Roma medievale. Storia di Roma nel Medioevo

La storia di Roma medievale è caratterizzata da una serie di trasformazioni politiche, sociali, economiche e culturali che segnano il passaggio dall’antichità al medioevo.

Tra il V e il VI secolo, la città subisce la caduta dell’impero romano d’occidente, l’invasione di Odoacre e degli Ostrogoti, la conquista bizantina e le guerre gotiche. La popolazione diminuisce drasticamente e l’urbanistica si ridimensiona.

Il ruolo di Roma si sposta dalla sfera politica a quella religiosa, con il rafforzamento del potere del papa e della Chiesa. Tra il VII e il IX secolo, la città deve affrontare le invasioni dei Longobardi, cui segue l’intervento dei Franchi di Pipino il Breve e Carlo Magno, la nascita del Sacro Romano Impero e lo scisma con Costantinopoli.

Il papa diventa il signore temporale di Roma e dei territori circostanti, ma deve confrontarsi con le aspirazioni del popolo romano, che nel XII secolo fonda il Comune. Tra il XII e il XIV secolo, la città è teatro di lotte tra papato e impero, tra famiglie nobili romane, tra fazioni guelfe e ghibelline.

Il papa si trasferisce ad Avignone per circa settant’anni, lasciando Roma in una situazione di anarchia e decadenza. Il ritorno del papa a Roma segna l’inizio di una nuova fase di ricostruzione e rinascita della città.

La caduta dell’impero romano d’occidente e l’arrivo di Odoacre

La caduta dell’impero romano d’occidente è un processo graduale che si compie tra il III e il V secolo, a causa di crisi interne (politiche, economiche, sociali, militari) e di pressioni esterne (invasioni barbariche). Nel 395, alla morte di Teodosio I, l’impero viene diviso definitivamente tra i suoi due figli: Onorio riceve l’occidente con capitale Ravenna, Arcadio riceve l’oriente con capitale Costantinopoli.

Nel 410, Alarico, re dei Visigoti, saccheggia Roma per la prima volta dopo otto secoli. Nel 455, un altro sacco viene compiuto dai Vandali guidati da Genserico. Nel 476, Odoacre, capo degli Eruli, depone l’ultimo imperatore d’occidente Romolo Augustolo e invia le insegne imperiali a Zenone, imperatore d’oriente. Odoacre si proclama re d’Italia e stabilisce un regno barbarico che rispetta le istituzioni romane e riconosce la sovranità formale di Costantinopoli.

La lotta tra Odoacre e gli Ostrogoti

Il regno di Odoacre dura fino al 493, quando viene sconfitto e ucciso da Teodorico il Grande, re degli Ostrogoti. Teodorico era stato inviato in Italia da Zenone per eliminare Odoacre e restaurare l’autorità imperiale. Tuttavia, Teodorico si comporta come un sovrano indipendente e fonda un regno ostrogoto che si estende dall’Italia alla Provenza. Teodorico cerca di conciliare le due componenti della popolazione: i Romani e i Goti. Mantiene in vigore le leggi romane per i Romani e le leggi gotiche per i Goti. Favorisce la cultura classica e cristiana (di fede ariana) e protegge le arti e le lettere.

La guerra greco-gotica

Il regno degli Ostrogoti tuttavia non poteva durare a lungo, e di lì a breve scoppiò la cosiddetta “Guerra greco-gotica”. La guerra fu il risultato della politica dell’imperatore bizantino Giustiniano I, già messa in atto precedentemente con la riconquista dell’Africa contro i Vandali, mirante a riconquistare all’impero le province italiane e altre regioni limitrofe conquistate da Odoacre alcuni decenni prima e a quel momento dominate dagli Ostrogoti (Goti orientali) di Teodato.

Il conflitto ebbe inizio nel 535 con lo sbarco in Sicilia di un esercito bizantino guidato dal generale Belisario. Risalendo la penisola le forze di Belisario sconfissero le truppe gote dei re Teodato prima e Vitige poi, riconquistando molte importanti città tra cui le stesse Roma e Ravenna.

L’ascesa al trono goto di Totila ed il richiamo di Belisario a Costantinopoli portarono alla riconquista da parte dei Goti di molte delle posizioni perdute. Solo con l’arrivo di una nuova armata sotto il generale Narsete le forze imperiali poterono riprendersi, e dopo la morte in battaglia di Totila e del suo successore Teia la guerra si concluse nel 553 con una completa vittoria per i Bizantini.

L’esarcato bizantino in Italia e il ruolo di Roma

Al termine della guerra greco-gotica, la popolazione dei Longobardi cala in Italia, conquistando i territori settentrionali e ponendo la loro capitale a Pavia. Nel sud Italia si formano invece i ducati di Spoleto e di Benevento, sempre amministrati da aristocratici longobardi. I territori rimanenti, tra cui Roma, appartengono ancora ai bizantini, con il loro cosiddetto “esarcato”.

L’esarcato bizantino in Italia è il nome dato al governatorato militare che riuniva i territori dell’impero bizantino situati in Italia, a causa della continua pressione dei Longobardi. L’esarcato fu istituito alla fine del VI secolo e durò fino alla metà dell’VIII secolo. Il capo dell’esarcato era l’esarca, che risiedeva a Ravenna e aveva il compito di difendere e amministrare le province bizantine. L’esarca dipendeva formalmente dall’imperatore di Costantinopoli, ma godeva di una certa autonomia e talvolta entrava in conflitto con il papa.

Il ruolo di Roma durante questo periodo fu ambiguo e contrastato. Da un lato, la città era fedele all’impero bizantino e riconosceva l’autorità dell’esarca. Dall’altro, la città era il centro della Chiesa cattolica e sede del papa, che rivendicava una maggiore indipendenza dal potere imperiale.

La questione iconoclasta e lo scisma di Roma con Costantinopoli

La questione iconoclasta è il nome dato alla controversia religiosa che scoppiò nell’impero bizantino tra il VIII e il IX secolo, riguardante il culto delle immagini sacre (icone). L’iconoclastia (dal greco “rottura delle immagini”) era la dottrina che condannava il culto delle icone come idolatria e ne ordinava la distruzione. L’iconodulia (dal greco “servizio delle immagini”) era la dottrina che difendeva il culto delle icone come mezzo di venerazione e di mediazione tra i fedeli e i santi rappresentati.

L’iconoclastia fu promossa dagli imperatori bizantini Leone III (717-741) e Costantino V (741-775), che la imposero con editto nel 726 e con un concilio a Costantinopoli nel 754. Essi si basavano su argomenti biblici, teologici e politici, sostenendo che le icone erano contrarie al secondo comandamento, che offendevano la maestà divina, che favorivano l’eresia e che erano causa della debolezza militare dell’impero.

L’iconodulia fu sostenuta dai papi di Roma e dai patriarchi di Costantinopoli Germano I (715-730) e Giovanni VII (837-843), che la difesero con lettere, opere e sinodi. Essi si basavano su argomenti tradizionali, storici e spirituali, affermando che le icone erano conformi alla dottrina dell’incarnazione, che erano testimonianze della fede dei padri, che erano fonti di grazia e di miracoli.

La questione iconoclasta provocò uno scisma tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli, che si accentuò quando il papa Gregorio II (715-731) scomunicò l’imperatore Leone III e quando il papa Gregorio III (731-741) convocò un concilio a Roma nel 731 per condannare l’iconoclastia. Lo scisma fu sanato temporaneamente quando l’imperatrice Irene (797-802) convocò il VII Concilio ecumenico a Nicea nel 787, che ristabilì il culto delle icone.

Tuttavia, l’iconoclastia fu ripresa dall’imperatore Leone V (813-820) e dai suoi successori fino al 842, quando l’imperatrice Teodora (842-855) restaurò definitivamente l’iconodulia con una solenne cerimonia a Costantinopoli il primo marzo, giorno ancora oggi celebrato come festa dell’ortodossia.

Il Papa chiama Pipino il Breve contro i Longobardi

A seguito della questione iconoclasta, Roma era in pericolo fra i bizantini, che sequestravano regolarmente i territori papali come punizione per la ribellione alle politiche iconoclaste, e i Longobardi, che dimostravano l’intenzione di conquistare la città.

Nel 751, il re longobardo Astolfo conquistò Ravenna, la capitale dell’esarcato bizantino in Italia, e minacciò di invadere i territori del patrimonio di San Pietro, che erano sotto la protezione del papa. Il papa Zaccaria (741-752) e il suo successore Stefano II (III) (752-757) chiesero aiuto all’imperatore bizantino Costantino V (741-775), ma non ottennero alcuna risposta. Allora si rivolsero al re dei Franchi Pipino il Breve (751-768), che era stato consacrato da Zaccaria come re legittimo al posto dell’ultimo merovingio Childerico III (743-751).

Nel 753, papa Stefano II partì per la Francia e riuscì a convincere Pipino il Breve ad agire contro i Longobardi, cui i Franchi erano fino ad allora rimasti alleati. Pipino li sconfisse nel 754 e poi ancora nel 756. Dopo questo successo, il re franco impose ai vinti di consegnare al papa i territori dell’ex esarcato di Ravenna e di altre città dell’Italia centrale, che costituirono la cosiddetta donazione di Pipino. Questa donazione fu il primo atto di riconoscimento del potere temporale del papa e della nascita dello stato della Chiesa. In cambio, il papa confermò a Pipino e ai suoi figli Carlo (Carlo Magno) e Carlomanno il titolo di re dei Franchi e di patrizi romani, cioè difensori della Chiesa e dell’impero.

Il Papa chiama Carlo Magno contro i Longobardi

Nel 771, alla morte del fratello Carlomanno, Carlo Magno (768-814) divenne l’unico re dei Franchi. Nel 772, il papa Adriano I (772-795) gli chiese nuovamente aiuto contro i Longobardi, che avevano ripreso le ostilità contro i territori pontifici. Carlo Magno accettò la richiesta e invase l’Italia nel 773. Dopo un lungo assedio, conquistò Pavia, la capitale longobarda, e catturò il re Desiderio e la sua famiglia. Nel 774, si fece incoronare a Pavia re dei Franchi e dei Longobardi e confermò al papa la donazione di Pipino.

Tuttavia, la resistenza longobarda non fu completamente domata. Nel 776, una rivolta scoppiò nel Friuli, guidata dal duca Rotgaudo. Carlo Magno intervenne prontamente e represse la ribellione. Destituì una serie di duchi longobardi e li sostituì con conti franchi. Inoltre, favorì la diffusione del cristianesimo cattolico tra i Longobardi, che erano in gran parte ariani. Nel 781, associò al trono il figlio Pipino come re d’Italia e lo fece battezzare a Roma dal papa.

Carlo Magno mantenne buoni rapporti con i papi successivi, Leone III (795-816) e Stefano IV (V) (816-817). Il primo lo incoronò imperatore a Roma nel giorno di Natale dell’anno 800, riconoscendogli il titolo di protettore della Chiesa e dell’impero romano d’Occidente. Il secondo lo consacrò nuovamente imperatore a Reims nel 816. Carlo Magno si impegnò a difendere i territori della Chiesa dalle minacce esterne e interne, ma esercitò anche una certa influenza sulle questioni ecclesiastiche, come la riforma del clero e la promozione della cultura cristiana.

La nascita del Sacro Romano Impero

La nascita del Sacro Romano Impero è il nome dato all’evento storico che segnò la trasformazione del regno dei Franchi in una realtà politica che si richiamava all’antico impero romano e alla sua universalità. Questo evento avvenne il 25 dicembre dell’anno 800, quando il papa Leone III (795-816) incoronò a Roma Carlo Magno (768-814) come imperatore dei Romani.

L’incoronazione imperiale di Carlo Magno fu il risultato di una convergenza di interessi tra il papa e il re franco. Il papa voleva rafforzare la sua autorità spirituale e temporale, minacciata dai Bizantini e dai Longobardi, e voleva anche riconoscere i meriti di Carlo Magno come difensore della fede cristiana e della civiltà romana. Il re franco voleva ottenere un titolo che esprimesse la sua supremazia sui suoi rivali e che gli consentisse di intervenire nelle questioni ecclesiastiche e politiche dell’Europa. Inoltre, entrambi volevano rinnovare l’idea di un impero universale, fondato sulla comunione tra Chiesa e Stato, tra potere spirituale e potere temporale.

L’incoronazione imperiale di Carlo Magno fu però anche fonte di problemi e di contrasti. In primo luogo, essa suscitò le proteste dell’imperatore bizantino Irene (797-802), che si considerava l’unica legittima erede dell’impero romano d’Oriente e d’Occidente. In secondo luogo, essa creò delle difficoltà nella successione dinastica dei Franchi, che doveva essere regolata secondo il principio dell’elettività e della partizione tra i figli del defunto sovrano.

In terzo luogo, essa mise in evidenza le differenze culturali e linguistiche tra le varie regioni del vasto impero carolingio, che rendevano difficile la sua unità e la sua amministrazione. Infine, essa aprì la questione del rapporto tra il papa e l’imperatore, che dovevano definire i rispettivi ambiti di competenza e di influenza.

La lotta per le investiture

La lotta per le investiture fu il conflitto che oppose il papato e l’imperatore tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII secolo, riguardo al diritto di nominare e investire i vescovi e gli abati. Il papato, guidato da Gregorio VII (1073-1085), rivendicava la sua indipendenza e la sua supremazia spirituale sull’impero, guidato da Enrico IV (1056-1106), che invece pretendeva di mantenere il controllo sui benefici ecclesiastici e di influenzare le elezioni papali. La lotta si manifestò con scomuniche, deposizioni, ribellioni, guerre e concili, che coinvolsero anche i principi e i comuni italiani.

Il conflitto si concluse con il concordato di Worms (1122), che stabilì un compromesso: il papa riconobbe all’imperatore il diritto di partecipare alle elezioni dei vescovi e degli abati con il suo placet, ma solo in quanto laici; l’imperatore rinunciò al diritto di investire i prelati con gli anelli e il pastorale, simboli della loro autorità spirituale.

Il papa contro Federico Barbarossa e la battaglia di Legnano

Nonostante il concordato di Worms, la lotta tra Papa e Imperatore continuava. L’imperatore Federico I detto Barbarossa (1152-1190) aveva il progetto di restaurare l’autorità imperiale in Italia, dove i comuni si erano emancipati dal potere feudale e avevano formato delle leghe per difendere i loro interessi. Il papato, guidato da Alessandro III (1159-1181), si oppose a questo tentativo, appoggiando i comuni e scomunicando l’imperatore.

Federico scese in Italia per cinque volte, cercando di sottomettere i comuni ribelli e di imporre un antipapa, ma non riuscì a realizzare il suo disegno. La svolta si ebbe nel 1176, quando l’esercito imperiale fu sconfitto dalla lega lombarda nella battaglia di Legnano. Federico dovette riconoscere Alessandro III come legittimo papa e concedere ai comuni italiani una certa autonomia con la pace di Costanza (1183).

Le lotte fra le famiglie baronali romane

Oltre ai contrasti tra Papa e Imperatore, Roma venne scossa dalle lotte fra le famiglie baronali romane, conflitti che opposero le principali casate nobiliari della città tra il XII e il XIV secolo.

Queste famiglie erano discendenti dei grandi feudatari che avevano ricevuto dai papi o dagli imperatori dei territori e dei castelli nel Lazio. Essi avevano anche acquisito delle case-torri a Roma, dove esercitavano il loro potere politico ed economico.

Le famiglie baronali si dividevano in due fazioni: i guelfi, fedeli al papa, e i ghibellini, sostenitori dell’impero. Tra le famiglie più importanti vi erano i Colonna, i Frangipane, i Pierleoni, gli Orsini, i Savelli, gli Annibaldi, i Caetani. Le lotte fra le famiglie baronali furono spesso violente e sanguinose, provocando devastazioni e incendi nella città. Esse furono anche influenzate dagli avvenimenti politici esterni, come la cattività avignonese dei papi o l’elezione di Cola di Rienzo a tribuno del popolo.

La cattività avignonese

La cattività avignonese fu il periodo in cui i papi risiedettero ad Avignone, in Francia, dal 1309 al 1377, a causa delle pressioni politiche del re di Francia Filippo il Bello. Questo periodo fu caratterizzato da una perdita di prestigio e di autorità del papato, che si trovava lontano dalla sua sede naturale e dipendente dal potere francese.

Il trasferimento dei papi ad Avignone fu favorito dalla morte di Benedetto XI (1304-1305), che aveva cercato di resistere alle ingerenze di Filippo il Bello nella Chiesa e dal sequestro di Papa Bonifacio VIII.

Il conclave che seguì la sua morte fu lungo e travagliato, e si concluse con l’elezione di un papa francese, Bertrando del Got, che assunse il nome di Clemente V (1305-1314).

Clemente V non si recò mai a Roma, ma stabilì la sua residenza ad Avignone, una città situata nel sud della Francia ma appartenente al regno di Napoli. Qui lo seguirono i suoi successori: Giovanni XXII (1316-1334), Benedetto XII (1334-1342), Clemente VI (1342-1352), Innocenzo VI (1352-1362), Urbano V (1362-1370) e Gregorio XI (1370-1378). I papi avignonesi cercarono di mantenere il controllo sulla Chiesa universale e di riformare gli abusi del clero, ma dovettero affrontare le difficoltà causate dalla guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra, dalla peste nera del 1348, dalle eresie dei fraticelli e dei valdesi, dalle rivolte popolari in Italia e in Francia.

Essi furono anche accusati di nepotismo, di simonia, di lusso e di corruzione. La loro assenza da Roma provocò il degrado della città e la ribellione dei romani, che elessero un tribuno del popolo, Cola di Rienzo, nel 1347. Molti intellettuali e religiosi sollecitarono il ritorno dei papi a Roma, tra cui Francesco Petrarca, Caterina da Siena e Bridgetta di Svezia. Fu Gregorio XI a decidere di tornare a Roma nel 1376, spinto anche dalla minaccia degli eserciti mercenari chiamati compagnie di ventura. Il suo ritorno segnò la fine della cattività avignonese, ma non la fine dei problemi del papato.

Il ritorno del papa a Roma

Il ritorno del papa a Roma fu l’evento che segnò la fine della cattività avignonese e il ripristino della sede pontificia nella città eterna. Gregorio XI (1370-1378) fu l’ultimo papa ad aver risieduto ad Avignone per quasi tutto il suo pontificato.

Gregorio XI era un papa pacifico e riformatore, ma dovette affrontare le conseguenze della guerra dei cent’anni tra Francia e Inghilterra, che aveva diviso la cristianità in due fazioni opposte. Egli cercò anche di riportare l’ordine nella Chiesa, condannando le eresie dei fraticelli e dei valdesi e riformando gli ordini mendicanti. Tuttavia, il suo principale problema era quello della situazione italiana, dove i comuni si erano ribellati al dominio pontificio e dove le compagnie di ventura saccheggiavano le campagne. Gregorio XI decise quindi di ritornare a Roma.

Il ritorno del papa a Roma ebbe conseguenze positive e negative per la città. Da un lato, stimolò un rinnovamento artistico e culturale, con la costruzione o il restauro di chiese, palazzi, monumenti e opere d’arte. Tra i principali esempi si possono citare: la basilica di San Pietro in Vaticano, la basilica di Santa Maria Maggiore, il Palazzo Apostolico, il Castel Sant’Angelo, il Ponte Sant’Angelo, il Colosseo, il Campidoglio. Tra gli artisti che operarono a Roma in questo periodo si ricordano: Giotto, Arnolfo di Cambio, Pietro Cavallini, Simone Martini, Filippo Brunelleschi.

Dall’altro lato, il ritorno del papa a Roma accentuò i contrasti tra il potere temporale della Chiesa e le aspirazioni autonomistiche della nobiltà e del popolo romani. Questi conflitti sfociarono spesso in rivolte e violenze, che resero instabile e insicura la vita cittadina. Tra gli episodi più drammatici si ricorda l’assalto al Palazzo Apostolico da parte dei romani nel 1378, che costrinse Urbano VI a fuggire da Roma.

Il ritorno del papa a Roma dopo la cattività avignonese fu un evento cruciale per la storia di Roma medievale, che ne determinò lo sviluppo e le trasformazioni nei secoli successivi.