Esistevano i matrimoni gay nell’antica Roma? Questa domanda ha suscitato molte discussioni e dibattiti tra gli storici e i sostenitori dei diritti LGBT. Alcuni hanno sostenuto che i romani fossero tolleranti e aperti verso le relazioni omosessuali, e che ci fossero esempi di unioni legali tra persone dello stesso sesso.
Altri hanno invece negato questa possibilità, sottolineando le differenze culturali e giuridiche tra il mondo antico e il nostro. In questo articolo cercheremo di fare chiarezza su questo argomento, analizzando le fonti storiche e le testimonianze disponibili.
La sessualità dei romani e il ruolo dell’uomo nel rapporto
Per capire la questione dei matrimoni gay nell’antica Roma, bisogna innanzitutto comprendere come i romani concepissero la sessualità e il ruolo dell’uomo nel rapporto. La sessualità romana era caratterizzata da una forte polarizzazione tra attivo e passivo, tra dominante e dominato, tra virile e effeminato .
L’uomo romano doveva essere attivo, dominante e virile, sia nei rapporti eterosessuali che omosessuali. Il partner passivo, invece, doveva essere sottomesso, dominato ed effeminato, e poteva essere una donna, uno schiavo, un prostituto o un ragazzo giovane. Questa distinzione non era basata sul genere o sull’orientamento sessuale, ma sullo status sociale e sull’età.
L’uomo romano poteva avere rapporti omosessuali senza perdere la sua reputazione, purché fosse sempre il partner attivo. Al contrario, il partner passivo era considerato degradato e disonorato, a prescindere dal suo status sociale o dal suo genere.
Questa visione della sessualità influenzava anche la concezione del matrimonio nell’antica Roma. Il matrimonio era un’istituzione giuridica e religiosa che aveva lo scopo di garantire la continuità della famiglia e della gens, cioè il gruppo di parentela patrilineare.
Il matrimonio era quindi basato sulla differenza di genere e sulla complementarità dei ruoli tra marito e moglie. Il marito era il capo della famiglia (pater familias) e aveva il potere (potestas) sui suoi familiari, compresa la moglie. La moglie era la compagna del marito (uxor) e aveva il compito di generare figli legittimi (liberi) e di occuparsi della casa (domus). Il matrimonio era anche un atto religioso che coinvolgeva gli dei della famiglia (lares) e richiedeva una cerimonia pubblica (nuptiae) con riti specifici.
I matrimoni gay nell’antica Roma: i casi di Nerone
Data questa premessa, possiamo ora esaminare alcuni esempi storici di matrimoni gay nell’antica Roma. Il caso più noto è quello di Nerone, l’imperatore che regnò dal 54 al 68 d.C. Secondo le fonti antiche, Nerone sposò due uomini: prima Pitagora, un liberto di origine greca, con il quale assunse il ruolo di sposa; poi Sporo, un ragazzo eunuco che assomigliava alla sua defunta moglie Poppea Sabina, con il quale assunse il ruolo di sposo. In entrambi i casi, Nerone celebrò delle cerimonie pubbliche con abiti nuziali, anelli, pronuba (la matrona che accompagnava la sposa), folla di invitati e banchetti.
Il caso di Eliogabalo
Nerone non fu l’unico imperatore a sposare uomini. Anche Elagabalo, che regnò dal 218 al 222 d.C., celebrò quattro matrimoni con uomini, tra cui un auriga di nome Ierocle e un atleta di nome Zotico .
Elagabalo era un sacerdote del dio solare orientale El-Gabal, e cercò di imporre il suo culto a Roma. Le sue nozze omosessuali erano parte della sua politica religiosa, che mirava a creare una nuova divinità androgina che unisse il maschile e il femminile . Tuttavia, le sue riforme incontrarono l’opposizione del senato e dell’esercito, che lo uccisero insieme alla madre Giulia Soemia.
Un altro esempio di matrimonio gay nell’antica Roma è quello di Sergio Orata e Publio Cornelio Scipione Emiliano Africano Minore, due personaggi storici del II secolo a.C. Sergio Orata era un inventore e un imprenditore, famoso per aver introdotto le ostriche coltivate nel lago Lucrino.
Publio Cornelio Scipione Emiliano Africano Minore era un generale e un politico, nipote adottivo di Publio Cornelio Scipione Africano Maggiore, il vincitore di Annibale nella seconda guerra punica. Secondo Valerio Massimo, i due si sposarono con una cerimonia privata, in cui Sergio Orata assunse il ruolo di sposa e Publio Cornelio Scipione Emiliano Africano Minore quello di sposo . Il loro matrimonio fu però segreto e non riconosciuto legalmente.
Questi esempi mostrano che i matrimoni gay nell’antica Roma non erano previsti dal diritto romano né accettati dalla società. Si trattava di casi eccezionali e scandalosi, che violavano le norme della moralità romana e del diritto romano.
I matrimoni gay nell’antica Roma non erano paragonabili ai matrimoni tra persone dello stesso sesso nella società contemporanea, che si basano sul principio dell’eguaglianza e del consenso tra i partner. Pertanto, è errato confrontare le due realtà senza tener conto delle differenze storiche e culturali.