Gli Etruschi formarono la nazione più potente dell’Italia preromana, sviluppando una civiltà ricca e fiorente. La loro influenza sulla primissima storia di Roma e sull’intera cultura romana è sempre più riconosciuta dagli studiosi e dagli archeologi.
Diverse prove suggeriscono che gli Etruschi insegnarono ai Romani moltissime cose, come l’alfabeto, i numeri e diversi elementi dell’architettura, dell’arte, della religione e persino dell’abbigliamento come nel caso della toga, che normalmente viene associata alla cultura romana, ma che è in realtà un’invenzione etrusca.
Origine del nome
I Greci chiamavano gli Etruschi Tyrsenoi o Tyrrhenoi, mentre i Latini si riferivano a loro come Tusci o Etrusci. Secondo lo storico greco Dionigi di Alicarnasso, gli Etruschi si chiamavano Rasenna, e questa affermazione trova conferma nella parola “Rasna“, spesso presente nelle iscrizioni etrusche.
Geografia e risorse dell’Etruria
L’Antica Etruria si trovava nell’Italia centrale ed era delimitata a nord dal fiume Arno, a est e a sud dal fiume Tevere e a ovest dal Mar Tirreno.
L’area corrisponde alle odierne zone della Toscana, del Lazio e dell’Umbria. Le principali risorse naturali, che furono fondamentali per lo sviluppo del commercio etrusco e per la crescita delle città, erano i ricchissimi giacimenti di minerali metalliferi, presenti sia nelle zone settentrionali che in quelle meridionali.
Nell’area meridionale, dove infatti sorsero le prime grandi città etrusche come Tarquinia e Cere, i monti della Tolfa fornivano regolarmente rame, ferro e stagno. Questi minerali vennero trovati anche nell’entroterra del Monte Amiata, la più alta montagna delle Toscana, oltre che nelle vicinanze della città di Chiusi.
Ma l’area più produttiva fu sicuramente la zona settentrionale, nella catena dei Monti Metalliferi, da cui si estraevano enormi quantità di rame e ferro.
Anche le foreste costituivano una importantissima risorsa naturale, fornendo legna da ardere per le operazioni metallurgiche e legname per la costruzione delle navi.
Gli Etruschi erano inoltre famosi per le loro attività marittime: dominavano regolarmente i mari sulla costa occidentale dell’Italia e avevano una temibile reputazione di pirati, temuti per tutto il Mediterraneo.
La prosperità etrusca si fondò anche su una solida ed efficiente tradizione e produzione agricola, tanto che, diversi secoli dopo, Scipione l’Africano, organizzando una spedizione contro Annibale, si rifaceva regolarmente ai raccolti etruschi per foraggiare il suo esercito.
I periodi della storia etrusca
Secondo le iscrizioni rinvenute sul luogo, la presenza del popolo etrusco nella regione dell’Etruria si attesta già nel 700 a.C.
Tuttavia, è opinione diffusa che gli etruschi fossero presenti in Italia molto prima di questa data. Tanto è vero che si identificano come antenati degli Etruschi i cosiddetti Villanoviani, che vissero in quei luoghi dal IX all’VIII secolo a.C., durante l’età del ferro.
Dal momento che nessuna opera letteraria etrusca è sopravvissuta, tutta la cronologia della storia di questo popolo è stata costruita realizzando un parallelo con quella greca.
Questo perchè gli etruschi entrarono in contatto con la cultura greca nel periodo in cui fu fondata la prima colonia ellenica in Italia, nel 775 a.C. circa, quando i greci dell’isola di Eubea si stabilirono vicino al golfo di Napoli.
A partire da questa epoca, furono mano mano importati in Etruria numerosi manufatti greci e mediorientali: così, confrontando i ritrovamenti di oggetti etruschi con i manufatti greci dello stesso periodo, è stato possibile dedurre delle date relativamente precise sullo sviluppo della civiltà etrusca.
Così, il periodo della storia etrusca viene tradizionalmente diviso in periodo orientale, risalente al VII secolo a.C.; periodo arcaico, che corrisponde al VI e alla prima metà del V secolo a.C.; periodo classico, dalla seconda metà del V al IV secolo a.C. e periodo ellenistico, dal III al I secolo a.C.
Dopodiché, la cultura etrusca venne assorbita dalla civiltà romana durante il I secolo a.C. e scomparve come entità riconoscibile.
La lingua e la scrittura etrusca
Purtroppo l’etrusco non è sopravvissuto in alcuna opera letteraria e dunque gli storici si rifanno esclusivamente alla letteratura religiosa.
Anche se le prove sono decisamente poche e frammentarie, in realtà l’etrusco venne conosciuto e studiato fino al tempo della Roma imperiale. Ad esempio, l’imperatore Claudio era un grande conoscitore della storia degli Etruschi e scrisse su di loro un’opera perduta in 20 libri, che si basava su fonti preziose ancora conservate ai suoi tempi.
La lingua etrusca continuò ad essere utilizzata, soprattutto nel contesto religioso, fino alla tarda antichità e l’ultima testimonianza dell’uso dell’etrusco si individua ai tempi dell’invasione di Roma da parte di Alarico, il capo dei Visigoti, del 410 d.C, quando alcuni sacerdoti, che conoscevano ancora la divinazione etrusca, furono convocati per evocare dei fulmini contro i barbari.
Complessivamente, vi sono più di 10.000 iscrizioni etrusche conosciute e ogni anno vengono scoperte nuove prove. Si tratta fondamentalmente di brevi descrizioni funerarie su urne cinerarie o nelle tombe o su oggetti dedicati nei santuari.
Altre iscrizioni etrusche si trovano incise sul bronzo, dove danno il nome a figure mitologiche o si riferiscono al proprietario dell’oggetto. Anche sulle ceramiche, infine, vi sono iscrizioni, utili per comprendere qualche frammento della lingua etrusca.
L’iscrizione più lunga in lingua etrusca è relativa alla cosiddetta “Mummia di Zagabria”, trovata in Egitto nel XIX secolo e trasportata in Jugoslavia da un esploratore e oggi conservata nel Museo Nazionale di Zagabria.
Si trattava di un libro realizzato in stoffa di lino che ad un certo punto venne tagliato in strisce per avvolgere una mummia. Queste strisce contengono 1300 parole, scritte in inchiostro nero sul tessuto, e rappresentano il testo etrusco più lungo ad oggi conosciuto, contenente un calendario e alcune istruzioni per il sacrificio.
Da queste informazioni abbiamo un quadro abbastanza chiaro della letteratura religiosa etrusca.
Dall’Italia giunge invece un importante testo religioso, inciso su una piastrella nell’antico sito di Capua, oltre ad un’iscrizione su una pietra a Perugia, contenente un testo di natura giuridica.
Le poche iscrizioni bilingue etrusco-latine, tutte di natura funeraria, hanno poca importanza rispetto ai ritrovamenti precedenti per la comprensione globale dell’etrusco.
Alcune targhe d’oro trovate nell’antico santuario di Pyrgi, ma anche nella città portuale di Cere, ci forniscono invece due testi, uno in etrusco e l’altro in fenicio, di circa 40 parole. Si tratta di un’iscrizione bilingue paragonabile alle stelle di Rosetta e ci offrono dati sostanziali per la comprensione dell’etrusco attraverso una lingua conosciuta come il fenicio.
In realtà, la credenza sviluppatasi nel corso del ventesimo secolo, secondo la quale la lingua etrusca sia sconosciuta, è fondamentalmente errata.
Non esiste alcun problema nel decifrare la lingua etrusca, tanto che i testi etruschi sono in gran parte perfettamente leggibili.
L’alfabeto etrusco deriva infatti da quello greco, originariamente appreso dai Fenici, e venne diffuso in Italia dalle colonie dell’isola di Eubea durante l’VIII secolo a.C., adattandosi alla fonetica etrusca.
In realtà, il vero problema con i testi etruschi risiede nella difficoltà di comprendere le forme grammaticali. Il problema principale deriva dal fatto che non esiste alcuna lingua conosciuta con una parentela stretta con l’etrusco che possa consentirci un confronto affidabile, completo e conclusivo.
L’assoluta originalità della lingua etrusca e le conseguenti difficoltà di comprensione erano un problema già noto agli antichi, e anche la linguistica moderna esegue diversi tentativi, molto spesso vani, di collegare l’etrusco a uno dei vari gruppi linguistici nel mondo mediterraneo ed eurasiatico.
Esistono alcuni paralleli con le lingue indoeuropee, in particolare con le lingue italiche, ma anche con quelle non indoeuropee dell’area occidentale del Caucaso. Questo significa che l’etrusco, in realtà, non è una lingua totalmente isolata. Le sue radici si intrecciano sicuramente con altre formazioni linguistiche all’interno di un’area geografica che si estende dall’Asia occidentale all’Europa centro-orientale e al Mediterraneo centrale, e gli ultimi sviluppi della lingua potrebbero derivare da un contatto più diretto con le lingue indoeuropee e non indoeuropee dell’Italia.
Rimane tuttavia fermo il fatto che l’etrusco non può essere classificato semplicemente come una lingua caucasica, anatolica o indoeuropea, come facciamo con il greco e con il latino, dal momento che la sua struttura ne è profondamente diversa.
Le tecniche tradizionalmente utilizzate per comprendere la lingua etrusca sono sostanzialmente l’etimologico, che si basa sul confronto delle radici delle parole e degli elementi grammaticali conosciuti con quelli di altre lingue, la tecnica combinatoria, dove si analizzano e si interpretano i testi etruschi eseguendo uno studio comparativo all’interno degli stessi testi della stessa lingua, (rimanendo quindi sempre all’interno delle forme grammaticali e delle parole etrusche), e infine la tecnica bilingue, dove si confrontano le formule rituali, votive e funerarie etrusche con delle formule analoghe di testi appartenenti al greco, latino o all’umbro.
In passato, le scuole linguistiche prediligevano una sola di queste tecniche, ma oggi, grazie ai ritrovamenti più recenti, si utilizza spesso un mix di queste procedure.
L’Urbanistica e le infrastrutture etrusche
La mancanza di una letteratura etrusca e i resoconti contraddittori da parte degli studiosi dell’antica Grecia e dell’antica Roma fanno sì che per la comprensione della storia etrusca, i ritrovamenti archeologici siano fondamentali.
I resti archeologici e i contesti nei quali questi vengono trovati rientrano in tre categorie fondamentali: funerarie, urbane e sacre.
La più grande percentuale di ritrovamenti è sicuramente di natura funeraria. Ecco perché abbiamo molte informazioni sull’idea etrusca relativa all’aldilà e sull’atteggiamento verso i defunti delle famiglie, ma anche le informazioni sugli insediamenti etruschi sono per noi di grande importanza.
Le testimonianze meglio conservate appartengono alla città etrusca di Marzabotto, vicino a Bologna. Queste rivelano che gli Etruschi furono tra i primi nel Mediterraneo a progettare delle città con un piano a griglia, impostando una strada principale da nord a sud assieme ad un’altra strada principale da est a ovest, cosa poi comune nel mondo romano.
Il rituale utilizzato per la fondazione di una città comprendeva l’innalzamento di mura, di templi e di altre aree sacre, qualcosa di noto anche ai Romani come “ritus etruscus“.
Questi piani urbanistici rigidamente organizzati si riscontrano in alcune città etrusche, ma subiscono spesso delle variazioni, soprattutto quando le città etrusche appartengono a precedenti villaggi di epoca villanoviana che hanno dovuto adattarsi all’andamento delle colline.
Sotto l’aspetto sacrale, il tempio etrusco viene costruito attraverso una precisa organizzazione, tramandando questo stesso sistema ai Romani.
A differenza dei templi greci, quelli etruschi mostravano una chiara differenza tra il fronte e il retro del tempio, con un portico anteriore dotato di un profondo colonnato e una cella. I materiali con cui venivano costruiti i templi erano spesso deperibili, come il legno e i mattoni di fango, ad eccezione delle abbondanti sculture di terracotta che adornavano puntualmente il tempio.
I templi meglio conservati sono sicuramente il Portonaccio a Veio, risalente al VI secolo a.C., dove si trovano diverse figure mitologiche.
Di natura diversa sono gli spettacolari reperti di Poggio Civitate, vicino a Siena, dove gli scavi hanno rivelato un enorme edificio del periodo arcaico con mura realizzate in terra battuta. Questo era adornato con figure di terracotta a grandezza naturale sia maschili che femminili, umane e animali.
Gli archeologi non sono perfettamente d’accordo sulla natura del sito e non hanno ancora compreso perfettamente se l’edificio fosse un palazzo, un santuario o un luogo per le assemblee civiche.
Le più comuni case etrusche presenti nei numerosi siti archeologici includono invece capanne di forma ovale, mentre altre hanno una struttura a pianta rettilinea come quelle che si trovano ad Acquarossa e a Vetulonia.
Per quanto riguarda le necropoli della zona, queste mostrano occasionalmente segni di una pianta a griglia, come quelle ad Orvieto, risalenti alla seconda metà del sesto secolo a.C. e a Cere, ma più spesso vi è una pianta irregolare.
Dal momento che gli Etruschi si impegnarono regolarmente per rendere i loro cimiteri confortevoli per i parenti defunti, questi hanno spesso una struttura simile ai quartieri che ospitavano le case.
Così, le tombe di Cere sono scavate sotto terra nel morbido tufo vulcanico e hanno non solo finestre, porte, colonne e travi, ma anche mobili scolpiti nella roccia viva.
A Tarquinia, la tradizione per la decorazione delle tombe ha portato a dipingere le pareti delle camere funerarie con alcuni affreschi che rappresentano banchetti, giochi, balli, musiche e vari spettacoli, a volte in paesaggi all’aperto.
Le scene servivano sicuramente per rallegrare l’ambiente, ma facevano probabilmente anche riferimento al tipo di aldilà che ci si aspettava per il defunto. Il concetto di un aldilà “positivo” prevalse soprattutto nel periodo Etrusco arcaico, mentre nei secoli successivi la cultura etrusca deve avere evidentemente avuto un’evoluzione, ritenendo l’aldilà un regno più oscuro, simile ai nostri Inferi.
Gli affreschi più tardi mostrano infatti il sovrano dell’Ade che indossa un berretto di pelle di lupo e siede in trono accanto a sua moglie, in una scena popolata da diversi demoni e mostri, come si vede nella Tomba dei Demoni Blu scoperta a Tarquinia. Situazione simile alla Tomba di Francois a Vulci, dove vi è una sorta di diavolo dalla pelle blu che aspetta, con il suo martello, di colpire il defunto per portarlo negli inferi.
Manifattura e produzione artigianale
Un tema continuo per il mondo etrusco è il rapporto con i modelli greci.
Il confronto con la cultura ellenistica è essenziale, soprattutto alla luce delle enormi quantità di manufatti greci, soprattutto vasi, che sono stati ritrovati in Etruria e che confermano come l’arte etrusca abbia ampiamente tratto ispirazione da quella greca, soprattutto nelle ceramiche.
Ed è certo che diversi artigiani greci si stabilirono in Etruria, come dimostrano i rapporti di Plinio il Vecchio, che cita un nobile corinzio di nome Demarato che si trasferì a Tarquinia portando con sé i suoi artisti.
Tuttavia, non è corretto dire che l’arte etrusca sia inferiore o si limiti ad imitare quella greca, mentre è più giusto considerare l’arte greca, come in altri casi della storia, come portatrice di modelli in grado di ispirare la cultura etrusca.
Oltre ai loro originali modi di progettare una città o di costruire un tempio o una tomba, si può notare un processo di produzione della ceramica unico da parte degli etruschi, noto come bucchero, dove su un fondo nero lucido sono presenti incisioni decorative, radicalmente diverse dalla concezione standard della produzione greca, che normalmente utilizzava una vernice con un contrasto di rosso di crema sul nero.
Nella metallurgia, gli specchi di bronzo, prodotti in quantità dagli etruschi, sembrano essere una sorta di “industria nazionale etrusca” che non ha paragoni nel mondo antico, dove gli specchi stessi avevano un lato riflettente convesso e un lato concavo adornato con diverse incisioni che riprendevano i temi della mitologia greca e della vita quotidiana.
Anche la moda etrusca aveva molti elementi assolutamente originali, come quello di portare una lunga treccia fino alla schiena, le scarpe a punta e un mantello con l’orlo curvo, che sarà noto ai romani come toga.
Infine, gli etruschi sembrano aver avuto un interesse nel riprodurre le fattezze dei loro parenti o dei funzionari statali più importanti, dando un grande impulso allo sviluppo della ritrattistica realistica in Italia.
Religione e mitologia etrusca
Il principio essenziale nella religione etrusca era la convinzione che la vita umana fosse immensamente piccola all’interno di un universo controllato da dei, che manifestavano regolarmente la loro natura e la loro volontà gestendo i fenomeni del mondo naturale.
Questa credenza si vede benissimo nelle arti rappresentative etrusche, dove vi sono spesso rappresentazioni di terra, mare e aria, dove l’uomo è sistematicamente integrato nell’ambiente.
Gli scrittori romani riferiscono che gli etruschi consideravano qualsiasi elemento, da un uccello ad una bacca, come una potenziale fonte di conoscenza degli dei. I loro miti spiegano che la tradizione etrusca venne comunicata dagli dei attraverso un profeta, Tages, un bambino dai poteri miracolosi ma con le fattezze di un vecchio saggio, che sbucò fuori da un solco arato nei campi di Tarquinia e che rivelò tutti gli elementi della struttura dell’universo, in un modo che i romani chiamarono più tardi “discipline etrusche”
Le fonti letterarie ed epigrafiche lasciano intravedere una cosmologia dove l’immagine del cielo si riflette in aree più piccole sulla terra, persino nelle viscere degli animali.
Così, la cupola celeste veniva divisa in 16 compartimenti, abitati da varie divinità: le divinità maggiori posizionate ad est, composte da esseri divini astrali, seguiti da esseri terrestri a sud, esseri infernali ed infausti ad ovest, mentre le divinità più potenti e misteriose, legate all’andamento del destino, abitavano il nord.
Tali divinità si manifestavano per mezzo di fenomeni naturali, principalmente i fulmini.
Questo macrocosmo si rivelava puntualmente nel microcosmo del fegato degli animali. Il più famoso esempio e conferma di ciò è un modello in bronzo di un fegato di pecora ritrovato nei pressi di Piacenza, dove vi sono incisi i nomi delle divinità, organizzati esattamente in 16 aree.
Questa concezione portò all’arte della divinazione, per la quale gli etruschi erano particolarmente famosi in tutto il mondo antico. Azioni sia pubbliche che private venivano decise solo dopo aver interrogato gli dei, e le risposte negative o minacciose richiedevano, per contro, complesse cerimonie protettive
La forma più importante di divinazione era l’aruspicina, ovvero lo studio dei dettagli dei visceri, specialmente il fegato degli animali sacrificali.
Seconda per importanza vi era l’osservazione dei fulmini e di altri fenomeni celesti, come il volo degli uccelli. Infine, vi era l’interpretazione dei prodigi, cioè gli eventi straordinari e meravigliosi osservati nel cielo e sulla terra.
Queste pratiche, che vengono esplicitamente attribuite dagli autori antichi alla religione etrusca, vennero massicciamente importate e adottate dai Romani.
Gli etruschi riconobbero più di 40 divinità, molte ad oggi sconosciute. La natura delle divinità era spesso vaga, e i riferimenti a loro sono pieni di ambiguità sia sui loro attributi che sul loro numero. Alcune furono equiparate ai principali dei greci e romani. Per quanto ne sappiamo, Tin o Tinia era equivalente a Zeus/Giove, Uni a Era/Giunone, Sethlans a Efesto/Vulcano, Turms a Hermes/Mercurio, Turan ad Afrodite/Venere e Menrva ad Atena/Minerva.
Tuttavia, le caratteristiche di questi dei erano profondamente diverse dalle controparti greche. Ad esempio, Menrva era una divinità immensamente popolare, che proteggeva il matrimonio e il parto, in contrasto con la vergine Atena, molto più interessata alla protezione dei maschi.
Molti degli dei etruschi avevano poteri di guarigione e talvolta la possibilità di lanciare fulmini. Vi erano poi divinità più simili al mondo greco-romano come Ercole e Apulu, evidentemente introdotte direttamente dalla Grecia.
Le origini degli Etruschi
Dal momento che gli Etruschi parlavano una lingua non indoeuropea, pur essendo circondati da popoli indoeuropei come i Latini o gli Umbri, gli studiosi del XIX secolo hanno spesso dibattuto in maniera anche molto aspra sulle origini di questa popolazione del tutto anomala.
La disputa è continuata fino al XXI secolo, anche se ora ha perso gran parte della sua forza. Uno dei più grandi studiosi degli Etruschi, Massimo Pallottino, ha osservato che queste discussioni sono ormai diventate sterili, dal momento che il problema è sempre stato posto in maniera errata.
È stata infatti posta troppa enfasi sulla provenienza degli Etruschi, aspettandosi una risposta semplice. In realtà, il problema è molto più complesso, e bisognerebbe invece dirigere la propria attenzione alla comprensione della formazione della popolazione etrusca.
Il dibattito sull’origine degli Etruschi cominciò già nell’antichità, con l’affermazione di Erodoto che li riteneva originari della Lidia, in Anatolia, e che identificò il loro leader in Tyrsenos, che diede il suo nome a tutta la razza.
I sostenitori di questa teoria, definita “orientale“, si basarono soprattutto su prove archeologiche che denotavano una profonda influenza orientale in tutta la cultura etrusca, come vediamo nell’architettura funeraria monumentale o nell’utilizzo di oggetti di lusso in oro, avorio e altri materiali.
Ma cronologicamente, l’arrivo di manufatti orientali avvenne quasi 500 anni troppo tardi per dare credito alla migrazione affermata da Erodoto.
Si pensò anche ad una improvvisa immigrazione di massa dall’Anatolia, il che è abbastanza spiegabile facendo riferimento alle rotte commerciali stabiliti dai Greci nell’ottavo secolo a.C.
Un documento chiave sul quale si basa questa teoria è l’iscrizione sulla stele tombale in pietra trovata sull’isola di Lemnos, vicino alla costa dell’Anatolia, che mostra notevoli somiglianze lessicali e strutturali con la lingua etrusca.
Ma questo è un documento isolato che risale al VI secolo a.C. e non può da solo costituire una prova definitiva della migrazione affermata da Erodoto dall’Anatolia.
Al contrario, viene ora proposto che l’iscrizione di Lemnos possa essere conseguenza di una colonizzazione o di uno scambio tra Etruschi e commercianti anatolici attorno al VI secolo a.C.
Una seconda teoria sulle origini etrusche venne proposta da Dionigi da Alicarnasso, che rifiutò l’interpretazione di Erodoto, sottolineando che la lingua e i costumi LIdi e quelli degli Etruschi erano molto diversi tra di loro.
Dionigi afferma che gli Etruschi erano autoctoni e quindi di origine locale italica. Ora, l’accettazione di questa teoria “autoctona” richiede che la cultura villanoviana sia considerata come una fase iniziale della civiltà etrusca.
Vero che ci sono collegamenti tra la cultura etrusca e quella dei popoli villanoviani, con le loro abitudini, ma ve ne sono anche con la cultura appenninica seminomade.
Vi sono, inoltre, prove crescenti di un periodo di transizione, dalla fine dell’età del bronzo all’inizio dell’età del ferro, in cui si sono verificati sviluppi importanti e dove vengono dimostrate minori commistioni tra gli Etruschi e la cultura villanoviana.
In questo periodo si verificò un aumento della popolazione e della ricchezza complessiva, una tendenza a stabilire insediamenti più grandi e permanenti, un’espansione delle conoscenze metallurgiche e un rafforzamento delle tecniche agricole.
Il fatto che i ritrovamenti archeologici dipingano l’età villanoviana dominata da uno sviluppo graduale, piuttosto che dal risultato di un’improvvisa invasione o grande immigrazione, sembra dare credito alla teoria degli Etruschi autoctoni.
Ma ancora una volta, il quadro è offuscato, in quanto tracce villanoviane si trovano anche in diverse aree sparse in tutta Italia, comprese delle zone che sicuramente non vennero colonizzate dagli Etruschi.
A queste due teorie antiche, si aggiunse nel XIX secolo una terza che ipotizzava la migrazione degli Etruschi in Italia dal nord via terra. Questa teoria non ha alcun supporto letterario antico e si basa sulle analogie tra le abitudini e i manufatti delle culture crematorie Villanoviane dell’età del ferro a nord delle Alpi e un dubbio confronto tra il nome dei Rasenna e quello dei Raeti, un popolo che abitava le Alpi centro-orientali nel V secolo a.C.
Attualmente, la teoria ha pochi sostenitori, sebbene l’influenza o la presenza di alcuni tipi di armi e elmetti dell’Europa centrale e forme di vasellame in Etruria non vengano negate. Tuttavia, questi elementi sono ora considerati come rappresentativi di un significativo filone nella complessa trama della cultura etrusca, che si sviluppò dall’età Villanoviana all’Orientalizzante.
Queste connessioni settentrionali in un certo senso parallele alle influenze greche nei periodi successivi, sia euboiche (VIII secolo a.C.), corinzie (VII secolo), ioniche (VI secolo) o attiche (V secolo).
Allo stesso modo, le influenze orientali possono essere facilmente riconosciute, provenienti da aree diverse come Lidia, Urartu, Siria, Assiria, Fenicia ed Egitto. Tuttavia, nessuna di queste connessioni, di per sé, offre alcuna prova convincente delle “origini” etrusche, e la ricerca attuale si concentra maggiormente sulla comprensione dell’interrelazione di queste influenze e del contesto in cui si sviluppò la civiltà in Etruria.
Espansione e dominio degli Etruschi
Le indagini archeologiche rappresentano un’importante fonte di informazioni sulla nascita delle città etrusche durante il periodo villanoviano. Quasi tutte le città etrusche di un certo rilievo storico hanno lasciato tracce di questa fase, ma è nella zona meridionale, specialmente lungo la costa, che si possono rintracciare i primi segni della transizione verso l’urbanizzazione. Si ritiene che gruppi di capanne sparse su una o più colline vicine si siano fusi in insediamenti preurbani in quel periodo. (È interessante notare come la forma plurale dei nomi di alcune di queste città, come Vulci, Tarquinii e Veio, sembri confermare questa teoria.)
Le urne funerarie a forma di capanna con tetti di paglia ritrovate nella zona forniscono un’idea di come fossero fatte le case dei cittadini, mentre la parità dei corredi funerari per uomini e donne suggerisce l’esistenza di una società sostanzialmente egualitaria, almeno nelle prime fasi. La cremazione con deposizione delle ceneri in un vaso biconico era una pratica comune già nel periodo proto-villanoviano, ma con il passare del tempo l’inumazione divenne il rito prevalente, tranne che nell’Etruria settentrionale, dove la cremazione resistette fino al primo secolo a.C.
Dopo il contatto con i Greci e i Fenici, l’Etruria conobbe l’arrivo di nuove idee, materiali e tecnologie. Nel periodo orientalizzante, la scrittura, il tornio da vasaio e l’architettura funeraria monumentale accompagnarono l’aumento della produzione di beni di lusso in oro, avorio e di oggetti commerciali esotici come uova di struzzo, conchiglie di tridacna e maioliche.
La tomba Regolini-Galassi a Caere, scoperta nel 1836 in uno stato intatto, rappresenta uno dei massimi esempi del periodo orientalizzante. La camera principale della tomba apparteneva a una signora estremamente ricca, inumata insieme al suo servizio da tavola e a una vasta gamma di gioielli realizzati con granulazione e repoussé. La parola Larthia sui suoi oggetti funerari potrebbe indicare il suo nome. Nonostante Caere non avesse una monarchia a quel tempo (cosa che invece era accaduta a Roma o sarebbe accaduta a Caere nel V secolo), era chiaro che la società era diventata nettamente differenziata, non solo in termini di ricchezza, ma anche nella divisione del lavoro.
Molti studiosi ipotizzano l’esistenza di una potente classe aristocratica, mentre artigiani, mercanti e marinai costituivano una classe media. È probabilmente in questo periodo che gli Etruschi iniziarono a utilizzare schiavi “eleganti”, per i quali erano noti. (Diversi autori greci e romani riportano come gli schiavi etruschi vestissero bene e come spesso possedessero le loro case. Si liberavano facilmente e rapidamente salivano di status una volta liberati.)
La rapida crescita della civiltà etrusca e la sua influenza nel settimo secolo si riflettono nelle cosiddette tombe “principesche“, molto simili alla tomba Regolini-Galassi, che sono state scoperte non solo in Etruria a Tarquinia, Vetulonia e Populonia, ma anche lungo il fiume Arno (come a Quinto Fiorentino), nel sud a Praeneste nel Lazio, a Capua e a Pontecagnano in Campania.
Le fonti letterarie ci informano che, alla fine del settimo secolo, Roma stessa cadde sotto il dominio dei re etruschi. Livio ci racconta dell’arrivo di Tarquinio Prisco, il futuro re, e della sua moglie Tanaquil, ambiziosa e colta, provenienti da Tarquinia. Tanaquil è stata descritta come una figura altrettanto importante quanto la regina Larzia di Caere. Esistono anche prove archeologiche dell’espansione etrusca verso nord nella pianura padana nel sesto secolo.
I precedenti sviluppi hanno portato alla vera urbanizzazione, con la nascita di città-stato dotate di mura fortificate e di altre opere pubbliche, sia in Etruria che nelle sue zone di influenza. La Roma dei re etruschi, descritta dettagliatamente da Livio e documentata dagli scavi archeologici, aveva mura di cinta, un foro lastricato, un sistema di drenaggio principale (la Cloaca Maxima), uno stadio pubblico (il Circo Massimo) e un imponente tempio in stile etrusco dedicato a Giove Optimus Maximus.
Nel tardo sesto secolo si hanno le prime tracce di una pianificazione urbanistica nelle città e nei cimiteri citati in precedenza. Le abitazioni e le tombe, spaziose ma sorprendentemente uniformi, suggeriscono un maggiore controllo e cooperazione, e forse segnano un cambiamento nel governo. Le città etrusche, come Roma stessa, potrebbero aver cominciato a rimuovere i propri re in questo periodo, operando sotto un sistema oligarchico con funzionari eletti dalle famiglie nobili.
L’affermazione di Catone, l’oratore romano, secondo cui “quasi tutta l’Italia era un tempo sotto il controllo etrusco”, è particolarmente applicabile a questo periodo. Senza dubbio, la potenza marittima e il commercio etrusco hanno giocato un ruolo centrale in questa dominazione.
Gli oggetti etruschi esportati di questo periodo sono stati trovati in Nord Africa, Grecia, Egeo, Anatolia, Jugoslavia, Francia e Spagna, e in seguito hanno raggiunto persino il Mar Nero. Anche le rotte terrestri erano ben controllate, soprattutto nel corridoio che attraversava Roma e il Lazio fino a Capua e alle altre città etrusche della Campania.
Nel nord Italia, Bologna (Felsina) era la città principale, e le colonie di Marzabotto, Adria e Spina lungo la costa dell’Adriatico rappresentavano importanti snodi lungo la rete commerciale settentrionale.
Fin dai primi tempi, gli Etruschi si trovavano a dover competere con i Greci, che avevano fondato numerose colonie nell’Italia meridionale a partire dalla fondazione di Pithekoussai e Cuma, e con i Fenici, che avevano stabilito Cartagine intorno all’800 a.C.
I Cartaginesi rivendicavano parti della Sicilia, della Corsica e della Sardegna come zone di influenza e dominavano i mari ad ovest di queste isole fino alla Spagna. Le relazioni commerciali solitamente pacifiche tra queste tre nazioni e l’equilibrio di potere furono sconvolti, tuttavia, durante il periodo arcaico, quando arrivarono nuove ondate di coloni greci.
I Focei greci fondarono una colonia in Corsica ad Alalia (oggi Aleria), che minacciò sia gli Etruschi a Caere che i Cartaginesi e portò ad una coalizione navale tra di loro. La battaglia che seguì nei mari al largo della Corsica (circa 535 a.C.) ebbe conseguenze disastrose per i Focei, che sebbene avessero vinto, persero così tante navi che dovettero abbandonare la loro colonia e trasferirsi nell’Italia meridionale. I Cartaginesi e gli Etruschi riaffermarono il loro controllo sulla Corsica, e la potenza etrusca rimase salda per altri venticinque anni.
Organizzazione delle città etrusche
A partire dal VI secolo a.C., l’organizzazione territoriale e l’iniziativa politica ed economica si concentravano in un numero limitato di grandi città-stato situate in Etruria stessa.
Queste città-stato, simili alle poleis greche, consistevano in un centro urbano e in un territorio di dimensioni variabili. Numerose fonti fanno riferimento ad una lega dei “Dodici Popoli” dell’Etruria, creata per scopi religiosi ma con qualche funzione politica; si incontravano annualmente presso il principale santuario degli Etruschi, il Fanum Voltumnae o santuario di Voltumna, situato vicino a Volsinii.
La posizione precisa del santuario è sconosciuta, ma potrebbe essere stato in una zona vicino alla moderna Orvieto (che molti credono essere l’antica Volsinii). Per quanto riguarda i Dodici Popoli, non è sopravvissuto un elenco preciso di questi (in effetti, sembrano essere variati nel corso degli anni), ma è probabile che provengano dai seguenti principali siti: Caere, Tarquinii, Vulci, Rusellae, Vetulonia, Populonia – tutti situati vicino alla costa – e Veio, Volsinii, Clusium, Perusia (Perugia), Cortona, Arretium (Arezzo), Faesulae (Fiesole) e Volaterrae (Volterra) – tutti nell’entroterra.
Ci sono anche notizie di leghe etrusche corrispondenti in Campania e nel nord Italia, ma è molto più difficile stabilire un elenco di colonie etrusche o città etrusche dalla struttura e organizzazione simili.
Nella lega e nelle singole città, sono noti i nomi di alcune magistrature come lauchme, zilath, maru e purth, anche se c’è poca certezza sui loro precisi compiti. Lauchme (equivalente all’italiano “lucumone”) era il titolo del re etrusco. Il titolo di zilath… rasnal, che in latino sarebbe tradotto come “pretore dell’Etruria” e che indicava qualcosa come la “giustizia dell’Etruria”, era evidentemente applicato all’individuo che presiedeva la lega.
Gli uomini che ricoprivano queste magistrature appartenevano all’aristocrazia, la cui posizione sociale derivava dalla continuità della famiglia. Le formule onomastiche mostrano che le persone libere avevano normalmente due nomi.
Il primo era un nome individuale, o praenomen (nei maschi, nomi come Larth, Avle, Arnth e Vel erano comuni, mentre nelle femmine si trovavano nomi come Larthia, Thanchvil, Ramtha e Thana); seguiva un nome di famiglia, o nomen, derivato da un nome personale o forse dal nome di un dio o di un luogo.
Questo sistema era in uso dalla seconda metà del 7 ° secolo, sostituendo l’uso di un singolo nome (come in “Romolo” e “Remo”) e riflettendo la nuova complessità delle relazioni che si sviluppavano con l’urbanizzazione. Gli Etruschi usavano raramente il cognomen (soprannome di famiglia) impiegato dai Romani, ma spesso le iscrizioni includono sia il nome del padre (patronimico) che quello della madre (matronimo).
Nell’antica Etruria, le donne avevano uno status elevato e una libertà senza precedenti rispetto alle loro controparti a Roma e in Grecia. Erano libere di possedere e mostrare pubblicamente oggetti di lusso e abiti costosi, partecipare liberamente alla vita pubblica, partecipare a feste e spettacoli teatrali, ballare, bere e riposare a stretto contatto fisico con i loro mariti sui divani dei banchetti.
Quest’ultima pratica, in particolare, era considerata scioccante dai Greci e dai Romani.
Inoltre, molte donne etrusche erano istruite e alcune erano persino alfabetizzate, come si può dedurre dalle iscrizioni sui loro specchi. Livio descrive anche Tanaquil, moglie di Tarquinio Prisco, come un’esperta nella previsione del futuro.
La famiglia aristocratica etrusca riconosceva l’importanza delle donne all’interno del nucleo familiare, una caratteristica che sembra aver contribuito alla stabilità e alla durata della società etrusca.
Crisi e declino
Il periodo tra la fine del 6° e l’inizio del 5° secolo rappresentò una svolta per la civiltà etrusca. Durante questo tempo, gli Etruschi attraversarono diverse crisi dalle quali non si ripresero mai del tutto.
In effetti, queste furono solo le prime di numerose sconfitte che avrebbero subito nei secoli successivi. L’espulsione dei Tarquini da Roma nel 509 A.C. li privò del controllo su una posizione strategica sul Tevere e interruppe la loro via terrestre verso la Campania.
Poco dopo, la loro supremazia navale crollò quando la flotta dell’ambizioso Gerone I di Siracusa inflisse una sconfitta devastante alle loro navi al largo di Cuma nel 474 A.C. Inoltre, completamente separati dalle città etrusche della Campania, gli Etruschi non furono in grado di impedire che le tribù umbro-sabelliche, che si spostavano dall’interno verso la costa, conquistassero quest’area.
Tutte queste sconfitte portarono a una forte depressione economica e a un’interruzione del commercio per le città costiere e del sud, causando una redirezione del commercio verso il porto adriatico di Spina. La situazione nel sud peggiorò ulteriormente quando Veio entrò periodicamente in conflitto con Roma, la sua vicina più prossima, e divenne il primo stato etrusco a cadere sotto il potere in crescita di questa città nel centro Italia (nel 396 a.C.).
Una certa prosperità era giunta alla valle del Po e alle città adriatiche, ma anche questa vitalità etrusca nel nord fu di breve durata. La progressiva pressione dei Celti, che erano penetrati nei territori e si erano insediati nella pianura del Po, alla fine soffocarono e sconfissero le fiorenti comunità urbane etrusche, distruggendo quasi completamente la loro civiltà entro la metà del IV secolo a.C. e riportando così gran parte del nord Italia a uno stadio proto-storico della cultura.
Nel frattempo, i Galli Senoni occuparono saldamente il distretto del Picenum sul Mar Adriatico e le incursioni celtiche raggiunsero, da un lato l’Etruria tirrenica e Roma (catturata e bruciata circa nel 390 a.C.), e dall’altro la Puglia.
Nel IV secolo a.C., l’Italia antica era stata profondamente trasformata. I popoli italici orientali di ceppo umbro-sabellico si diffusero sulla maggior parte della penisola; l’impero siracusano e infine la crescente potenza di Roma avevano sostituito gli Etruschi (e le colonie greche del sud Italia) come forza dominante. Il mondo etrusco era stato ridotto a una sfera circoscritta e regionale, isolata nei suoi valori tradizionali; questa situazione determinò il suo progressivo passaggio nel sistema politico di Roma.
In questo contesto, l’Etruria conobbe una ripresa economica e un rilancio dell’aristocrazia. I gruppi di tombe contenevano nuovamente ricchezze e la sequenza di tombe dipinte a Tarquinia, interrotta nel V secolo, riprese. Tuttavia, c’era una nuova atmosfera in queste tombe: ora si trovavano immagini di un aldilà tetro, rappresentato come un mondo sotterraneo pieno di demoni e sovrastato da nuvole scure.
Nonostante la rinnovata opposizione al potere romano sul Tevere, questa si rivelò inutile, come dimostrano le testimonianze storiche di numerosi trionfi e vittorie romane sulle città etrusche, soprattutto a sud.
Tarquinio chiese la pace nel 351 A.C. e Caere ottenne una tregua nel 353. Successivamente, si registrarono i trionfi su Rusellae nel 302 e su Volaterrae nel 298, con la sconfitta definitiva di Rusellae nel 294. Anche Volsinii fu attaccata nello stesso anno e subì la devastazione dei suoi campi.
Nel frattempo, la società etrusca era tormentata da conflitti di classe che causarono la nascita di una cospicua classe di liberti, soprattutto nell’Etruria settentrionale, dove si insediarono numerosi piccoli villaggi sui colli. In alcune città, l’aristocrazia chiese l’aiuto di Roma per porre fine alla turbolenta rivolta degli schiavi. Ad esempio, la famiglia nobile dei Cilnii ad Arretium chiese l’aiuto di Roma durante la rivolta delle classi inferiori nel 302 A.C. A Volsinii, la situazione degenerò talmente tanto che i Romani dovettero marciare e distruggere la città nel 265 A.C., reinsediando i suoi abitanti a Volsinii Novi, oggi Bolsena.
Entro la metà del terzo secolo a.C., sembra che tutta l’Etruria fosse stata pacificata e saldamente sotto l’egemonia romana. In molti casi, le città etrusche e i loro territori mantenevano una forma di autonomia come stati indipendenti con propri magistrati. Il secondo secolo a.C. fu un periodo tranquillo per l’Etruria, con poche fonti storiche che riportano eventi significativi.
Il momento più triste della storia etrusca arrivò nel primo secolo a.C. Nel 90 A.C., Roma concesse la cittadinanza a tutti i popoli italici, un atto che di fatto sancì la completa unificazione politica dello stato italico-romano e mise fine alle ultime pretese di autonomia delle città-stato etrusche.
Inoltre, l’Etruria settentrionale subì una devastazione finale a causa della guerra civile tra Mario e Silla, che si svolse proprio sui suoi territori. Molti etruschi si schierarono con Mario e furono puniti duramente quando Silla trionfò nel 80-79 A.C.
A Faesulae, Arretium, Volaterrae e Clusium, il dittatore confiscò e distribuì terre ai soldati delle sue 23 legioni vittoriose. I nuovi coloni maltrattarono brutalmente i vecchi abitanti e, allo stesso tempo, sperperarono le loro ricompense militari, finendo inesorabilmente nei debiti. Ci furono rivolte e rappresaglie, ma il processo di romanizzazione non fu completato fino al regno di Augusto (31 A.C.-14 D.C.), che portò una nuova stabilità economica e una riconciliazione duratura.
In quel periodo, il latino aveva sostituito quasi completamente la lingua etrusca.
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