Gli antichi romani ebbero una ricca mitologia che, sebbene sia derivata dai loro vicini e predecessori, i greci, prese poi una direzione autonoma e sviluppò diversi particolari originali.
Furono prevalentemente alcuni autori imperiali, come Ovidio e Virgilio, a raccogliere l’eredità mitologica dell’antico Mediterraneo e a portarla ad un nuovo livello, elaborando delle figure iconiche, fino a definire la storia degli stessi fondatori di Roma, Romolo e Remo.
Lo scopo della mitologia romana
Prima di poter approfondire lo studio della mitologia romana, dobbiamo comprendere il concetto che sta alla base del mito.
Il mito viene descritto in diverse enciclopedie come “la visione del mondo degli antichi”. Questi miti, sebbene possano apparire a prima vista come semplici storie piene di valorosi eroi o una schiera di Dei onnipotenti, in realtà avevano un significato molto più profondo.
Gli Dei greci e romani erano antropomorfi e avevano molte qualità umane, come i sentimenti, gli intrighi, gli amori e i tradimenti, e per questo motivo i romani vedevano in loro delle entità che riflettevano la società ad un livello superiore.
Molto spesso i romani imparavano dalla mitologia delle storie che venivano raccontate nelle famiglie, per confermare l’importanza di affrontare il proprio destino con forza, determinazione e nobiltà.
I miti romani riguardavano quindi il rapporto tra gli Dei e gli uomini, e i racconti popolari servivano a definire degli standard di comunicazione tra i due mondi.
Le origini greche della mitologia romana
La mitologia nasce prevalentemente in Grecia: l’Iliade e l’Odissea di Omero ma anche la Teogonia di Esiodo sono davvero i testi fondamentali sui quali nasce e si sviluppa la mitologia mediterranea.
Queste storie sono state tramandate di generazione in generazione prima attraverso la forma orale e infine per iscritto.
Quando Roma venne fondata, nel VIII secolo a.C., molte delle città-stato che la circondavano erano di cultura greca, la quale era già ben consolidata.
Soprattutto le colonie nella penisola italiana meridionale e in Sicilia costituivano dei centri culturali di grande importanza.
Nel corso delle guerre macedoni, poi, la Grecia passò sotto l’orbita del mondo romano e influenzò pesantemente la cultura della prima Repubblica.
Questo contatto continuo con il mondo greco e più specificatamente con la religione e la sua mitologia, ebbero un forte effetto su Roma e sulla sua gente.
Roma, nonostante alcune resistenze iniziali, adottò molto di quella raffinata cultura che si era sviluppata in Grecia, importando parecchi canoni nel settore dell’arte, della filosofia, della letteratura e del teatro. E’ normale quindi che anche la mitologia romana abbia risentito profondamente dell’influenza greca.
Uno dei temi fondamentali che dalla Grecia si trasferì a Roma fu certamente la lunga storia della guerra di Troia, un episodio che fu quasi un elemento fondante della mitologia Romana.
Tanto, che la leggenda sulla nascita di Romolo e Remo e addirittura la fondazione di Roma, nasce proprio dalle conseguenze di questo conflitto.
La mitologia augustea
Nonostante la mitologia romana nasca già nella prima Repubblica, e come detto, abbia risentito pesantemente dell’influenza greca, fu sotto il periodo di Augusto che diversi scrittori definirono degli standard che diventeranno “cult” nella cultura romana.
Ovidio, prima del suo esilio comminato dall’imperatore Augusto, ebbe il tempo di elaborare diverse opere letterarie importanti, in un momento prolifico per la cultura e le arti di Roma.
L’imperatore voleva ristabilire una connessione con l’antica religione della Repubblica e ripristinare il rispetto per gli Dèi. Per questo motivo, Ovidio venne incaricato di redigere diverse opere incentrate sul mito romano e sulla religione. “Le Metamorfosi” e “I fasti” sono certamente le sue pubblicazioni più note.
Nell’opera dei Fasti, ad esempio, vennero recuperate le feste che cadevano nei primi sei mesi dell’antico calendario Romano, e sempre nella stessa opera, Ovidio diede una “spiegazione” a diverse leggende che stavano alla base di rituali diffusi in tutto l’impero.
Ma soprattutto, durante questo periodo nacque e venne elaborata nella sua forma definitiva, la leggenda dei fondatori: Romolo e Remo.
L’Eneide e il mito di Enea
Un altro scrittore fondamentale per la mitologia Romana fu Virgilio, che nella sua “Eneide” raccontò l’epopea del guerriero Troiano Enea. Una figura che incarna l’espressione più completa dell’intera mitologia romana.
Secondo la storia, Enea, aiutato da sua madre, la Dea Venere, sfuggì a Troia con suo padre, Anchise, e un certo numero di commilitoni prima che la città fosse conquistata dai Greci.
Con l’aiuto di Venere, i troiani sconfitti lasciarono la città e salparono per l’Italia, dove venne predetta la fondazione di una città.
Enea e i suoi viaggiarono prima in Grecia per approdare poi nell’Africa settentrionale dove Didone, bellissima regina della città di Cartagine, strinse un rapporto amoroso molto intenso con Enea.
Ma la necessità per Enea di continuare il suo viaggio e compiere il suo destino, costrinse lui e i suoi uomini a lasciare a malincuore l’Africa e a salpare. La regina Didone, che si suicidò per la perdita del suo amato, rappresenta, sempre mitologicamente, la nascita della antichissima rivalità tra Roma e Cartagine.
L’Eneide è ricca anche di contatti con il mondo dell’oltretomba. Dopo l’approdo a Cuma, nell’oderna Campania, Enea, grazie alla Sibilla, un oracolo, venne condotto nell’oltretomba, nell’Ade, dove incontrò alcuni suoi nemici, la regina Didone, ancora disperata, ma anche suo padre Anchise, recentemente defunto, con un messaggio importante.
Fa parte del suo destino la fondazione di una grande città.
Enea, dopo aver raggiunto la Foce del Tevere, entrò in guerra con il Re dei Rutuli, Turno, e dopo un appello alla madre Venere e il coinvolgimento del Dio Vulcano, Enea affrontò, con armature e armi semi divine, il proprio avversario.
Turno, sconfitto e ucciso in duello, fuggì nell’Ade, mentre Enea e i suoi discendenti avviarono la creazione di nuove colonie. Una di queste, fondata dal figlio di Enea, Ascanio, era Alba Longa.
La leggenda di Romolo e Remo
Su Alba Longa, avrebbero regnato i discendenti di Enea per numerose generazioni. Secondo la leggenda, ad un certo punto, il trono fu occupato da Numitore.
Con un colpo di stato, il fratello di Numitore, Amulio, aveva ottenuto il potere e aveva costretto la figlia di Numitore, Rea, a unirsi alle vergini vestali, che dovevano praticare la castità, per impedire la nascita di un successore pretendente.
Ma un giorno, il Dio Marte scorse la giovane Rea nei boschi sacri e la violentò. Da quell’unione, nacquero due figli, Romolo e Remo, che per ordine del Re Amulio furono condannati a morte.
Ma il boia, incaricato dell’esecuzione, non ebbe il cuore di sopprimere i due neonati, che preferì affidare alla proverbiale cesta nel fiume Tevere. Salvati da una lupa e da un picchio, entrambi animali sacri per il Dio Marte, i ragazzi furono adottati da un pastore locale di nome Faustolo e da sua moglie, Acca Larenzia.
Gli anni passarono e i due fratelli divennero i leader della loro comunità. Tornati ad Alba Longa, Romolo e Remo deposero Amulio e restituirono a Numitore il suo trono.
Desiderosi di fondare una nuova comunità, i giovani ottennero da Numitore il permesso di fondare una nuova città, nel cuore del Lazio, che sarebbe stata Roma.
Il meccanismo della fondazione, fatto di elementi sacri, tra cui il solco realizzato con l’aratro trainato da una coppia di buoi, è ricco di immagini proverbiali.
Ma presto Romolo e Remo vennero allo scontro. Forse per il diverbio sul colle di Roma più giusto per fondare Roma, (Romolo indicava il Palatino, Remo l’Aventino), forse per l’atteggiamento di Remo, che superò il solco fatto dal fratello in segno di sfida, i due vennero al combattimento.
Romolo uccise Remo, dando una connotazione di ferocia e di violenza alla fondazione della città, e governò Roma in qualità di Primo Re.
Gli Dei e le Dee romane
La mitologia Romana, come quella greca, era ricca di Dei e Dee.
Alcuni erano di chiara derivazione greca, molto spesso “versioni” romane dell’originale greco, mentre altri Dei furono davvero creati ex novo dalla tradizione latina.
Prima della loro associazione con i greci, molti degli Dei romani erano più strettamente associati ai culti piuttosto che ai miti. Ma con l’evoluzione culturale romana questo concetto mutò notevolmente.
All’inizio dello sviluppo della mitologia romana, ad esempio, Saturno equivaleva al dio greco Crono. Il suo tempio ai piedi del Campidoglio custodiva il tesoro pubblico e in quel luogo venivano depositati i decreti del Senato Romano.
Ma al vertice delle divinità romane vi era la “Triade Capitolina” costituita da Giove, Giunone e Minerva.
Giove, il Dio del cielo, era chiaramente il corrispettivo latino del greco Zeus. Il culto di Giove coinvolgeva ogni aspetto della vita di un romano e il suo tempio sul Campidoglio era la destinazione finale dei trionfi ottenuti ai comandanti militari vittoriosi.
Sua moglie, Giunone, divenne la Dea che presiedeva ogni aspetto della vita delle donne romane, mentre Minerva proteggeva le arti e i mestieri, e ogni attività dell’ingegno.
Allo stesso modo, la Dea dell’amore greca, Afrodite, divenne per i romani Venere, nata dalla schiuma del mare.
La greca Artemide fu ribattezzata Diana, la dea della caccia, mentre Ares fu per i romani “Marte”. Originariamente un Dio agricolo associato alla primavera, divenne presto personificazione del potere militare Romano.
Gli Dei “originali” di Roma
Nonostante le pesanti influenze ricevute dal mondo greco, i romani svilupparono una serie di Dei del tutto “originali” rispetto a quelli Greci.
E’ l’esempio di Giano, il Dio bifronte custode delle porte e dei passaggi. Simile al Dio etrusco, Culsans, Giano poteva prevedere il futuro e ricordare il passato, ed era apprezzato per la sua saggezza, tanto che presiedeva l’inizio di tutti gli eventi pubblici.
Vi era anche Vesta, figlia di Saturno e Dea del focolare e della vita familiare, le cui seguaci erano chiamate vergini vestali.
I romani svilupparono anche una serie di divinità dell’acqua, di vitale importanza per i contadini, il cui lavoro e la cui vita erano legati ai fiumi e alle sorgenti. Spesso i contadini dovevano placare gli Dèi attraverso una serie di offerte per garantirsi un “patto” con il mondo sovrannaturale.
Addirittura “pittoresco” era il culto del dio Tiberio, che ogni 27 Maggio venivano onorato attraverso dei manichini di paglia gettati nel Tevere.
Ogni maggio, il 9, 11 e il 13, si celebrava invece la festa dei Lemuri, dove gli spiriti dei morti venivano onorati. Molti romani, durante le notti che cadevano in queste date, credevano di essere sorvegliati dagli spiriti dei loro antenati.
Conclusione
Anche se quando si parla di mitologia si pensa quasi automaticamente ai Greci, i romani svilupparono una loro cultura mitologica ricca e vibrante.
Attraverso questi miti, i romani spiegavano l’esistenza dei fenomeni attorno a loro, e sviluppavano con estrema efficacia un senso di orgoglio nazionale oltre che una comprensione dei valori di base, come l’onore del proprio popolo e una visione comune del destino dei romani.
Articolo originale: Roman Mythology di Donald L. Wasson (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Federico Gueli