Gneo Pompeo Magno (29 settembre 106 a.C. – 28 settembre 48 a.C.) fu un generale e uomo di stato romano.
Membro della nobiltà senatoriale, Pompeo intraprese una carriera militare folgorante e si distinse al servizio del generale Silla come comandante nella guerra sociale dell’83-82 a.C.
Il successo di Pompeo come generale gli permise di ottenere il consolato senza seguire il tradizionale cursus honorum (i passaggi richiesti per avanzare in una carriera politica).
Fu eletto console in tre occasioni (70, 55, 52 a.C.). Celebrò tre trionfi, e servì come comandante nella guerra contro Sertorio, nella terza guerra servile, nella terza guerra mitridatica e in varie altre campagne militari, come la guerra contro i pirati nel Mediterraneo. Il precoce successo gli valse il cognome di Magnus – “il Grande” – in onore del suo eroe dell’infanzia, Alessandro Magno. I suoi avversari gli diedero il soprannome di adulescentulus carnifex (“macellaio adolescente”) per la sua spietatezza.
Nel 60 a.C., Pompeo si unì a Crasso e Cesare in una alleanza politica privata nota come il “Primo Triumvirato”, che gli consegnò il comando della politica romana, cementata dal matrimonio di Pompeo con la figlia di Cesare, Giulia.
Dopo la morte di Giulia e Crasso (nel 54 e 53 a.C.), Pompeo passò alla fazione politica degli ottimati, la parte conservatrice del Senato romano. Pompeo e Cesare iniziarono quindi a contendersi la leadership dello stato romano, arrivando alla guerra civile contro Cesare, recente conquistatore delle Gallie.
Dopo una prima vittoria a Durazzo, Pompeo fu infine sconfitto nella battaglia di Farsalo nel 48 a.C. Cercò rifugio in Egitto, dove fu assassinato a tradimento dai cortigiani di Tolomeo XIII.
L’ascesa sotto Silla
Pompeo proveniva da una famiglia di nobili senatori. Grazie alla sua fluente conoscenza del greco e alla stretta amicizia con i letterati greci, è probabile che abbia ricevuto un’educazione adeguata per un giovane nobile romano. La sua prima esperienza militare avvenne al fianco di suo padre, Pompeo Strabone, che lo ha aiutato a formare il suo carattere, a sviluppare le sue abilità militari e a far crescere la sua ambizione politica.
La famiglia di Pompeo possedeva terreni nella regione del Picenum, che corrisponde all’attuale zona marchigiana dell’Italia orientale, e vantava un vasto seguito di clienti, che Strabone ampliò notevolmente durante il suo mandato da console.
Durante la guerra civile tra i generali Lucio Cornelio Silla e Gaio Mario (88-87), Strabone si schierò contro Silla e appoggiò invece i Mariani.
Dopo la morte del padre, tuttavia, Pompeo si allontanò presto dal movimento mariano e, anzi, dotato di notevole iniziativa, si guadagnò il favore di Silla con azioni che dimostravano una grande capacità organizzativa.
Si presentò infatti con tre legioni, da lui autonomamente reclutate nel Picenum, e si unì a Silla come alleato nella campagna per strappare Roma e l’Italia ai Mariani nell’83. Silla, che apprezzò moltissimo la sua collaborazione, fece largo uso delle abilità militari del giovane Pompeo, il quale sposò anche la figliastra di Silla.
Per ordine di Silla, il Senato affidò a Pompeo il compito di recuperare la Sicilia e l’Africa dai Mariani, un incarico che portò a termine in due campagne lampo nel 82-81.
I capi mariani che si arresero a Pompeo furono uccisi senza pietà; per questo motivo, tra i suoi nemici, egli venne chiamato il “macellaio” di Silla, mentre tra le truppe venne acclamato come “Imperator” e “Magnus”.
Pompeo, tuttavia, dimostrò anche di saper forzare la situazione. Dall’Africa, Pompeo chiese di poter celebrare il trionfo a Roma e si rifiutò di sciogliere il suo esercito, presentandosi alle porte della città, e costringendo di fatto Silla a concedergli ciò che chiedeva.
Dopo l’abdicazione di Silla, Pompeo sostenne la candidatura di Marco Lepido per il consolato del 78. Tuttavia, una volta salito al potere, Lepido tentò una rivolta che Pompeo non esitò a reprimere, schierandosi a favore del Senato. Terminata la rivolta, Pompeo rifiutò di sciogliere il suo esercito e lo usò per esercitare pressione sul Senato, ottenendo il comando proconsolare per unirsi al generale Metello Pio, impegnato in Spagna contro il capo mariano Sertorio.
La campagna contro Sertorio
Durante la campagna per riconquistare la Spagna, Pompeo fu messo alla prova non solo dal punto di vista militare.
Sertorio era un generale romano esperto di guerriglia, che, ribellatosi al governo di Roma, aveva creato una sorta di “stato indipendente” in Spagna. La guerra durò diversi anni e fu caratterizzata da una serie di tattiche militari innovative, utilizzate da entrambi i lati.
Pompeo era determinato a porre fine alla rivolta di Sertorio, ma inizialmente ebbe poco successo, in parte perché Sertorio aveva il supporto dei popoli locali e in parte perché la sua tattica era particolarmente efficace contro le truppe romane regolari. Tuttavia, presto anche Pompeo iniziò a sviluppare nuove tattiche che gli permisero di combattere contro Sertorio con successo.
Dopo diversi anni di guerra, Pompeo riuscì a batterlo, ponendo fine alla sua rivolta e riportando la Spagna sotto il controllo romano.
Nel frattempo, Pompeo intesseva legami politici: la sua strategia era orientata alla riconciliazione e alla riabilitazione dei vecchi seguaci di Silla, e al termine della guerra contro Sertorio, la sua influenza personale e il suo patrocinio si estendevano ora sulla Spagna, la Gallia meridionale e l’Italia settentrionale.
Contraddicendo gli ordini di Metello, Pompeo decise di riportare il suo esercito in Italia, usando il pretesto di dover sedare la rivolta degli schiavi guidata da Spartaco: in realtà il suo ruolo nella sconfitta di Spartaco fu marginale, ma i suoi luogotenenti riuscirono a portare la notizia della vittoria in Senato prima dei messaggeri del vero generale che lo aveva affrontato, Licinio Crasso, attribuendo a Pompeo tutto il merito.
Nonostante ciò, Pompeo e Marco Licinio Crasso misero momentaneamente da parte i rancori personali e usarono la presenza delle legioni per fare pressione sul Senato: i due furono eletti congiuntamente consoli nel 70 a.C e a Pompeo fu concesso un altro trionfo.
Durante il loro consolato, Pompeo e Crasso, seppur litigando continuamente, abrogarono le riforme politiche di Silla, ripristinando i poteri dei tribuni della plebe e privando i senatori del loro monopolio come giurati nei tribunali permanenti.
Le campagne di Pompeo contro i pirati e in Oriente
Pur essendo i nobili i dominatori delle elezioni consolari, le vere leve del potere si trovavano ormai nei generali in grado mobilitare le legioni. Il Senato aveva infatti bisogno di recuperare il controllo del mare Mediterraneo dai pirati, ed erano pronti ad affidare ad un generale un comando straordinario.
Pompeo si propose subito come volontario, ma nel Senato vi fu titubanza ad affidare un potere militare così vasto ad un generale che aveva già dimostrato di fare un uso quasi spregiudicato delle legioni.
Nonostante alcuni tentativi di ostacolarlo, nel 67 a.C, il tribuno Aulo Gabinio fece passare un disegno di legge attraverso l’assemblea popolare che autorizzava Pompeo ad affrontare il problema dei pirati.
Questa fu l’occasione perfetta per Pompeo, che si dimostrò subito all’altezza della situazione. In poco tempo, organizzò una flotta e iniziò una campagna senza precedenti contro i pirati del Mediterraneo, utilizzando non solo l’abilità militare ma anche le sue doti diplomatiche per convincere alcuni dei loro leader ad arrendersi.
Mentre Pompeo si trovava ancora in Oriente, impegnato nel reinsediamento dei pirati trasformati in pacifici agricoltori, un altro tribuno, Gaio Manilio, portò avanti a Roma un disegno di legge che nominava Pompeo comandante contro Mitridate, re del Ponto, un regno dell’Asia Minore che confinava con il Mar Nero, che sfidava il potere romano ad est.
La proposta fu approvata, concedendo a Pompeo pieni poteri per organizzare la guerra, pacificare e riorganizzare l’amministrazione delle province orientali romane.
Pompeo, spodestando il generale Lucullo, da tempo impegnato contro Mitridate, riuscì rapidamente a concludere la guerra, e dopo la morte di Mitridate nel 63 a.C, pianificò il consolidamento delle province orientali e dei regni di frontiera.
Pose il re Tigrane al comando dello stato cuscinetto di Armenia. Inoltre, respinse la richiesta del re partico di riconoscere il fiume Eufrate come confine romano ed, al contrario, estese la catena romana di protettorati per includere la Colchide, sul Mar Nero, e gli stati a sud del Caucaso.
In Anatolia, creò le nuove province di Bitinia-Ponto e Cilicia, annesse la Siria mentre lasciò la Giudea come uno stato ancora indipendente, benchè tributario di Roma.
La riorganizzazione dell’Oriente fu uno dei più grandi successi di Pompeo, che riuscì a raggiungere grazie alla sua comprensione profonda dei fattori geografici e politici della regione. Pompeo riuscì a creare un equilibrio che costituì la base del sistema difensivo dell’Oriente romano che durò per oltre 500 anni, con poche modifiche significative.
Nel dicembre del 62 a.C, Pompeo raggiunse il culmine del potere e del prestigio sbarcando a Brundisium (Brindisi) e congedando l’esercito, mentre il suo terzo trionfo nel 61 d.C fu un’ulteriore conferma del suo successo.
Tuttavia, il suo potere politico venne gradualmente minato da diversi oppositori. I nemici di Pompeo erano gli Optimates, ovvero gli aristrocratici, che se da un lato gli avevano affidato incarichi militari per risolvere problemi urgenti come i pirati o Mitridate, si erano resi conto che troppe volte Pompeo aveva forzato la situazione e ottenuto incarichi con la forza.
Tornato in Italia, Pompeo si rese perfettamente conto dell’atteggiamento ostile del Senato ma evitò di schierarsi con i Populares contro gli Optimates, poiché non era un rivoluzionario.
Dopo aver divorziato dalla sua terza moglie, Mucia, per presunto adulterio con Giulio Cesare, propose di allearsi politicamente con Marco Porcio Catone il Giovane, esponente dell’aristocrazia senatoria, proponendosi anche di sposarne la figlia, ma la sua offerta fu respinta.
I nobili serravano i ranghi contro di lui, determinati soprattutto ad impedire la ratifica delle sue decisioni in Oriente e a respingere la sua richiesta di terra per i suoi veterani.
Il primo triumvirato con Crasso e Cesare
L’aiuto per Pompeo arrivò solo quando Cesare fece ritorno dal suo governatorato in Spagna. Su iniziativa di Cesare, e insieme a Crasso, formarono il “Primo Triumvirato”, una accordo privato e segreto, che sarebbe diventato molto più di un semplice patto elettorale.
La solidarietà tra i tre permise ad ognuno di ottenere i propri obiettivi. Cesare sarebbe diventato console per il 59 a.C e si sarebbe impegnato ad emettere decreti per cui Crasso avrebbe potuto consolidare il suo impero finanziario e Pompeo avrebbe avuto la redistribuzione di terre ai suoi veterani e l’approvazione delle riforme in Oriente di cui aveva bisogno.
Il piano funzionò perfettamente. Cesare, eletto console per il 59 a.C, impose immediatamente una legge fondiaria e, poco dopo, un’altra redistribuzione di terre pubbliche in Campania.
Pompeo, nel frattempo, risolse il problema dell’approvvigionamento di grano di Roma con la sua solita efficienza, ma i nobili mantennero la loro opposizione. Nel 56, l’anno critico per i triumviri, i nobili cercarono di impedire l’invio di Pompeo in missione militare in Egitto attraverso pretesti di natura religiosa, mentre il politicante Publio Clodio riuscì a convincere Pompeo che Crasso complottava contro di lui.
Inoltre, gli aristocratici cercarono di sospendere la legge di Cesare per la distribuzione delle terre campane, cercando di contrastare i piani dei triumviri in ogni modo possibile.
Crasso, preoccupato dei sospetti di Pompeo, decise di incontrare Cesare a Ravenna: i due convocarono poi Pompeo a Lucca per aggiornare il loro accordo. Questo rinnovo di alleanza, chiamato “Patto di Lucca” (56 a.C), preparò il terreno per la prossima fase della loro cooperazione.
Pompeo e Crasso volevano essere eletti consoli per il 55, per avere poi comandi quinquennali nelle province, mentre Cesare, tallonato dai nemici politici che volevano metterlo sotto processo, si era salvato solo con l’assegnazione di un comando militare straordinario nelle Gallie, e voleva che il suo comando fosse rinnovato per altri cinque anni.
Dopo una lunga lotta, i tre politici raggiunsero il loro obiettivo con la corruzione e la violenza. Pompeo e Crasso furono eletti consoli, con la maggioranza delle magistrature minori che andarono ai loro sostenitori. Cesare ottenne l’estensione del suo comando, mentre Pompeo e Crasso ricevettero incarichi rispettivamente in Spagna e Siria.
Nonostante la loro volontà di collaborazione, l’improvvisa morte della figlia di Cesare, Giulia, nel 54 a.C, distrusse il forte legame familiare tra Pompeo e Cesare. Inoltre, Crasso, che aveva sempre avuto un ruolo di mediazione, subì una disastrosa sconfitta a Carre contro i Parti, morendo sul campo di battaglia.
Il primo triumvirato non esisteva più, anche se Pompeo, in un primo momento, non mostrava alcuna intenzione di rompere con Cesare.
La guerra civile contro Cesare
La legislazione di Pompeo del 52 a.C dimostra il suo sincero interesse per le riforme, ma anche la sua doppiezza nei confronti di Cesare.
Pompeo riformò infatti i tribunali, nominando giurati affidabili, ma stabilì anche una legge contro la corruzione durante le elezioni, che è stata giustamente interpretata dai sostenitori di Cesare come un’iniziativa contro di lui.
Un’altra legge decisamente contraria a Cesare prevedeva un intervallo di cinque anni tra lo svolgimento di magistrature a Roma e l’assunzione del comando in una provincia. Questa legge, insieme ad un’altra che vietava la candidatura in assenza, impedì a Cesare di diventare console designato e di rimanere al sicuro prima di sciogliere il suo esercito in Gallia. Negli anni 51-50 furono fatti diversi tentativi di richiamare Cesare prima della fine del suo secondo mandato in Gallia.
Pompeo, pur essendo sempre più sospettoso delle ambizioni di Cesare, non si espresse apertamente contro di lui fino alla fine del 51, quando rese chiare le sue intenzioni. Dichiarò che non avrebbe preso in considerazione la proposta di candidare Cesare come console designato mentre era ancora al comando del suo esercito.
Le sue proposte per il richiamo di Cesare furono inaccettabili per quest’ultimo, il quale decise di usare la ricchezza accumulata in Gallia per comprare alleati al Senato in modo da ostacolare i suoi nemici.
Il Senato si trovò quindi diviso a metà tra Cesare e Pompeo. Gli Optimates erano marcatamente a favore di Pompeo, anche se lo vedevano semplicemente come il male minore. Ad un certo punto, Curione, un tribuno della plebe corrotto da Cesare, fu quasi sul punto di convincere il Senato a sciogliere gli eserciti sia di Cesare che di Pompeo.
Come riposta, il console Gaio Marcello, non riuscendo a indurre il Senato a dichiarare Cesare nemico pubblico, visitò Pompeo con i consoli designati e gli mise una spada in mano. Pompeo accettò il loro invito a radunare un esercito e difendere lo stato. Cesare continuò a offrire soluzioni di compromesso, anche se si stava già preparando alla guerra.
Il 7 gennaio 49 a.C, il Senato decretò finalmente lo stato di guerra e quattro giorni dopo Cesare attraversò il Rubicone.
Le battaglie contro Cesare e la morte
Il piano di Pompeo era di condurre una guerra di logoramento contro Cesare. Egli ritirò i suoi eserciti da Roma e dall’Italia, facendosi inseguire. Cesare lo raggiunse a Brindisi, ma Pompeo riuscì a sfuggirgli, riorganizzando le sue forze nei Balcani per lo scontro decisivo.
Inizialmente la strategia di Pompeo si dimostrò vincente. Cesare si ritrovò tagliato fuori dalla sua base in Italia e fu costretto ad affrontare forze terrestri superiori a Durazzo, dove subì la sua prima grande sconfitta contro Pompeo.
Cesare fu respinto in un assalto al campo di Pompeo e fu costretto a muoversi verso est, in Tessaglia. Pompeo lo seguì e si unì all’esercito del Senato guidato da Scipione, rendendo la situazione insostenibile per Cesare. La sua strategia “attendista” avrebbe ridotto l’esercito cesariano alla fame entro qualche mese.
Ma sotto la pressione dei suoi alleati Ottimati, che iniziarono a deriderlo e a sospettare che avesse paura dell’avversario, Pompeo fu costretto a cambiare i suoi piani e ad ingaggiare battaglia.
Questo si rivelò un errore fatale.
Cesare fu capace di sconfiggerlo, pur in inferiorità numerica, nella pianura di Farsalo, ottenendo una delle più brillanti vittorie militari della sua carriera e dell’intera storia romana.
Pompeo fuggì dal campo mentre il nemico lo prendeva d’assalto e si diresse verso la costa, dove perse il contatto con la sua flotta. Si spostò poi verso sud in Cilicia, Cipro ed infine in Egitto, dove credeva di essere al sicuro, dal momento che aveva diverse clientele e alleanze.
Fu invece ucciso a tradimento dai sicari del giovanissimo re Tolomeo, che saputo della vittoria di Cesare, sperava di ingraziarsi il vincitore della guerra civile.
L’eredità di Pompeo Magno
Il nome di Pompeo ha lasciato un segno duraturo nella storia. La sua fine ispirò alcuni dei migliori versi di Lucano e il suo successo è stato apprezzato dai grandi scrittori dell’impero.
Tuttavia, ci sono pochi resoconti chiari e imparziali di Pompeo da parte dei suoi contemporanei. Cesare nella sua propaganda lavorò inevitabilmente per danneggiare la reputazione del suo rivale, anche se dicono che pianse quando venne a sapere della sua morte. Cicerone aveva una visione distorta di Pompeo, a causa della sua invidia e della paura che egli potesse diventare dittatore.
Pompeo non era un rivoluzionario o un reazionario, ma si aspettava un’accettazione volontaria del suo primato. Tuttavia, i suoi metodi per ottenere ruoli e incarichi gli avevano alienato per sempre l’appoggio degli aristocratici, costringendolo a un ruolo secondario che non accettò mai. Pompeo era un politico inefficace a causa della mancanza di coerenza tra la sua politica e le sue azioni sul campo.
Come capo militare, Pompeo mancava del genio e del dinamismo di Cesare, ma era un perfetto amministratore. Eppure, nonostante avesse indovinato la strategia capace di sconfiggere Cesare, non riuscì ad imporla nel momento cruciale, di nuovo ostacolato da quei miopi aristocratici, che cercarono di utilizzarlo e di servirsene durante tutta la sua vita.