Lucio Quinzio Cincinnato (519 a.C – 430 a.C) era un aristocratico e patrizio romano, statista e capo militare vissuto agli albori della Repubblica romana che diventò rapidamente una leggenda e un simbolo di obbedienza allo stato e di virtù civica, preso ad esempio da tutti i politici delle epoche successive.
Cincinnato era un aristocratico conservatore, che si oppose fieramente alle aspirazioni dei plebei di aumentare i propri diritti nella società romana. Cincinnato lavorava nella sua piccola fattoria, fino a quando il pericolo rappresentato dalla tribù degli Equi costrinse i romani a richiedere il suo intervento.
Cincinnato ottenne il completo controllo sullo stato romano in virtù di dittatore, ma dopo aver ottenuto una rapida vittoria, rinunciò spontaneamente al suo potere e ai suoi privilegi ritornando all’umile lavoro nella sua fattoria.
I successi militari ottenuti, accompagnati dalla straordinaria umiltà del personaggio, ne fanno un simbolo senza tempo di virtù civica e di modestia.
Gli storici moderni mettono in dubbio la veridicità di alcuni dettagli della sua vita, probabilmente legati più alla leggenda che alla realtà o aggiunti successivamente dalla storiografia romana per creare dei paralleli con altri personaggi.
Lucio Quinzio Cincinnato: la giovinezza e le tensioni con i plebei
Secondo i tradizionali resoconti degli annalisti romani, Lucio Quinzio Cincinnato sarebbe nato intorno al 519 a.C, nell’ultimo decennio della monarchia dell’antica Roma. Apparteneva all’antica gens patrizia dei Quinctia, famiglia che, secondo le cronache di Tito Livio, abitava la città di Alba Longa in tempi addirittura precedenti alla fondazione di Roma e che venne trasferita nella nuova capitale dal Re Tullo Ostilio.
Il primo console appartenente al clan fu Tito Quinzio Capitolino Barbato, eletto nel 471 a.C. Alcuni studiosi ritengono possibile che Lucio e Tito Quinzio fossero fratelli.
Sappiamo da alcuni indizi nelle fonti antiche che la famiglia era benestante. Significativo era anche il Cognomen, “Cincinnato“. Nella struttura dei nomi romani, composti da Praenomen, Nomen e Cognomen, il Cognomen rappresentava solitamente un elemento distintivo del personaggio. Cincinnato, in particolare, significa “capelli ricci “.
Alla fine del 460 a.C, Roma era impegnata a respingere le incursioni della tribù degli Equi ad est. Nel frattempo, già dal 462 a.C, il tribuno Terentio Harsa aveva avviato una serrata propaganda politica per codificare e mettere per iscritto le leggi romane, fino a quel momento tramandate solamente per via orale, con l’intento di redigere una sorta di “costituzione” della repubblica romana in grado di regolare e limitare il potere quasi assoluto dei Consoli di origine Patrizia.
Negli anni che seguirono, le sue proposte e quelle dei suoi colleghi vennero sistematicamente ignorate o respinte, inizialmente con cavilli e astruse motivazioni procedurali, più tardi con la violenza, portata avanti dai partigiani dei Patrizi, tra cui presumibilmente anche il figlio stesso di Cincinnato, Caeso.
La violenta resistenza dei Patrizi suscitò tanta agitazione che un capopopolo di nome Appio Erdonio, di origine Sabina, riuscì ad impadronirsi del Campidoglio e a scatenare in città delle bande di fuorilegge e di schiavi, secondo il racconto di Tito Livio, o di soldati dei Sabini, secondo il resoconto di Dionigi di Alicarnasso.
Nel tentativo di riacquistare il controllo della città, il Console Publio Valerio Publicola venne ucciso nel 460 a.C. Così, Cincinnato divenne, anche se in maniera probabilmente illegale, console suffetto, sostituto, per il resto dell’anno. Ma il suo incarico venne macchiato dal comportamento del figlio.
Lucio Quinzio Cincinnato: l’aneddoto sul figlio Caeso
Secondo alcuni racconti tradizionali, proprio durante il Consolato del padre, il figlio di Cincinnato, Caeso sarebbe stato uno dei più fieri oppositori ai tentativi dei plebei di ottenere giustizia sociale ed in particolare di emanare la Lex Terentilia, che avrebbe codificato una volta per tutte la tradizione giuridica romana e avrebbe circoscritto l’autorità dei Consoli Patrizi.
Caeso avrebbe guidato personalmente un corteo di picchiatori lungo il foro romano alla ricerca dei plebei, interrompendo con la forza le procedure necessarie per approvare la legge.
Venne infine messo sotto processo, con il rischio della pena capitale, nel 461 a.C, ma fu rilasciato su cauzione. In quell’occasione, un plebeo di nome Marco Volscio testimoniò che suo fratello, già indebolito da una malattia, venne picchiato e ferito da Caeso con tale forza che in seguito perse la vita.
Invece di affrontare i suoi accusatori in tribunale, Caeso preferì trovare rifugio presso le città etrusche. Venne così condannato a morte in contumacia e il padre fu sottoposto ad una ingente multa, il che lo costrinse a vendere la maggior parte dei suoi possedimenti terrieri e a ritirarsi dalla vita pubblica per dedicarsi esclusivamente al lavoro nella sua piccola fattoria, in una zona ad Occidente del Tevere.
Gli storici moderni confutano tuttavia il dettaglio della multa, giudicandola un’invenzione successiva, inserita dagli storiografi per giustificare l’improvvisa povertà del dittatore ma anche per accrescerne le virtù morali. Altri storici invece rifiutano completamente questa parte della biografia di Cincinnato.
Lucio Quinzio Cincinnato: la prima dittatura contro gli Equi
Nel 458 a.C, la tribù degli Equi, stanziati ad est di Roma, avevano infranto un trattato di pace stipulato giusto l’anno precedente, e avevano tentato di riprendere il controllo della città di Tusculum, odierna Frascati.
I Consoli di quell’anno, Minucio Esquilino Augurino e Nauzio Rutilo, guidarono due eserciti, uno in soccorso di Tusculum e l’altro per invadere le terre degli Equi e dei loro alleati Sabini. Una volta raggiunto il monte Algido, nei pressi dei Colli Albani, l’esercito di Augurino si accampò e si riposò anziché attaccare immediatamente.
Gli Equi si schierarono rapidamente intorno agli accampamenti e li assediarono con successo. Secondo le cronache, si trattò di un massacro indescrivibile: solamente cinque cavalieri riuscirono a fuggire per annunciare al Senato quanto era accaduto.
Dal momento che il secondo esercito non aveva forze sufficienti ed era a sua volta assediato, i senatori caddero nel panico e autorizzarono la nomina di un magistrato straordinario, un dittatore, per un periodo di sei mesi. E la scelta ricadde su Cincinnato.
Un gruppo di Senatori si recò nelle tenute di Cincinnato per informarlo della sua nomina, trovandolo intento ad arare il terreno. Cincinnato, vedendo il gruppo di senatori, chiese: “Va tutto bene? “ e i messaggeri risposero: “Potrebbe andare meglio sia per te che per il tuo paese “.
I messaggeri chiesero a Cincinnato di indossare la toga e di recarsi in Senato. Cincinnato chiamò così sua moglie Racilia, dicendole di portargli immediatamente la toga che era conservata nella fattoria. Una volta indossati gli abiti ufficiali, la delegazione lo acclamò come dittatore e gli ordinò di raggiungere la città.
Cincinnato attraversò il Tevere su una delle barche ufficiali del Senato e venne accolto dai suoi tre figli e dalla maggior parte dei senatori che lo aspettavano trepidanti. Gli vennero così assegnati dei littori come protezione personale, pronti ad eseguire i suoi ordini.
La mattina dopo, Cincinnato raggiunse il foro e nominò Lucio Tarquinio suo Magister Equitum. Poi si recò di fronte all’assemblea del Popolo e ordinò che ogni uomo in età militare si presentasse al Campo Marzio entro la fine della giornata, portando con sé dei pali per costruire un accampamento, ma 12 volte in più della normale quantità di un legionario.
Con un esercito raccolto rapidamente, Cincinnato marciò in soccorso del console rimasto intrappolato. Durante la battaglia del Monte Algido, gli uomini usarono i loro pali per costruire delle fortificazioni necessarie per assediare gli Equi, che a loro volta assediavano il Console romano in difficoltà.
Una volta ottenuta la vittoria, invece di massacrare i nemici, Cincinnato accettò le loro richieste di grazia e offrì un’amnistia a condizione che i tre principali capipopolo che li avevano guidati fossero giustiziati e che gli altri gli fossero consegnati in catene.
Venne quindi organizzato un giogo, costituito da tre lance posizionate a diverse altezze: gli Equi furono costretti a passare sotto di esso in atto di sottomissione, inchinandosi di fronte a Cincinnato ed ammettendo la loro sconfitta.
Cincinnato sciolse così il suo esercito e tornò immediatamente alla sua fattoria, abbandonando il suo incarico dopo solo 15 giorni dacchè gli era stato conferito.
Lucio Quinzio Cincinnato: la seconda dittatura contro Spurio Maelio
Dopo il suo primo intervento e la sua prima dittatura, Cincinnato era ritornato al suo umile lavoro nei campi. Ma nel 439 a.C viene nuovamente nominato dittatore.
Il ricco plebeo Spurio Maelio stava utilizzando la sua enorme fortuna per comprare la lealtà dei plebei e per affermarsi come Re di Roma. I senatori chiamarono nuovamente Cincinnato per intervenire.
Cincinnato accettò nuovamente la carica e nominò come maestro di cavalleria Servilio Ahala: ordinò poi di portare immediatamente alla sua presenza Maelio per interrogarlo. Nel frattempo lui, assieme ad altri patrizi, presidiò il Campidoglio e posizionò dei soldati nelle altre roccaforti intorno a Roma.
In un primo momento, Maelio riuscì a ferire le guardie del corpo di Ahala con un coltello da macellaio e iniziò a fuggire in mezzo alla folla. Ahala, al comando di una banda di Patrizi, riuscì di lì a poco ad individuarlo e durante la fuga lo fece uccidere.
Cincinnato, risolto il tentativo di ribellione di Maelio, si dimise nuovamente dalla tsua carica, dopo soli 21 giorni di potere.
Cincinnato, ormai anziano, si ritirò nuovamente a vita privata. Una leggenda che circola sulla sua vecchiaia afferma che un giorno uno dei suoi figli venne accusato di incompetenza militare. Gli avvocati della difesa si rivolsero ai giudici chiedendogli chi sarebbe andato, in caso di condanna, ad annunciare al vecchio Cincinnato che suo figlio doveva finire in prigione. Il figlio venne quindi assolto perché nessuno nella giuria ebbe il coraggio di spezzare il cuore del vecchio condottiero.
La leggenda di Cincinnato e le contestazioni sulla veridicità della sua storia
Cincinnato divenne un’autentica leggenda per i romani. Per due volte gli era stato concesso il potere supremo, e per due volte non lo aveva conservato per un giorno in più del necessario. Aveva costantemente dimostrato grande onore e integrità e si era guadagnato l’alta stima di tutti i successivi politici romani e dei suoi compatrioti.
Tuttavia, diversi storici nutrono dei dubbi su alcune parti della sua esistenza. In particolare la storia di suo figlio Caeso non trova sufficienti riscontri nelle fonti, ed appartiene probabilmente alla leggenda. Inoltre alcune parti della sua vita potrebbero essere state aggiunte successivamente per realizzare dei parallelismi con personaggi più moderni.
Ad esempio, il suo comportamento durante la battaglia del Monte Algido potrebbe essere stata una aggiunta dagli storiografi successivi per creare un parallelo con Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore nel 217 a.C, quando salvò Minucio Rufo da Annibale.
Fonti
- Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane , Libro X , 23–25 .
- Florus , Epitome della storia romana , Libro I , 11 .
- Livio , Storia di Roma , Libro III, 26–29.
- Plinio il Vecchio , Storia naturale , Libro XVIII, 4.