La peste di Cipriano: la pandemia che annientò l’impero romano

La peste di Cipriano fu una pandemia che sconvolse l’Impero romano dal 249 al 262 d.C. Non abbiamo informazioni precise sulla nascita del morbo, ma sappiamo che decimò pesantemente la popolazione romana in un periodo già difficile, nel pieno della crisi del III secolo, causando una diffusa carenza di manodopera e riducendo pesantemente i ranghi dell’esercito romano, indebolendo ulteriormente un impero già in crisi.

La peste di Cipriano: le origini e i sintomi devastanti

Non abbiamo certezza sulle origini e sullo sviluppo del morbo. Le fonti antiche iniziano a parlarne a partire da 249 d.C: secondo la “Historia Augusta“, la pandemia si scatenò durante il regno di Antiochiano e di Orfito, quando si registrarono i primi casi di questa nuova sconosciuta malattia. In queste fonti si parla di un grande raduno di tribù barbariche vicino alla città di Haemimontum (odierna Bulgaria) particolarmente colpiti da carestia e pestilenza, tanto che i generali romani non erano più intenzionati a conquistarli per paura di contrarre il morbo.

Sono state registrate nello stesso periodo alcune incursioni degli Sciiti, che tentarono di saccheggiare le città di Creta e di Cipro, ma anche i loro eserciti risultavano colpiti dalla pestilenza e per questo ridotti allo stremo, tanto da essere facilmente sconfitti.

Ma la principale fonte di questa epidemia fu San Cipriano, vescovo di Cartagine, uno scrittore paleocristiano che fu testimone diretto e descrisse in maniera quanto più accurata possibile i sintomi del morbo:

Le viscere, rilassate in un flusso costante, scaricano le forze corporee; un fuoco originato nel midollo fermenta nelle ferite delle fauci; gli intestini sono scossi da un continuo vomito; gli occhi sono in fiamme per il sangue iniettato; in alcuni casi i piedi o alcune parti degli arti vengono staccati dal contagio della putrefazione malata; dalla debolezza derivante dalla mutilazione e dalla perdita del corpo, o l’andatura è indebolita, o l’udito è ostruito, o la vista è oscurata

La peste ha assunto il suo nome in quanto fonte principale di quegli accadimenti.

Gli odierni medici non sono in grado di stabilire quale fosse esattamente il morbo: secondo lo storico Kyle Harper, i sintomi attribuiti dalle fonti antiche alla peste di Cipriano corrispondono meglio a una malattia virale che causa una febbre emorragica, come l’ebola, mentre per Kyle Harper si trattava del vaiolo, una malattia per sua natura pandemica.

Le micidiali conseguenze sull’impero romano

Nel bel mezzo dell’epidemia, dal 250 al 262 d.C, lo scrittore Ponzio di Cartagine raccontava che a Roma morivano circa 5000 persone al giorno e anche la stessa Cartagine era pesantemente colpita. Il popolo era distrutto e ogni giorno morivano diverse persone, ciascuno nella propria casa. Tutti avevano paura, fuggivano nelle campagne e cercavano di evitare il contagio in ogni modo. La città era disseminata di corpi: tutti pensavano a salvare la propria vita e nessuno aveva pietà per l’altro.

La peste di Cipriano fu devastante per la popolazione europea, che non aveva avuto alcuna precedente esposizione ad un morbo simile e risultava totalmente sprovvista di anticorpi.

Secondo alcuni studi, soprattutto quelli di Kylie Harper, la peste portò l’impero romano sull’orlo del collasso definitivo: la mancanza di manodopera nei campi, di soldati nell’esercito ma anche di funzionari nella burocrazia, minò alle fondamenta la stabilità dell’impero. Roma si salvò solamente grazie all’ intervento di alcuni imperatori che, con delle violente campagne militari, riuscirono a ricostituire una sommaria unità territoriale e riattivarono un certo gettito fiscale.

La peste di Cipro ebbe anche un grosso risvolto psicologico: si sviluppò in molti, soprattutto tra i membri del clero cristiano, la convinzione di essere di fronte alla fine del mondo. Migliaia di persone, proprio in quel periodo, iniziarono a convertirsi al cristianesimo, quella nuova religione che annunciava, dopo una vita di sofferenza, una salvezza nel regno dei cieli.