Un famoso processo portato avanti dai provinciali nei confronti di un cittadino romano è quello dei sardi contro Marco Emilio Scauro. Quest’ultimo apparteneva alla nobiltà romana e dopo essere diventato figliastro del dittatore Silla, grazie alle nozze della madre Cecilia Metella, si dedicò alla politica, iniziando la sua carriera politica ricoprendo l’incarico di edile.
Nel 55 a.C divenne il governatore della Sardegna, amministrandola con disonestà e arroganza, tanto che i Sardi si mobilitarono per portarlo dinnanzi ad un processo una volta che il suo mandato fu terminato.
Marco Emilio Scauro infatti nel 54, lasciò l’isola per recarsi a Roma ed iniziare la sua campagna elettorale a seguito per la sua candidatura all’incarico di console per l’anno successivo; avendo infatti svolto precedentemente la carica di edile, essendo poi stato un funzionario amministrativo in oriente alle dipendenze di Pompeo e avendo alle spalle un anno di governo di una provincia aveva la possibilità di candidarsi al consolato.
La sua candidatura però fu fermata dall’accusa dei Sardi, che si fecero difendere a Roma dall’oratore Publio Valerio Triario. Se la difesa di quest’ultimo fallì, non fu soltanto perché a difendere la controparte era uno dei più famosi oratori romani, ossia Marco Tullio Cicerone, ma anche perché Triario commise il grave errore di non raccogliere delle prove recandosi nella provincia di Sardegna e Corsica (le due isole infatti formavano un’unica provincia) per un totale di trenta giorni, come gli era stato suggerito ed autorizzato dal presidente del tribunale, il pretore M. Poncio Catone. Triario sosteneva che come prove gli sarebbero bastati i centoventi Sardi che si erano recati a Roma per sostenere l’accusa.
Scauro dal canto suo si era affidato alle difese di ben sei avvocati, uno dei quali è il sopracitato Cicerone, che grazie alla sua orazione “Pro Scauro”, ci lascia la fonte che ci permette di conoscere questo avvenimento storico. Bisogna precisare un dettaglio su questa fonte:
Il Pro Scauro è arrivato a noi molto frammentato, sono infatti descritti solo due dei tre crimini commessi dall’accusato, manca infatti il “crimen frumentarium”, ossia il reato di abuso nelle esazioni delle decime, che noi conosciamo grazie ad un’altra fonte proveniente da Asconio, un letterato latino del I secolo, che commentò diverse orazioni di Cicerone, compresa quella del processo qui descritto.
Unendo le due fonti conosciamo le tre accuse che i Sardi avanzarono nei confronti del loro governatore, ossia l’esazione di tre decime, l’omicidio di Bostare e l’abuso ed il maltrattamento di una donna, la sposa di Arine ( de Bostaris nece, de Arinis uxore et de decimis tribus).
Bostare era un ricco abitante della città di Nora, che secondo Triario viene avvelenato da Scauro; Cicerone difende il suo cliente sostenendo che il governatore romano, non solo non provava nessun interesse ad uccidere quell’uomo, ma aggiunge che è stato ucciso dalla sua stessa madre.
Per quanto riguarda l’accusa di mal trattamento alla donna, di cui non viene citato il nome ma viene descritta come la sposa di Arine, un altro abitante di Nora, Triario afferma che la vittima, dopo i vari abusi da parte del governatore, si sia suicidata per la vergogna. Lo stesso Arine è presente al processo per testimoniare, ma ovviamente Cicerone difende il suo cliente sostenendo due affermazioni:
in primis, la moglie di Arine era talmente brutta e vecchia che in nessun caso avrebbe invogliato un nobile romano a desiderarne il corpo, ed inoltre sostiene che la donna si sia uccisa dopo aver scoperto che suo marito Arine aveva lasciato la città di Nora con la sua amante, nonché la madre di Bostare.
In poche parole Cicerone, con la sua abilità di oratore, inventa e costruisce un’unica storia che permette di scagionare il proconsole Scauro da ben due accuse, dicendo proprio che la madre di Bostare abbia ucciso suo figlio in quanto aveva scoperto la sua relazione extraconiugale con Arine, dopo che la moglie di quest’ultimo abbia preferito la morte all’abbandono da parte del marito.
L’accusa più grave però, quella che effettivamente convince centoventi Sardi ad accusare il governatore, è l’esazione di ben tre decime in grano. Per legge i provinciali dovevano pagare una decima al governatore, ma Scauro ne pretese ben tre dagli abitanti di Nora, compiendo il reato di concussione, che per i Romani era molto grave. Cicerone in ogni caso, davanti a questa grave accusa riuscì a difenderlo abilmente, dimostrando che tale insinuazione era falsa, in quanto era presentata da persone disoneste quali erano i Sardi.
L’oratore provava un profondo odio verso i Sardi, tanto da definirli in modo dispregiativo “africani”, poiché secondo la sua teoria tale popolo è diretto discendente dei peggiori Cartaginesi, che erano stati esiliati nell’isola sarda in quanto disprezzati nella loro stessa città.
Di conseguenza l’accusa di gente falsa, criminosa e peggiore degli stessi punici non poteva essere vera davanti a nessun cittadino romano, tantomeno dinnanzi ad un politico onesto quale era Scauro. Questo sentimento di odio e di disprezzo verso i Sardi emerge anche quando l’oratore definisce brutta e vecchia la moglie di Arine, descrivendo “orrenda” non solo la vittima in questione, ma tutte le donne sarde che non possono mai innescare attrazione nel cittadino romano.
Questa critica cosi pesante nei confronti dei Sardi, definendoli un popolo disonesto ed inaffidabile, ma soprattutto il paragone con i Punici riuscì a convincere ben 62 giudici che votarono a favore di Scauro contro 8 che sostennero i Sardi, nel processo che si tenne il 2 settembre del 54 a.C.
Grazie all’abilità di Cicerone, i Sardi non ottennero nessuna giustizia, mentre Scauro vinse il processo, anche se la sua carriera politica finì, perché durante la campagna elettorale per la candidatura al consolato, lo stesso Triario lo accusò di corruzione, tanto che fu costretto a lasciare Roma.