Un interessante articolo sul New York Times pone una domanda molto curiosa a cui dare una risposta è davvero complesso. Riportiamo un estratto dell’articolo per comprendere subito l’argomento.
Gli antenati della mia famiglia, i Bibb, furono figure chiave nella fondazione dell’Alabama. Il mio prozio era il governatore territoriale, nominato da James Monroe, ed è stato eletto al governatorato dell’Alabama. Questi antenati avevano piantagioni e schiavi.
Possiedo un grande ed elegante ritratto di questo governatore proprietario di schiavi, William Wyatt Bibb (1781-1820). Questo ritratto occupava un posto d’onore nella casa della mia infanzia e campeggia sulla mensola del camino del mio soggiorno. Ho persino chiamato uno dei miei figli Wyatt in onore del governatore. In precedenza, non pensavo molto al ruolo della famiglia Bibb rispetto la schiavitù. Ora l’ho fatto, e ho dei dubbi sulla posizione del ritratto di un antenato che ora rappresenta un problema.
Questo articolo pone un problema molto importante: cosa fare del nostro passato?
Per “italianizzare” il quesito possiamo modificare il ritratto con un dipinto dedicato ad un nostro nonno, che per esempio aderì autonomamente al fascismo. Fu persona che non fece particolare male, ma sicuramente non si mosse in quella linea di ricerca della libertà che ora per noi sarebbe naturale e doverosa. Fu magari anche un buon nonno, ci ricordiamo anche di qualche momento reale visto da piccoli, e inoltre fu un buon padre. Ma ha quella macchia che non lo rende più una persona completamente pulita.
Che fare del suo ritratto? Buttarlo, rinnegare ciò che è stato per la nostra famiglia? O tenerlo e incorrere nelle ire di chi magari ricordando chi è ci imputa una commistione con gli ideali del passato?
E’ una domanda a cui dare una risposta univoca è difficile. Certamente la storia, perché di questo si tratta, non va vista e analizzata con i canoni morali e legislativi di oggi. Ma tenere in salotto un dipinto di qualcuno lo fa diventare un nostro simbolo odierno?
E’ la stessa domanda per cui in molte parti del mondo stanno togliendo l’immagine di Cristoforo Colombo che da navigatore e da scopritore di nuove terre non si limitò per nulla ad usare la schiavitù e ad uccidere. Nel suo tempo era considerato normale, era una pratica accettata. Con lo sguardo di oggi non è più possibile vederlo come una brava persona, come un esploratore dai buoni sentimenti. Dobbiamo eliminarne ogni sua traccia. Però stiamo giudicando la storia con un animo diverso da quello del tempo.
Non si tratta di pochi anni o decenni, stiamo parlando di centinaia di anni, e di una società completamente diversa.
I simboli e le immagini antiche quindi fanno di noi delle cattive persone? Se abbiamo una foto di Gengis Khan siamo dei brutali guerrieri?
Il commercio su larga scala di schiavi nel medioevo era principalmente confinato al sud e all’est dell’Europa.
La schiavitù nell’Europa altomedievale era così comune che la Chiesa cattolica la proibì ripetutamente, o almeno l’esportazione di schiavi cristiani in terre non cristiane, come ad esempio al Concilio di Coblenza (922), al Concilio di Londra (1102) ( che mirava principalmente alla vendita di schiavi inglesi all’Irlanda) e il Consiglio di Armagh (1171). La servitù della gleba, al contrario, era ampiamente accettata. Nel 1452 papa Niccolò V emanò la bolla pontificia Dum Divers, concedendo ai re di Spagna e Portogallo il diritto di ridurre in schiavitù perpetua i “saraceni (musulmani), pagani e ogni altro miscredente“, legittimando la tratta degli schiavi a seguito della guerra. L’approvazione della schiavitù in queste condizioni fu riaffermata ed estesa nella sua bolla Romanus Pontifex del 1455.
Alla luce di questo, se un nostro antenato fosse riconducibile al tempo ed ebbe schiavi? Lo cancelliamo dal nostro albero genealogico? Oppure decidiamo che allora era una procedura “normale”?
Il ragionamento è molto complesso, ma va fatto.