Dire che la politica non dovrebbe interferire con la Storia è idea palesemente giusta quanto inverosimile, come predicare la castità a dei marinai appena sbarcati dopo un viaggio di sei mesi.
La politica, sia quella con la “p” minuscola, che strumentalizza i ricordi per mere e puerili contrapposizioni dialettiche, sia quella con la “P” maiuscola, che ha bisogno di rafforzare le proprie scelte tramite una riprova in un qualche passato glorioso, ha sempre scomodato, e spesso inquinato, la Storia.
E quella romana, più di altre, è esposta a questo inquinamento. Sia per la sua impareggiabile portata e vastità, sia per la sua lontananza nel tempo e incertezza delle fonti, che consente di revisionarla e reinterpretarla a proprio uso e consumo con moderata facilità.
Limitandoci al ‘900, fu in principio il regime fascista. Mussolini stesso e tutti i suoi “sacerdoti” della propaganda, hanno attinto a piene mani ad un mondo senza dubbio guerriero e patriarcale, che si prestava perfettamente, con i dovuti aggiusti, ad una improbabile restaurazione dell’impero sui colli di Roma.
Al termine del ventennio, come il livido dopo una botta, il mito di Roma è rimasto invischiato di reinterpretazioni fasciste e di simbologie stiracchiate che, se da un lato sono state doverosamente vietate, per morale e per legge, dall’altro hanno attratto, e continuano a farlo, una massa di nostalgici che, inneggiando a Roma e al fascismo, non hanno capito l’essenza dell’una e gli obbrobbri dell’altro.
ll fenomeno si è evoluto con le generazioni: dai nonni che conservano ancora la stelletta del PNF si è passati a Boomer e Baby Boomer che la guerra l’hanno vista solo in cartolina ma che, per diversi vaneggiamenti, ancora accostano Roma ai fasci. Così, con un buon lavoro di immaginazione e di malafede storica, la strumentalizzazione fascista della storia romana prosegue imperterrita, arrivando a coinvolgere i giovanissimi di oggi.
Che non hanno mai visto la guerra e nemmeno una cartolina.
Eppure, le dinamiche della storia romana rivisitata e corretta, spesso al limite dell’ubriachezza, hanno preso negli ultimi decenni una piega del tutto inaspettata. La storia di Roma non viene più travisata solamente dal marcio mondo dell’estrema destra, ma anche dall’ipocrita, e altrettanto disgustosto clan dei cosiddetti “buonisti”, spesso appartenenti all’ala politica estremamente opposta.
Se fino a qualche anno fa taluni si tenevano ben distanti dalla storia romana, marchiando sistematicamente i suoi appassionati con il solito termine di “fassista”, quegli stessi hanno infine subìto il fascino di Roma e soprattutto intravisto la possibilità di tirarne la giacchetta per i propri scopi, spesso al limite del disagio mentale.
I primi sintomi di questi “funamboli” storici si sono percepiti in ambito prettamente politico. Il tema era quello di sottolineare l’estrema apertura mentale e la disponibilità all’accoglienza degli immigrati propria dell’impero romano, badando bene di omettere le stringenti norme e il rigido processo di romanizzazione imposto ai nuovi venuti. Raccontando così, solo una parte della storia.
Nacquero così, stavolta al limite del delirio, un imperatore Claudio che veniva da una famiglia di profughi, una Roma simile ad un centro sociale o ad una scuola okkupata, e affermazioni superficiali, palesemente incomplete, colpevolmente travisate.
Il fatto però, a fronte della sollevazione di studiosi e appassionati di storia, si è dovuto raffinare.
Certo, i politici esercitano ancora il loro diritto a pronunciare stupidaggini, ma il fronte di guerra si è gradualmente spostato su un campo più culturale e, forse, più pericoloso. Lo spettacolo e il malsano giornalismo.
Nel primo si è visto un fenomeno talmente evidente e spiazzante, da essere definito tramite il conio del nuovo termine “blackwashing“. Giulio Cesare, nato nella Roma del 100 a.C, diventa nero, Cleopatra, di origini greco-macedoni, è quasi nigeriana, Achille, che Omero descrive bianco e biondo, pare venire da Tunisi. La motivazione ufficiale, trionfo dell’ipocrisia, la “bravura” degli attori che dovrebbe prevalere sull’aspetto filologico.
Principio più facile da propugnare che da osservare, visto che Nelson Mandela continua ad essere interpretato da neri e Mao Tse Tung da attori orientali.
Nel giornalismo si utilizza invece lo stratagemma, tecnicamente abile, deontologicamente imbarazzante, di ri-scrivere la storia tramite un approccio che riesce nel raro intento di essere insieme ignorante e disonesto. Quello di selezionare piccoli frammenti di fonti antiche, episodi isolati, casi rari, e farne, colpevolmente, una grande regola generale.
E’ quello che abbiamo visto con Sporo: un effemminato liberto che l’imperatore Nerone, abusando della sua posizione, avrebbe sposato durante gli anni della sua follia, che diventa la “prova” inconfutabile della larga accettazione dei matrimoni omossessuali nell’Urbe, fenomeno di cui, con tutto il rispetto e gli auguri per le coppie gay di oggi, non si trova il minimo cenno nel diritto romano.
Adattissimo a questa narrazione l’imperatore Eliogabalo. Un ragazzino siriano, giunto alla porpora imperiale grazie agli intrighi di mamma e nonna, notoriamente dedito ad ogni tipo di mollezza e piuttosto “aperto” sotto l’aspetto sessuale, tanto da essere definito il primo “imperatore transessuale” della storia.
Anche qui, non importa che le voci appartengano all’Historia Augusta, un raccolta anonima e notoriamente poco attendibile sulla vita degli imperatori, nè che i pretoriani lo abbiano fatto letteralmente a pezzi. Il brevissimo regno di un ragazzo impreparato e stordito da giochi più grandi di lui, e dunque ben poco rappresentativo della gran parte della storia romana, diventa il vessillo e di nuovo la “prova” di un impero romano tranquillamente dominato da movimenti LGBT.
La sessualità dell’antica Roma, in sostanza, rappresenta il più recente e fecondo campo di battaglia per discutibili contrapposizioni politiche, che di amore per la storia hanno ben poco. Prova ne sia l’ultimo “grido”: a Roma si accettavano orientamenti sessuali di ogni genere, e l’amore era totalmente libero.
Eccola, che rispunta l’ipocrisia. E’ vero che il termine “omosessuale” nel vocabolario latino non esisteva nemmeno, e che un uomo poteva benissimo spaziare tra donne e altri uomini. Falso che fosse libero: il cittadino romano doveva rimanere virile e attivo, e gli era moralmente concesso di intrattenersi solo con schiavi e prostituti, ovvero altri uomini ma di rango sociale inferiore.
Di nuovo, una storia riassunta tralasciando tanti di quei dettagli da diventare “inventata”.
Insomma, siamo sempre vissuti, ma in questo periodo la cosa si fa intensa, in uno scenario dove la storia “militante”, da una parte e dall’altra, confonde l’onesto appassionato di Roma, che volendo avvicinarsi alla gloriosa storia di questo popolo, viene bersagliato da propaganda di ogni tipo e deve continuamente schivare pallottole di disinformazione.
Per fortuna, la storia di Roma, che ha superato le leggende del Medioevo, le reinterpretazioni rinascimentali e le propagande dei totalitarismi più recenti, si scrollerà di dosso anche le viscide beghe dei nostri anni.
Continuando ad essere un esempio di molte cose inarrivabili e costringendoci continuamente ad interrogarci sui nostri limiti.
Come ha sempre fatto.