vicino Oriente, inglobando tutte le terre costiere che si affacciavano sul Mar Mediterraneo. Per i Romani, il Mediterraneo era così fondamentale da essere soprannominato Mare Nostrum, ovvero “il nostro mare”.

Tuttavia, la posizione geografica di Roma rappresentava un ostacolo importante: trovandosi a quasi venti miglia nell’entroterra, la città mancava di un porto marittimo adeguato nelle immediate vicinanze, un problema che aveva già causato disagi e difficoltà nel corso del millennio precedente. La crescita di Roma, infatti, era strettamente legata alla sua capacità di inserirsi nelle reti commerciali italiane e mediterranee in continua espansione.

Con l’aumentare del territorio e della popolazione, Roma si trovò sempre più dipendente dalle risorse esterne per mantenere il suo fabbisogno alimentare. Il paradosso, però, era evidente: la grandezza e il potenziale della città sembravano sempre strettamente legati – e al tempo stesso limitati – dalle sue capacità portuali.

Da Ostia a Puteoli: le soluzioni provvisorie per un impero in espansione

Durante la prima metà del I millennio a.C., il primo insediamento romano si serviva di un piccolo porto fluviale naturale situato ai piedi dei colli Capitolino, Palatino e Aventino. Conosciuto come Forum Boarium e Portus Tiberinus, questo porto si trovava all’incrocio di due antiche rotte commerciali italiche, diventando fin da subito un punto nevralgico per l’approvvigionamento, la comunicazione e la redistribuzione delle merci. I reperti archeologici rinvenuti in quest’area, tra i più antichi mai scoperti a Roma, rivelano che già in questa fase iniziale la città intratteneva scambi con viaggiatori stranieri e importava beni da tutto il Mediterraneo.

Entro il IV secolo a.C., però, Roma si espanse oltre il sito originario dei sette colli, estendendo il suo controllo sull’Italia centrale e superando così i limiti operativi del piccolo porto fluviale. Sebbene il Tevere collegasse la città al mare, il fiume non era navigabile in sicurezza da grandi imbarcazioni o navi marittime, rendendo necessario lo sviluppo di una soluzione portuale più efficiente.

Nel 386 a.C., Roma cercò di risolvere il problema fondando la colonia di Ostia presso la foce del Tevere, a circa venti miglia dalla città. L’obiettivo era duplice: garantire un approvvigionamento più efficiente di grano e altri beni essenziali per una popolazione in rapida crescita e migliorare i collegamenti con il Mediterraneo. 

Nel corso del tempo, Ostia divenne una città di grande importanza e svolse un ruolo chiave nel sistema portuale dell’epoca imperiale. Tuttavia, non fu mai sufficiente come unico porto di Roma. Nonostante la sua vicinanza al mare, presentava alcune limitazioni geografiche che ne ostacolavano l’efficienza. Come sottolinea Simon Keay: “Ostia non poteva gestire un numero massiccio di navi. È un porto fluviale, e il fiume stesso non è adatto: straripa, la foce è pericolosa e il fondale non è abbastanza profondo.

Insomma, la mancanza di un porto marittimo in acque profonde continuava a limitare Roma, spingendo i Romani a volgere lo sguardo verso sud. Entro il II secolo a.C., la Repubblica Romana controllava gran parte della penisola italiana, oltre a territori in Iberia, Grecia e Nord Africa. Le navi romane erano diventate più grandi e capaci di navigare su rotte più lunghe e con maggiore frequenza. Tuttavia, il vecchio sistema portuale, basato sul porto fluviale di Roma, il Portus Tiberinus, e sul porto di Ostia, non era più sufficiente a sostenere una rete commerciale ormai estesa a tutto il Mediterraneo.

La ricerca di una soluzione portò alla fondazione di Puteoli (l’attuale Pozzuoli), nel golfo di Napoli, che divenne il primo grande porto naturale marittimo dei Romani. Finalmente, la Repubblica disponeva di una struttura in grado di accogliere navi di qualsiasi dimensione e di gestire un traffico commerciale in continua crescita. Per oltre duecento anni, Puteoli fu il principale porto della Repubblica Romana.

Tuttavia, nel tempo emersero delle criticità: il più grande porto commerciale di Roma si trovava a oltre cento miglia di distanza dalla capitale. Le merci trasportate da grandi navi dovevano essere scaricate nel golfo di Napoli e poi trasferite a Roma via terra, oppure caricate su imbarcazioni più piccole che percorrevano la costa fino a Ostia, affrontando un viaggio di tre giorni. Come spiega Simon Keay: “I Romani se ne resero conto e iniziarono a considerare l’idea di costruire un porto più vicino a Roma, un ancoraggio che potesse velocizzare l’intero processo e renderlo più efficiente.”

All’inizio dell’impero, alla fine del I secolo a.C., la popolazione di Roma e dei suoi dintorni aveva superato abbondantemente il milione di abitanti e la mancanza di un porto marittimo nelle vicinanze stava rendendo quasi impossibile il rifornimento della città. 

Ormai il dominio di Roma si estendeva da un’estremità all’altra del Mediterraneo, e le risorse provenienti da ogni regione affluivano verso la capitale. Olio d’oliva, vino, garum – una popolare salsa di pesce – schiavi e materiali da costruzione arrivavano da territori come la Spagna, la Gallia, il Nord Africa e il Vicino Oriente. Con l’aumento della popolazione, una delle principali responsabilità dell’imperatore era garantire un flusso continuo e sicuro di grano verso la città.

I cereali erano diventati il pilastro dell’alimentazione romana, consumati principalmente sotto forma di pane o polenta. Si stima che un cittadino romano adulto arrivasse a consumare fino a 270 chili di grano all’anno. Con una popolazione così vasta, Roma aveva bisogno di stoccare annualmente circa 300.000 tonnellate di grano. Nel corso della storia, le carenze nell’approvvigionamento di questa risorsa essenziale provocarono numerose rivolte popolari. L’approvvigionamento era spesso compromesso da tempeste e condizioni meteorologiche avverse che causavano il naufragio delle navi cariche di grano. Ogni ritardo o perdita del carico poteva rapidamente tradursi in disordini civili.

A partire dal II secolo a.C., il governo romano adottò un approccio sempre più attivo nella gestione della fornitura di grano, regolando e sovvenzionando il prezzo per garantirne l’accesso alle masse. Durante il periodo augusteo, l’imperatore distribuiva fino a 225 chili di grano per persona a circa 250.000 famiglie, comprendendo che la stabilità di Roma dipendeva dalla capacità di mantenere ben nutrita la popolazione.

Già nel I secolo d.C., però, la produzione agricola italiana non era più sufficiente a sostenere una città in costante crescita. Per far fronte alla domanda, Roma iniziò a sfruttare le sue nuove province più fertili, in particolare il Nord Africa e l’Egitto, che divennero ben presto i principali fornitori di grano per l’Urbe. Con un migliaio di grandi navi costantemente in navigazione, capaci di trasportare oltre 100 tonnellate ciascuna, e con un trasporto marittimo circa 40 volte più economico di quello terrestre, Roma aveva ormai un disperato bisogno di un porto in acque profonde, situato il più vicino possibile alla città.

L’imperatore Claudio e la nascita del grande porto artificiale

Fu l’imperatore Claudio a rendersi conto che era giunto il momento di costruire un porto artificiale sufficientemente grande da soddisfare le esigenze di una metropoli in continua espansione. Proprio in questo periodo l’ingegneria romana dimostrò il suo straordinario potenziale: Portus venne costruito da zero, a un paio di miglia a nord di Ostia, lungo una fascia costiera del Mediterraneo, vicino alla foce del Tevere. Questo nuovo porto divenne il fulcro del sistema portuale imperiale, permettendo a Roma di essere rifornita in modo continuo ed efficiente per i successivi quattro secoli.

L’enorme progetto ingegneristico di Portus fu avviato dall’imperatore Claudio intorno al 46 d.C. e richiese quasi vent’anni per essere completato. All’epoca, si trattò della più imponente opera pubblica mai realizzata. Il cuore del progetto era un vasto bacino artificiale di circa 200 ettari, scavato tra le dune costiere. Per proteggerlo dalle insidie del mare aperto, vennero costruiti due grandi moli, o frangiflutti, che si estendevano a breve distanza dalla foce. Tra di essi sorgeva una piccola isola su cui venne eretto un faro, indispensabile per guidare le navi in avvicinamento. Con una profondità di sei metri, il bacino claudiano era abbastanza spazioso e sicuro da accogliere grandi imbarcazioni marittime, capaci di trasportare fino a 500 tonnellate di merci.

Fin dall’inizio della costruzione, il progetto prevedeva anche altre infrastrutture essenziali, tra cui un porto interno più piccolo – la cosiddetta darsena – e numerosi edifici destinati alla registrazione, allo stoccaggio e alla distribuzione delle merci. Inoltre, l’intero complesso portuale era collegato al Tevere, situato a circa due miglia a sud, tramite una rete di canali, il più ampio dei quali raggiungeva una larghezza di quasi 90 metri.

Questo sistema avanzato permetteva di velocizzare notevolmente il trasferimento delle merci dalle navi fino ai nuclei familiari di Roma. Furono inoltre costruiti enormi magazzini, capaci di contenere scorte di grano sufficienti per diversi mesi, trasformando così il porto anche in un importante centro di stoccaggio.

Traiano e l’evoluzione di Portus: il bacino esagonale

La costruzione di Portus conferì grande prestigio a Claudio, che ne avviò i lavori, e a Nerone, che ne vide il completamento. Il porto divenne un simbolo celebrato persino sulle monete emesse dagli imperatori e attraverso un arco monumentale eretto da Claudio in loco. Secondo Simon Keay, il porto di Claudio rappresenta al tempo stesso un’opera di vanità imperiale e un riflesso della retorica dell’Impero, tanto da rendere l’imperatore “il grande fornitore, colui che domina la natura per nutrire il suo popolo.”

La fondazione del Portus claudiano fu solo il primo passo di un processo di continuo ampliamento e potenziamento del sito, che proseguì nei due secoli successivi. All’inizio del II secolo d.C., mentre Roma raggiungeva l’apice della sua espansione territoriale, l’imperatore Traiano intraprese un’importante opera di riorganizzazione e ampliamento del porto. Traiano, già noto per i suoi ambiziosi progetti edilizi che stavano trasformando Roma, affidò ai suoi architetti il compito di ridisegnare e migliorare Portus. Come in molte altre opere traianee, l’obiettivo non era solo pratico, ovvero dotare la città di nuove infrastrutture funzionali, ma anche simbolico: celebrare la potenza e la grandezza dell’Impero Romano.

Al centro del nuovo porto, Traiano fece scavare, a est del bacino claudiano preesistente, un secondo bacino artificiale, la cui forma esagonale è divenuta il simbolo più iconico di Portus. Ancora oggi questa struttura è visibile sotto forma di lago privato per la pesca nella tenuta del Duca Sforza Cesarini. 

Questo design, insolito e unico tra le costruzioni portuali romane, non solo migliorò la funzionalità del porto, ma gli conferì anche un aspetto estetico distintivo. Grazie alla sua forma esagonale, il bacino ampliò l’area protetta di Portus di quasi 240 ettari, rendendo più rapide ed efficienti le operazioni di attracco e scarico delle navi. Ogni lato, lungo circa 370 metri, offriva ampio spazio lungo la banchina per l’ormeggio e la movimentazione delle merci.

La nuova struttura era in grado di ospitare circa 200 navi, che si aggiungevano alle 300 già presenti nel bacino claudiano. Dopo secoli di tentativi, Roma aveva finalmente un porto adatto a sostenere le esigenze di un impero marittimo vasto e potente come il suo. Se il porto di Claudio era stato una dimostrazione della capacità dei Romani di modificare la natura e il paesaggio, quello di Traiano rappresentava un’evoluzione in termini di ingegneria e progettazione. 

Ogni lato del bacino esagonale era impreziosito da edifici monumentali, imponenti portici, templi, magazzini e persino una statua dell’imperatore Traiano. Tutti questi elementi furono progettati per impressionare i viaggiatori appena sbarcati, trasmettendo loro un chiaro messaggio: la potenza di Roma si manifestava non solo nella sua grandezza militare, ma anche nella bellezza e imponenza delle sue opere pubbliche.

Portus fu concepito non solo come un’infrastruttura funzionale, ma anche come un’affermazione di potere: Roma regnava incontrastata. Simon Keay sottolinea come il porto rappresentasse una dichiarazione della supremazia imperiale, un simbolo del controllo che Roma esercitava non solo sul Mediterraneo, ma anche sulla natura stessa. Aggiunge inoltre che, dopo i Romani, solo gli Ottomani riuscirono a raggiungere un livello di controllo paragonabile.

Negli ultimi anni, il Portus Project ha concentrato le sue indagini su un’area un tempo occupata da un sottile istmo di terra tra il porto di Claudio e quello di Traiano. Proprio in questa zona, il team ha portato alla luce le fondamenta di una struttura imponente che Keay ha descritto come una sorta di “cantiere navale”. Si tratta di un edificio lungo circa 240 metri, largo 60 e alto quasi 18, con una facciata suddivisa in una serie di arcate, larghe circa 12 metri ciascuna, che si affacciavano direttamente sul bacino esagonale. Secondo Keay, questa costruzione era probabilmente destinata al rimessaggio e alla manutenzione delle navi, ma potrebbe essere stata legata anche ad altre attività navali romane.

Keay evidenzia inoltre l’importanza strategica di Portus, affermando: “Portus è il luogo da cui l’imperatore salpava e da cui i nuovi governatori partivano per le loro province.” Aggiunge anche: “C’era una questione di sicurezza a Portus, ed è logico pensare che vi fosse un distaccamento navale. Credo che il nostro grande edificio ne facesse parte in qualche modo.”

Un sistema complesso e una rete commerciale senza eguali

Alcune evidenze suggeriscono che l’imperatore mantenesse una presenza diretta a Portus. Nei pressi del cantiere navale, il Portus Project ha indagato il cosiddetto Palazzo Imperiale, un vasto complesso multifunzionale che si estendeva su circa tre ettari, affacciato con viste panoramiche sui due bacini. La struttura, alta tre piani, combinava il lusso di una villa romana con la funzionalità di un centro amministrativo: portici, mosaici, peristili e sale da pranzo decorate convivevano con magazzini, uffici e aree destinate alla produzione. Recentemente è stato scoperto che al complesso fu aggiunto persino un piccolo anfiteatro.

Le merci che giungevano a Portus venivano caricate su barche fluviali e trasportate lungo i canali fino al Tevere, per poi essere trainate verso la capitale. Un’importante fonte di informazioni sull’organizzazione di questo complesso sistema proviene dal Monte Testaccio a Roma, una collina artificiale formata dai frammenti di anfore da trasporto scartate.

Su molte di queste anfore si trovano ancora piccoli tituli picti – annotazioni dipinte che indicavano dettagli sul contenuto, il peso, la provenienza, la destinazione e persino il nome del mercante o dello spedizioniere. Questi tituli picti dimostrano quanto fosse scrupoloso il controllo delle merci e quanto complesso fosse il sistema di gestione del porto.

Come sottolinea Keay: “Il responsabile del porto doveva sapere dove assegnare le navi, dove stoccare i carichi dei singoli mercanti, come trasferire il materiale da un magazzino all’altro e poi caricarlo sulle imbarcazioni dirette a Roma.” Questo evidenzia la straordinaria complessità del sistema portuale romano.

Grazie a Portus e ai numerosi porti disseminati lungo le coste del Mediterraneo – da Cartagine a Efeso, da Leptis Magna a Massalia, senza dimenticare i porti italiani di Puteoli, Ostia e Centumcellae – si sviluppò una vasta rete commerciale che permetteva a Roma di ricevere risorse da ogni angolo dell’impero. La maggior parte delle merci che giungevano a Portus era destinata alla capitale, ma una parte veniva immediatamente ridistribuita verso altri porti del Mediterraneo, facendo di Portus il pilastro centrale di questo sistema logistico.

La grandiosità e l’efficienza di Portus lasciarono un’impressione indelebile sugli osservatori stranieri. Tra questi, il celebre oratore greco Elio Aristide, che nel II secolo d.C. descrisse con meraviglia il porto:

“Qui giunge da ogni terra e mare ogni raccolto delle stagioni e ogni prodotto di ciascun paese. Gli arrivi e le partenze delle navi non cessano mai, tanto che si dovrebbe ammirare non solo il porto, ma persino il mare. Qui arriva tutto ciò che viene prodotto e coltivato… ciò che non si vede qui, non è una cosa che sia mai esistita o che esista.”

Insomma: Portus, fulcro del grandioso sistema di trasporto marittimo di Roma, permetteva alla città di godere delle risorse provenienti da tutto il mondo conosciuto, lasciando gli stranieri come Aristide profondamente colpiti dalla sua efficienza e magnificenza.