La battaglia di Legnano è stato uno degli scontri decisivi dell’alto medioevo ed è entrato a buon diritto nella storia: i comuni dell’Italia settentrionale, prevalentemente lombardi e veronesi riuniti nella famosissima “Lega Lombarda” riuscirono a sconfiggere l’esercito dell’imperatore del Sacro Romano Impero, Federico Barbarossa.
Anche se la Lega Lombarda fu un’alleanza militare ispirata dal papato e dedicata alla difesa nel breve periodo del territorio, senza alcuna velleità di unità nazionale, costituì tuttavia un celebre esempio di come le forze italiane, riunite e coordinate fra di loro, furono in grado di trionfare su eserciti germanici ritenuti quasi invincibili, infliggendo un’eterna umiliazione all’imperatore tedesco, che fu costretto a rinunciare alla sua diretta autorità sul nord Italia.
Il Sacro romano Impero guidato da Federico Barbarossa
L’alto Medioevo era dominato dalla potenza politica e militare del Sacro romano Impero, che si considerava il successore dell’Impero romano d’Occidente, guidato da un imperatore e da una classe dirigente costituita da principi guerrieri tedeschi. Nel 1152, Federico Hohenstaufen, detto Barbarossa, raggiunse il trono.
Il sovrano si trovò immediatamente di fronte a due sfide politiche importanti: la prima era quella di appianare le contese territoriali che dilaniavano la nobiltà tedesca, la seconda consisteva nel ristabilire l’autorità imperiale nel nord Italia.
I comuni lombardi, dotati di un’economia, società e cultura profondamente diverse da quelle germaniche, miravano infatti all’indipendenza, una volontà di autonomia che si manifestava sempre più chiaramente durante il tempo: i comuni italiani iniziavano infatti a non riconoscere più l’autorità dei funzionari imperiali e affermavano la volontà sempre più forte di nominare autonomamente il Podestà, la massima autorità amministrativa dei comuni italiani, senza l’approvazione dell’imperatore tedesco.
Le mire autonomistiche dei comuni del nord Italia, venivano inoltre appoggiate politicamente dal papato di Roma. Il Papa, l’altro grande potere medievale, mirava infatti ad utilizzare gli eserciti dei comuni italiani per limitare l’influenza dell’imperatore tedesco.
Federico Barbarossa fu così costretto a scendere ripetutamente in Italia per riaffermare militarmente il suo potere: durante la prima discesa, ad esempio, saccheggiò la città di Tortona e nel 1155 si fece incoronare re d’Italia nella Basilica di San Michele a Pavia. Dopodiché, raggiunto con il suo esercito direttamente la città di Roma, soppresse delle rivolte e insediò sul trono Papa Adriano IV, che il 18 giugno del 1155 lo incoronò imperatore del Sacro romano Impero, legittimando il suo potere di fronte a tutta la cristianità.
Tuttavia, i comuni italiani continuavano a non accettare il potere imperiale, e Barbarossa fu costretto a calare altre tre volte, mettendo sistematicamente a ferro e fuoco le città del nord Italia, che non si piegavano alla sua autorità.
Il momento di rottura avvenne poco prima della quinta calata in Italia. L’imperatore eseguiva ormai ripetute ingerenze nei confronti del papato, e alla morte di Adriano IV, il suo successore, Alessandro III, si mise drasticamente in opposizione al Barbarossa.
Per tutta risposta, l’imperatore nominò una serie di antipapi, il che costituiva per il Santo Padre un affronto inaccettabile. Durante l’ennesima calata, nel 1162, Barbarossa mise a ferro e fuoco le città di Milano e di Crema, radendole quasi al suolo, e dopo aver raggiunto Roma costrinse Alessandro III a scappare in Francia, insediando al suo posto il nuovo Papa Pasquale III, alle sue dirette dipendenze.
Dalla Francia, Alessandro scomunicò Federico Barbarossa, il che, assieme all’avvio di azioni diplomatiche con i comuni del nord Italia, equivalse ad una dichiarazione di guerra.
La nascita della Lega Lombarda
Alessandro III, ritornato a Roma, iniziò immediatamente ad utilizzare il suo potere politico e le sue capacità diplomatiche per riunire i comuni del nord Italia contro l’imperatore. Così, il 7 aprile 1167, presso l’abbazia di Pontida, ancora oggi in provincia di Bergamo, venne costituita la Lega Lombarda, in latino “Societas Lombardiae”, che inizialmente includeva le città di Milano, Lodi, Ferrara, Piacenza e Parma.
Con questa alleanza militare, i comuni promettevano di aiutarsi l’un l’altro per impedire una nuova incursione degli eserciti imperiali. Già nel dicembre dello stesso anno, la lega si allargò con l’entrata della Lega Veronese, fino a raggiungere nell’arco di pochi mesi una cordata di 30 comuni.
Il principale simbolo della Lega Lombarda era il Carroccio. Si trattava di un carro di legno trainato da 3 coppie di buoi sulla cui sommità vi era un palo con una croce d’oro e un vessillo, a volte di Gesù Cristo, a volte di Sant’Ambrogio, o comunque del Santo che proteggeva lo specifico comune. Il Carroccio rappresentava la libertà e l’autonomia dei comuni Lombardi, e sul campo di battaglia costituiva un simbolo da difendere ad ogni costo, oltre che un punto di riferimento per l’esercito.
Un primo importante atto di ribellione nei confronti dell’imperatore da parte della Lega Lombarda fu la fondazione della città di Alessandria, così chiamata in onore di Alessandro III. La fondazione di una nuova città senza l’approvazione imperiale costituiva un ennesimo esempio della volontà dei comuni di autogestirsi e rappresentò un vero e proprio “guanto di sfida” che Barbarossa non poteva ignorare.
La nuova calata di Barbarossa e l’assedio di Alessandria
Già nell’aprile del 1173, Federico Barbarossa organizzò una nuova calata militare nel nord Italia. L’imperatore riuscì a radunare un esercito di 10.000 soldati, prevalentemente cavalleria germanica pesante. L’arcivescovo di Magonza, Cristiano di Buch, diede la propria benedizione all’esercito imperiale che partì rapidamente alla volta del nord Italia.
Nel settembre 1174, Barbarossa superò le Alpi, evitando il classico e prevedibile passaggio dal Brennero, e scegliendo invece di entrare in Italia dal Valico del Moncenisio, al confine tra le Alpi Cozie e le Alpi Graie. Sbucato in Val di Susa, gli eserciti imperiali iniziarono a devastare il territorio: questa prima azione violenta provocò l’immediata diserzione di alcuni comuni Lombardi, che giurarono nuovamente fedeltà all’imperatore, tra cui Pavia, fedele alleata di Barbarossa.
Dopo i primi successi, Barbarossa scelse di procedere con l’assedio di Alessandria, sia per garantirsi il controllo di una città strategicamente importante, ma soprattutto per il suo valore simbolico di ribellione alla propria autorità. Tuttavia, Alessandria era stata fondata con poderose mura, e la popolazione oppose una strenua resistenza al nemico.
Così, gli eserciti imperiali passarono tutto l’inverno del 1174 accampati nei pressi delle mura di Alessandria, soffrendo la fame e il freddo. Nell’aprile del 1175, rendendosi conto che l’assedio stava prolungandosi pericolosamente, Barbarossa cercò di risolvere la situazione facendo scavare due tunnel sotterranei per penetrare all’interno della città. Per sua sfortuna, le sentinelle si accorsero del tentativo, ed uccisero gli uomini addetti agli scavi compiendo anche una sortita all’esterno della città, che gli permise addirittura di attaccare e di incendiare i macchinari d’assedio.
Così, verso la fine del mese, Barbarossa si rese conto che non sarebbe stato in grado di conquistare la città e fu costretto a levare l’assedio. La scelta di Barbarossa di concentrare le proprie forze militari su Alessandria costituì un grave errore strategico: l’imperatore aveva infatti perso uomini e tempo prezioso e si ritrovò in inferiorità numerica rispetto ai Comuni, che avevano avuto tutto il tempo di organizzare i propri eserciti.
Perfettamente consapevole del proprio sbaglio, Barbarossa si ritrovò nel nord Italia a corto di soldati. Vennero immediatamente inviati dei messaggeri per richiedere aiuto, soprattutto a suo cugino, Enrico Leone, Duca di Sassonia, il cui contributo sarebbe stato di fondamentale importanza.
Purtroppo per il Barbarossa, Enrico negò il suo appoggio e l’imperatore ottenne degli esigui rinforzi da alcuni principi tedeschi e dalle forze militari del comune di Como. Al termine di tutti i suoi sforzi, Barbarossa aveva a disposizione solamente 1000 cavalieri e 2000 fanti, contro un esercito comunale di circa 15000 uomini, ai quali si stavano presto aggiungendo altri 15000 effettivi.
I movimenti sul territorio e l’incontro tra i due eserciti
Barbarossa poteva contare solamente sull’effetto sorpresa e sulla velocità di marcia. Per questo motivo, addentrandosi nel territorio Lombardo, riuscì ad intercettare l’esercito dei comuni tra i fiumi Olona e Ticino. L’imperatore si posizionò dapprima nella piccola cittadina di Castelseprio, sulla sponda sinistra dell’Olona, e successivamente si spostò poco più a sud, a Cairate.
Il suo esercito venne inviato in ricognizione, con un’avanguardia di 300 cavalieri che battevano il territorio.
Nel frattempo, l’esercito dei Comuni, che faceva base a Milano, pensava che l’imperatore fosse molto più lontano, tanto da ritenere che il suo esercito si trovasse ancora a Bellinzona. Così, con tutta calma, i soldati lombardi uscirono dalle porte di Milano, costeggiando con calma il fiume Olona e si attestarono a 20 km dalla cittadina di Legnano, che darà il nome alla battaglia.
I generali dei Comuni ritenevano che l’imperatore avrebbe attaccato da Castellanza, sempre sulla riva sinistra dell’Olona, e posizionarono il Carroccio sul fondo di una vallata, adeguatamente protetto.
Dopodiché, l’esercito comunale distaccò 700 cavalieri per ricognizione: i cavalieri comunali di avanguardia, all’uscita di un bosco, si imbatterono per puro caso con i 300 cavalieri avversari. Fu una vera sorpresa, in quanto l’esercito comunale si rese conto che l’imperatore era molto più vicino rispetto al previsto e che l’attacco proveniva dalla zona di Borsano, esattamente all’opposto di Castellanza.
La battaglia di Legnano: il combattimento tra cavallerie
I 700 cavalieri comunali, in superiorità numerica, ebbero presto la meglio sugli avversari. Barbarossa, adeguatamente informato dell’inizio degli scontri, doveva rapidamente decidere il da farsi. Secondo diverse fonti del tempo, i suoi principali consiglieri militari gli avrebbero suggerito di evitare il combattimento, e di cercare di raggiungere Pavia, aspettando l’arrivo di interiori rinforzi.
Tuttavia, Barbarossa temeva che l’esercito comunale, che stava richiamando soldati da tutto il nord Italia, sarebbe presto diventato troppo numeroso per essere affrontato. Inoltre, scappare alla prima occasione di fronte agli avversari rappresentava un inaccettabile danno di immagine e di prestigio.
Per questo motivo, Barbarossa si mise personalmente al comando dell’esercito e si gettò con tutti i suoi cavalieri contro il nemico. L’avanguardia dei cavalieri comunali, vedendosi piombare addosso il grosso dell’avversario, iniziò a scappare. Anche la cavalleria comunale al fianco dei fanti andò nel panico e tutti i cavalieri dei comuni iniziarono a fuggire dal campo di battaglia, cercando rifugio presso le porte di Milano. Con questo atto di vigliaccheria, la fanteria comunale rimase completamente da sola ed isolata contro Barbarossa, in preda alle devastanti cariche della cavalleria germanica.
Barbarossa riteneva di avere la vittoria in pugno: secondo la cultura militare dell’alto medioevo, la cavalleria era nettamente più potente ed efficace rispetto alla sola fanteria. L’imperatore tedesco era quindi convinto che avrebbe facilmente distrutto l’avversario.
La battaglia di Legnano: l’eroica resistenza dei fanti comunali
In realtà, i circa 10 mila fanti comunali dimostrarono un’organizzazione ed un coraggio fuori dal consueto: incoraggiati dalla presenza del Carroccio e dandosi forza l’uno con l’altro, la fanteria si dispose su 5 linee di difesa. La prima linea si inginocchiò, presentando lo scudo, e tra uno scudo e l’altro vennero infilate delle aste. La seconda fila, rimanendo in piedi, fece altrettanto, e tutte le file andarono a costituire un corposo ed inattaccabile ammasso di scudi e di lance per neutralizzare le cariche di cavalleria germanica.
Barbarossa lanciò per ore i suoi cavalieri contro i fanti, i quali furono in grado di resistere sistematicamente a tutte le ondate di attacco. Con il passare del tempo, secondo i cronisti antichi, le prime quattro file vennero infine distrutte, ma la quinta resistette quasi incredibilmente.
Così, nel frattempo, i contingenti di cavalleria vicino alle mura di Milano ripresero coraggio e furono accresciuti da contingenti di rinforzo. Contando ora su una netta superiorità di cavalleria, le unità ritornarono alla carica sul campo di battaglia, investendo l’esercito di Barbarossa sul fianco e sul retro, e mandando i soldati imperiali completamente al collasso.
Durante la battaglia, il portastendardo germanico venne trafitto da una lancia e fu massacrato dagli zoccoli dei cavalli imbizzarriti. Anche lo stesso Barbarossa decise di compiere un’azione eroica, puntando direttamente ad attaccare il Carroccio, sperando di fiaccare l’animo dei nemici. Tuttavia, nel mezzo del combattimento, Barbarossa cadde da cavallo, sparendo dalla vista. Così, l’esercito germanico rimase privo della sua principale guida ed iniziò a scappare, allontanandosi dal campo e cercando rifugio superando frettolosamente il Ticino.
I soldati imperiali vennero inseguiti e sterminati dalla cavalleria comunale, che fu in grado di infliggere al nemico un annientamento quasi totale. Gli unici sopravvissuti, deviarono verso Pavia, che aprì le porte agli sfollati. Dopo alcune ore, lo stesso Barbarossa, che era stato dato per morto, si presentò di fronte alle mura di Pavia, ferito ed umiliato, chiedendo di essere accolto.
Le conseguenze della battaglia di Legnano e la Pace di Costanza (1183)
La battaglia di Legnano ebbe delle conseguenze gravissime per l’autorità imperiale. Dopo quello smacco, i principi tedeschi negarono ulteriore aiuto militare all’imperatore, che non fu più in grado di organizzare significative spedizioni militari nel nord Italia.
Anche sotto l’aspetto della reputazione e del prestigio, Barbarossa ebbe un notevole danno e dovette rivedere i suoi obiettivi geopolitici, rinunciando per sempre al controllo diretto sui comuni Lombardi.
Il risultato di quella straordinaria vittoria venne concretizzato nella “Pace di Costanza” del 25 giugno 1183. Nonostante un ultimo tentativo di resistenza, Barbarossa fu costretto a concedere ai comuni italiani notevoli privilegi e concessioni.
I principali furono il riconoscimento ufficiale della Lega Lombarda, l’autonomia nella gestione delle terre, la possibilità di costruire mura e fortificazioni a proprio piacimento e un’ampia libertà amministrativa. Infine, i Comuni ottennero la tanto agognata possibilità di scegliere autonomamente il proprio Podestà, che veniva ratificato solo formalmente dall’imperatore.
La battaglia di Legnano e la vittoria dei comuni italiani entrò nella storia, anche se gli stessi, presi da contese territoriali interne ed incapaci di coordinarsi se non di fronte ad un nemico comune, non riuscirono a costituire il nerbo di una identità nazionale, anche per l’intervento del papato, che nonostante fosse in grado di ispirare delle coalizioni per le esigenze contingenti, remava drasticamente contro la creazione di stati e nazioni unitari.