Il grande incendio di Roma fu un incendio urbano avvenuto il 18 luglio del 64 d.C, sotto l’imperatore Nerone.
L’incendio divampò nelle botteghe dei mercanti che si trovavano attorno al Circo Massimo, esattamente la notte del 19 luglio. Dopo 6 giorni l’incendio venne domato, ma prima che si potessero valutare i danni, questo si riaccese e continuò a bruciare per altri tre giorni.
All’indomani dell’incendio, due terzi della città di Roma erano andati completamente distrutti.
Secondo Tacito e soprattutto secondo la tradizione Cristiana successiva, l’imperatore Nerone incolpò della devastazione la comunità cristiana presente in città, dando inizio alla prima persecuzione dell’impero nei confronti dei Cristiani.
I precedenti incendi registrati nella città di Roma
Anche se l’incendio del 64 d.C fu particolarmente devastante ed entrò per sempre Nella storia, Roma aveva una lunga tradizione di incendi precedenti. In particolare:
- Nel 6 d.C, un incendio distrusse la stazione dei Cohortes Vigiles
- Nel 12 d.C venne distrutta la basilica Julia
- Nel 14 d.C venne distrutta la basilica Emilia
- Nel 22 d.C un incendio compromise gran parte delle strutture del Campo Marzio
- Nel 26 d.C un incendio colpi il colle Celio
- Nel 36 d.C un incendio distrusse gran parte del Circo Massimo
La dinamica del grande incendio di Roma del 64 d.C
Secondo lo storico Tacito, l’incendio divampò nelle botteghe dove erano immagazzinati alcuni beni infiammabili, ed in particolare nella regione del Circo Massimo, posizionata tra i colli Celio e Palatino, nel cuore di Roma.
La notte era ventosa e le fiamme si propagarono con particolare rapidità per tutta la lunghezza del Circo Massimo. L’incendio si estese ad un’area composta da strade strette e tortuose e attecchì soprattutto nei condomini vicini.
Roma era caratterizzata da grandi condomini, con poco spazio tra l’uno e l’altro, realizzati prevalentemente in legno, e dunque facilmente infiammabili.
In quella zona dell’antica Roma non c’erano inoltre dei grandi edifici con particolare spazio, come i templi, che potessero rallentare la diffusione delle fiamme.
L’incendio si diffuse poi lungo le pendici del Palatino e del Celio, ingrossandosi sempre di più.
La popolazione fuggì prima nelle zone che non erano ancora state colpite dall’incendio e poi nei campi aperti e nelle strade rurali che si trovavano nella campagna immediatamente circostante.
Diversi saccheggiatori e piromani avrebbero approfittato della situazione per appiccare ulteriori incendi secondari tramite il lancio di torce oppure, agendo in gruppo, ostacolando l’adozione delle misure necessarie per rallentare o arrestare l’avanzata delle fiamme.
Diverse fonti antiche, soprattutto Tacito, ci riportano la presenza di alcuni gruppi che appiccavano sistematicamente fuoco ai condomini non ancora invasi dalle fiamme ed interrogati sul motivo per cui si stavano comportando in quel modo, alcuni responsabili avrebbero detto di essere stati pagati per farlo.
Il fuoco si fermò spontaneamente dopo sei giorni di combustione continua. Tuttavia, prima che si riuscisse a capire esattamente da dove avevano avuto origine le fiamme, l’incendio si riaccese e bruciò per altri tre giorni.
Dei 14 distretti di Roma, tre furono totalmente devastati, altri 7 furono ridotti a cumuli di rovine bruciate e solamente quattro sfuggirono completamente ai danni provocati dalle fiamme.
Tra i principali monumenti che vennero totalmente rasi al suolo dalla furia del fuoco vi fu il tempio di Giove Statore, la casa delle vestali, lo stesso palazzo di Nerone, la Domus transitoria. Anche una importante porzione del Foro venne totalmente rasa al suolo, una zona chiave della città dove vivevano e lavoravano ogni giorno ai senatori romani.
Il comportamento dell’imperatore Nerone
Nell’anno in cui scoppiò il grande incendio di Roma, il 64 d.C, l’imperatore in carica era Nerone.
Nerone non godeva di una buona reputazione: dopo cinque anni di amministrazione illuminata, sostenuta dal suo principale consigliere, Seneca, avviò una serie di omicidi e diede il via ad un governo dominato dall’impulsività e dalla propria tirannia personale.
Tuttavia, secondo il resoconto di Tacito, al momento dello scoppio delle fiamme Nerone si trovava lontano da Roma, e precisamente nella città di Anzio. Sembra che Nerone sia tornato al più presto in città prendendo subito quelle misure necessarie per fornire cibo agli sfollati, aprendo addirittura degli edifici pubblici e dei giardini privati per accogliere al meglio i rifugiati.
L’Imperatore si prodigò in una rapidissima ricostruzione: attraverso l’emanazione di nuove lungimiranti regole edilizie, Nerone avviò la ricostruzione dei principali monumenti che erano andati distrutti.
Queste misure furono accompagnate anche da alcune leggi volte a frenare gli eccessi della speculazione edilizia: probabilmente l’imperatore tenne conto che a provocare o ad esagerare l’incendio vi furono diversi piromani, mandati appositamente da imprenditori senza scrupoli.
Nerone colse l’occasione per tracciare un nuovo piano urbanistico di Roma, che ancora oggi si può scorgere nella pianta della città. Ricostruì gran parte dell’area distrutta e fece costruire un enorme complesso edilizio, sua residenza personale, nota come Domus Aurea, a sostituire la Domus transitoria che era stata mangiata dalle fiamme.
Le ipotesi sul reale andamento dell’incendio
Sull’incendio del 64 d.C abbiamo diversi resoconti storici. I resoconti primari, ovvero quelli redatti dai testimoni oculari dell’incendio, appartenevano a Fabio Rustico, Marco Rufo e Plinio il Vecchio, ma purtroppo non sono sopravvissuti. Disponiamo infatti di tre fonti secondarie: Dione Cassio, Svetonio e Tacito.
Riassumendo le ipotesi sull’andamento dell’incendio, vi sono diverse versioni riguardanti la dinamica delle fiamme e il comportamento dell’imperatore Nerone.
L’ipotesi dell’incendio scatenato per distruggere la città
Una prima ipotesi si basa sulla congettura che Nerone abbia coltivato nel corso del tempo il profondo desiderio, completamente folle, di distruggere la città di Roma. Per questo motivo avrebbe inviato segretamente dei propri piromani che, fingendo di essere ubriachi, avrebbero appiccato le fiamme. Nerone avrebbe osservato dal suo palazzo, sul colle Palatino, la città di Roma che andava a fuoco, addirittura, secondo Dione Cassio, cantando e suonando la lira.
Sempre relativamente a questa versione, vengono citati altri luoghi da cui Nerone potrebbe aver cantato, che sono la torre di Mecenate sull’Esquilino o un proprio palco privato in una delle sue residenze.
L’ipotesi dell’incendio per ricostruire Roma
Una seconda ipotesi indica un Nerone motivato a distruggere la città di Roma, ma non per il semplice gusto di vederla distrutta, quanto per poter aggirare la necessità di ottenere il permesso dal Senato e ricostruire la capitale a suo piacimento.
L’ipotesi secondo cui Roma si trovava fuori città
Secondo Tacito, l’incendio fu un puro incidente, dovuto certamente alla poca manutenzione da parte dell’imperatore, ma senza una volontà dolosa. Al momento dello scoppio dell’incidente, Nerone si sarebbe trovato nella sua villa di Anzio, del tutto estraneo alla partenza delle fiamme.
L’ipotesi della colpa riversata sui cristiani
Quest’ultima ipotesi attribuisce a Nerone la volontà di appiccare l’incendio a Roma. Tuttavia, volendo riversare la colpa su qualcun altro e scagionare se stesso dalle accuse, avrebbe preso come capro espiatorio la setta dei Cristiani, che apparivano già particolarmente impopolari ai cittadini romani e praticavano dei rituali abbastanza incomprensibili, che ben si prestavano alla sua accusa.