Marco Claudio Marcello è una delle figure più gloriose della Repubblica Romana: eletto cinque volte console e leader militare insostituibile durante la guerra contro Annibale, fu uno dei pochissimi personaggi romani a potersi fregiare del titolo di conquistatore della Spolia Opima, un trofeo costituito dalla conquista dell’armatura di un capo militare nemico, battuto in un duello corpo a corpo.
Marcello, il conquistatore della città di Siracusa, fu personaggio di spicco del suo periodo e morì con le armi in pugno.
Giovinezza e primi incarichi
Non abbiamo molte informazioni sulla giovinezza e sull’adolescenza di Marco Claudio Marcello, in quanto scarseggiano fonti antiche: basandosi sui calcoli relativi alle elezioni e ai suoi primi consolati, dovrebbe essere nato prima del 268 a.C. e dovrebbe essere stato il primo della sua famiglia ad assumere il cognome di Marcello. Una deduzione derivante dalle fonti più attendibili sulla sua vita costituite sicuramente dalla “Vita di Marcello” di Plutarco, opera scritta diversi secoli dopo.
Marcello era un abile combattente e venne educato per la carriera militare fin dalla più tenera età: immediatamente si distinse come guerriero coraggioso e comandante ambizioso che preferiva spesso affrontare il nemico corpo a corpo. Sempre Plutarco racconta di un intervento di Marcello per salvare la vita al fratello Otacilio. I suoi superiori si accorsero rapidamente delle sue capacità: lo promossero sul campo e gli conferirono incarichi prestigiosi.
Già nel 226 a.C. fu eletto alla carica di edile: si trattava di un incarico piuttosto prestigioso per un uomo dell’età di Marcello e durante questo periodo il suo compito si concentrò sulla sovrintendenza e la manutenzione degli edifici pubblici e la tutela dell’ordine. Nello stesso periodo, Marcello divenne anche un augure, un importante sacerdote dedicato all’interpretazione dei presagi e delle risposte degli Dei.
All’età di 40 anni, Marcello era già un soldato di carriera, un’abile funzionario e un rispettabile aristocratico: nel 222 a.C. venne eletto console, la più alta carica prevista dall’antica Roma repubblicana.
Le battaglie contro i galli e la conquista della Spolia Opima
Marcello ebbe un ruolo primario nella Prima Guerra Punica tra Roma e i Cartaginesi, ma il suo impegno principale fu certamente contro i Galli, che dichiararono guerra a Roma nel 225 a.C.: Marcello e Scipione Calvo, in qualità di consoli, respinsero gli Insubri, una delle principali tribù galliche avversarie di Roma, facendoli indietreggiare fino al fiume Po.
Gli avversari proposero una pace, che Scipione era pronto a concedere, ma Marcello convinse il collega a non accettare e a proseguire la guerra per ottenere una vittoria definitiva. Gli insubri radunarono allora 30.000 guerrieri, chiamando a raccolta diversi alleati dalle altre tribù, tra cui i temibili Gesati, per combattere i romani in una battaglia decisiva.
Marcello sconfisse gli avversari, sbaragliando ripetutamente l’esercito gallico: i Galli inviarono allora diecimila uomini attraverso il fiume Po e attaccarono la piccola cittadina di Clastidium, una roccaforte romana, con l’obiettivo di deviare gli attacchi dell’esercito romano e far riprendere fiato ai propri soldati. Fu su questo campo di battaglia che si verificò la prodezza più nota di Marcello: un duello personale contro il re gallico Viridomaro.
Plutarco racconta alcuni dettagli di ciò che accadde prima della battaglia: Viridomaro avrebbe individuato il generale avversario con le insegne e gli sarebbe andato incontro sfidandolo. Anche Marcello avrebbe scorto l’armatura dell’avversario che cavalcava verso di lui per affrontarlo e gli si sarebbe fatto incontro.
I due si batterono spietatamente e Marcello, grazie ad un colpo di lancia che trafisse la corazza dell’avversario, riuscì a sbalzare Viridomaro giù dal cavallo, finendolo con altri due colpi. Fu così che Marcello riuscì a conquistare l’armatura del suo avversario, la Spolia Opima: si trattava di un bottino di straordinario valore.
Marcello è entrato così nella storia romana, diventando uno dei pochissimi generali a potersi fregiare di questo titolo.
Dopo lo scontro, i romani, che si trovavano comunque in inferiorità numerica, riuscirono a rompere l’assedio dei Galli a Clastidium e a vincere la battaglia respingendo l’avversario fino al loro quartier generale, la città di Mediolanum: qui i romani sconfissero definitivamente i Galli, che preferirono inviare degli ambasciatori per trattare la pace.
Marcello nella Seconda Guerra Punica: la sfida contro Annibale
Dopo questo periodo di combattimenti e di gloria, le fonti non citano ulteriori imprese di Marcello, che scompare dalla storia fino al 216 a.C. : gli storiografi romani ricominciamo a parlare di Marco Claudio Marcello in occasione della Seconda Guerra Punica . Nel corso del terzo anno della guerra contro Annibale, Marcello fu eletto pretore e fu inviato a gestire gli affari romani in Sicilia.
Mentre stava preparando i suoi uomini per affrontare le unità cartaginesi, Roma subì però la devastante sconfitta di Canne ad opera di Annibale: Marcello fu costretto a inviare a Roma 1500 dei suoi uomini migliori per proteggere la Capitale dopo la sconfitta.
Con quello che rimaneva dei suoi uomini e con i soldati sopravvissuti alla disfatta di Canne, Marcello si accampò vicino a Suessula, una città della Campania: di lì a poche settimane l’esercito cartaginese guidato da Annibale puntò verso la città di Nola, posta in una posizione strategica.
Marcello intuì il pericolo e riuscì a respingere gli attacchi dei Cartaginesi e a difenderla dalla conquista da parte di Annibale: nonostante la battaglia di Nola fu piuttosto irrilevante per le sorti finali della Seconda Guerra Punica, un generale romano in grado di resistere agli attacchi di Annibale rappresentò uno straordinario esempio per tutto l’esercito.
Difatti Claudio Marcello fu il primo generale, eccetto Scipione l’Africano, ad aver tenuto testa a quello che era considerato un comandante invincibile.
Nel 215 a.C. Marcello fu convocato a Roma dal dittatore Marco Giunio Pera per valutare insieme la futura condotta della guerra: dopo aver aggiornato le proprie strategie, Marcello ottenne il titolo di proconsole, e quando Il Console Lucio Postumio Albino venne ucciso in battaglia, Marcello fu scelto all’unanimità come suo successore.
Tuttavia sia Tito Livio che Plutarco ci raccontano di un episodio in particolare: i presagi degli Dei sarebbero stati negativi: per questo motivo Marcello si fece da parte e il suo posto fu preso da Quinto Fabio Massimo Verrucoso. Probabilmente il Senato, pretendo a pretesto i cattivi segnali degli Dei, non desiderava affidare il consolato a due plebei, ma voleva mantenere l’alternanza di un console patrizio e un console plebeo per non tradire le tradizioni.
Marcello proseguì nella sua carica di proconsole e continuò ad impegnarsi per difendere la città di Nola, ancora una volta, dalla retroguardia dell’esercito di Annibale. La difesa di Nola non era più solamente un compito militare: era diventata una specie di sfida personale tra lui e il generale cartaginese.
L’anno successivo, nel 214 a.C., Marcello fu nuovamente eletto console: questa volta assieme a Fabio Massimo.
Marcello fu in grado ancora una volta di difendere la città di Nola da Annibale e conquistò una piccola cittadina, Casilinum, strappata all’esercito cartaginese. Dopo aver ottenuto la piccola ma significativa vittoria di Casilinum, Marcello fu inviato in Sicilia, sempre per contrastare le mire di Annibale: al suo arrivo, Marcello trovò un’isola completamente in disordine e sul punto di ribellarsi ai Romani.
L’impresa di Siracusa
Geronimo, il nuovo sovrano dell’importantissima città di Siracusa, era un giovane 17enne, salito al trono dopo la morte del nonno e profondamente influenzato da due fratelli: Ippocrate ed Epicide. Si trattava di due aristocratici che tramavano da tempo per dare inizio a una nuova guerra contro Roma e che riuscirono a far “raffreddare” i rapporti fra Siracusa e Roma.
Geronimo fu però deposto a causa di una serie di intrighi di palazzo.
I nuovi capi siracusani tentarono di rinnovare i patti di amicizia con Roma, ma le macchinazioni di Ippocrate ed Epicide ebbero la meglio.
In particolare, Ippocrate ed Epicide si recarono dai Leontini, notoriamente anti-romani, e li convinsero a sollevarsi contro Roma. Marcello fu costretto ad intervenire: sconfisse nettamente gli avversari e attaccò la città, costringendo i due fratelli a scappare.
Ma Ippocrate ed Epicide furono in grado di volgere la situazione a loro vantaggio: tornati a Siracusa, si servirono di prove e testimoni falsi, e raccontarono al Senato siracusano di terribili violenze compiute dai romani contro i leontini, e convinsero i notabili siracusani che la stessa sorte sarebbe presto toccata anche a loro.
Con la loro propaganda, Ippocrate ed Epicide riuscirono raggiungere il loro obiettivo: Siracusa violò il patto con Roma, passando dalla parte dei Cartaginesi.
Marcello fu così costretto ad assediare Siracusa: si trattò di un assedio difficilissimo, in quanto la città era protetta sia dal mare che da terra da poderose fortificazioni, e aveva al suo servizio uno dei più grandi geni dell’umanità: Archimede, che oppose agli assedianti romani delle straordinarie macchine di difesa.
Furono necessari due lunghi anni di assedio per avere ragione di Siracusa.
Marcello, che dopo vari tentativi era quasi sul punto di rinunciare, aveva notato, quasi per caso, un punto debole nelle fortificazioni siracusane: approfittando di un momento di distrazione dovuto ad una tipica festa siracusana, i soldati di Marcello riuscirono a penetrare dentro il cuore di Siracusa.
Secondo la tradizione, durante gli scontri, il grande Archimede fu ucciso da un legionario: il fatto sconfortò Marcello, che non voleva togliere la vita ad uno scienziato, seppur avversario, tanto importante.
Dopo la sua vittoria a Siracusa, Marcello rimase in Sicilia, dove si impegnò a sconfiggere altre unità cartaginesi e diversi ribelli che minacciavano i possedimenti romani. Alla fine del 211 a.C, Marcello si dimise dal comando della provincia siciliana e fu sostituito da Marco Cornelio Cetego.
La battaglia di Numistro contro Annibale
Al suo ritorno a Roma, Marcello non ricevette gli onori trionfali che ci si sarebbe aspettati dopo una simile impresa: i suoi nemici politici furono particolarmente abili nel minimizzare le sue vittorie e a convincere il Senato che il suo intervento militare non era bastato per sradicare le minacce antiromane in Sicilia.
Claudio Marcello venne comunque rieletto console per la quarta volta nel 210 a.C.. L’elezione di Marcello non fu scevra da critiche: i nemici politici continuavano a sottolineare come l’intervento militare di Marcello in Sicilia fosse stato dominato da una particolare violenza nei confronti della popolazione e diversi rappresentanti delle città siciliane si presentarono al Senato Romano per lamentarsi dell’elezione di Marcello, chiedendo dei risarcimenti.
Per questo motivo, Marcello fu costretto a scambiare il controllo delle province con il suo collega ed assunse il comando dell’esercito romano in Puglia, riportando molte vittorie decisive contro i cartaginesi. Marcello conquistò così Salapia e due nuove città nella regione del Sannio.
Di lì a poco, l’esercito di Gneo Fulvio, un altro generale romano, fu completamente annientato da Annibale e Marcello ed il suo esercito si mossero immediatamente per limitare i movimenti del capo cartaginese nel sud Italia.
Marcello e Annibale arrivarono ad una battaglia campale vicino alla città di Numistro: l’esito dello scontro non è chiaro. Marcello rivendicò la vittoria contro il cartaginese, ma è più probabile che si sia trattato di una sorta di “pareggio”.
In seguito alla battaglia di Numistro, Marcello continuò a tenere sotto controllo Annibale, anche se i due eserciti non si scontrarono più in battaglie campali. Questo comportamento si presta, a distanza di secoli, a diverse interpretazioni: alcuni la vedono come una guerra di logoramento da parte di Marcello, sull’esempio del dittatore Quinto Fabio Massimo, che basava tutta la propria strategia sull’evitare le battaglie campali contro Annibale per stancare l’esercito avversario durante il tempo.
Altri sostengono che Marcello tentò di compiere diverse incursioni contro i cartaginesi, senza però trovare mai un momento adatto per una battaglia decisiva.
I nemici politici tornarono in azione: la fazione avversa a Marcello lo dipingeva come un generale cocciuto e incapace di affrontare l’avversario e che, anzi, stava facendo perdere tempo all’esercito romano.
Marcello difese più volte la sua strategia di fronte ai senatori: in questa fase le argomentazioni di Marcello dovettero essere più convincenti, dal momento che fu nominato console per la quinta volta nel 208 a.C..
La morte con le armi in pugno
Proprio quell’anno, Marcello rientrò in campo con le sue truppe a Minusio. E avvenne, inaspettatamente, la fine.
Durante una piccola ricognizione con il suo collega Tito Quinzio Crispino e un’unità di 220 cavalieri, cadde in un‘imboscata: i Cartaginesi massacrarono quasi completamente le forze che accompagnavano Marcello, il quale, resistendo fino all’ultimo, venne infine trafitto da una lancia e morì sul campo. Anche Crispino perse la vita per le ferite riportate nei giorni successivi.
Quando Annibale venne a sapere della morte di Marcello, il generale che cosi valorosamente gli aveva tenuto testa, decise di raggiungerlo per poterne onorare le spoglie e concesse a Marcello un onorevole funerale, riconsegnando le sue ceneri al figlio, contenute in un’urna d’argento con una corona d’oro.
Secondo Cornelio Nepote e Valerio Massimo, le ceneri non raggiunsero mai la sua famiglia, mentre altre fonti, come Plutarco, confermano che l’urna fu consegnata.
La perdita in pochi giorni di due consoli, fra cui il coraggioso ed irriducibile Marcello, furono un duro colpo per il morale dell’Esercito Romano.
Marcello rimane uno dei più grandi generali della storia romana, soprattutto per la conquista della Spolia opima: solo il mitico fondatore di Roma, Romolo, e Aulo Cornelio Cosso vennero insigniti dello stesso premio.
Marcello fu inoltre l’unico generale, eccetto Scipione, in grado di fermare Annibale sul campo, impedendogli di conquistare la città di Nola.
Per l’irriducibile fedeltà e il suo coraggio sul campo di battaglia, Marco Claudio Marcello venne soprannominato “la spada di Roma“: la sua attività ostacolò in maniera importante i movimenti di Annibale nel sud Italia, strappandogli la conquista di città strategiche e ritardando l’espansione cartaginese in Italia, prima dell’intervento romano in Spagna, che inizierà a ribaltare le sorti della Seconda Guerra Punica.