Le corse dei carri sono una manifestazione davvero spettacolare del mondo antico, particolarmente gradite e amate dai Romani e che sono entrate nell’immaginario collettivo anche grazie ai grandi kolossal americani. Le corse dei carri erano uno degli eventi sportivi e di celebrazione più amati dal popolo romano, che monopolizzava le feste e attorno al quale si scatenava sempre una grande curiosità, ma anche un giro di scommesse e di commerci molto fiorente.
Le origini delle corse dei carri
Le corse dei carri sono un momento di competizione e di divertimento sempre esistito, presente fin dagli albori del mondo antico: già i greci si dilettavano continuamente con questo tipo di eventi, ma anche gli etruschi avevano una buona tradizione di gare con i carri. Queste manifestazioni affascinarono rapidamente anche i romani e fin dagli inizi della loro storia. La tradizione afferma che addirittura il mitico fondatore di Roma, Romolo, avrebbe istituito giochi di questo tipo, e per un motivo molto particolare.
Secondo le cronache, i romani dell’epoca arcaica avevano bisogno di donne per generare le prime famiglie e così fu elaborato un grande piano per rapire le ragazze appartenenti alla tribù dei Sabini: per questo motivo, Romolo, in occasione delle feste dei Consualia, avrebbe organizzato delle magnifiche corse dei cavalli per distrarre i padri delle Sabine e permettere ai suoi legionari di rapire le fanciulle.
Dall’epoca regia le corse dei cavalli si diffusero rapidamente come fenomeno di cultura e di costume in tutto il popolo, diventando un appuntamento fisso e irrinunciabile per tutti i romani.
Le corse dei carri al Circo Massimo
Situato tra i colli Palatino e Aventino, il Circo Massimo era il luogo d’eccellenza dove i romani organizzavano le loro corse. Sembra che la prima costruzione, interamente in legno, risalisse addirittura al regno del Re Tarquinio Prisco che, appunto di origine etrusca, avrebbe sdoganato questo folclore anche presso il popolo romano.
Fu però Cesare ad aggiornare la struttura del Circo Massimo, facendo costruire le prime parti in muratura, operazione che sarà poi completata dall’imperatore Augusto, i cui interventi daranno una forma sostanzialmente definitiva alla struttura.
Per tutto il resto del periodo imperiale, il Circo Massimo avrebbe comunque conosciuto ulteriori migliorie, soprattutto ad opera degli imperatori Nerone, un fan accanito delle corse dei cavalli, e Domiziano. Sopravvissuto a crolli ed incendi, anche di grandissime proporzioni, il Circo Massimo ha dominato la scena dei giochi romani per diversi secoli.
Il Circo Massimo era una struttura impressionante: una ellisse larga 600 metri e alta 225, che poteva contenere fino a 250.000 spettatori. L’aspetto più interessante dell’infrastruttura sono certamente i sedili in muratura, perfettamente organizzati per far defluire la folla e farla accomodare quanto più rapidamente possibile al proprio posto. Con un atteggiamento piuttosto democratico, riconoscendo al popolo romano il diritto al divertimento, vi erano posti gratuiti per i poveri. I cittadini più abbienti potevano però prenotare i posti migliori, ovvero quelli che avevano la visuale più ampia e riparati dal sole.
Al centro del Circo Massimo vi era la cosiddetta “Spina“, una costruzione centrale allungata, che seguiva di fatto la forma dell’intera struttura, attorno alla quale i carri dovevano girare e che molto spesso era arricchita con colonne e altri abbellimenti anche di notevolissimo pregio.
Il Circo Massimo non era però solamente una struttura sportiva. Perfettamente integrati all’interno della costruzione, vi erano anche dei Templi per le cerimonie religiose, ed era anche un luogo di negozi e di botteghe dove si svolgeva un’attività commerciale fiorente e ininterrotta. Attorno al Circo Massimo, vi erano diverse stazioni di bagarini, che organizzavano e gestivano dei grandi giri di scommesse che movimentavano degli affari piuttosto ingenti.
Il fantino e i cavalli
Il fantino era, il più delle volte, uno schiavo, che intraprendeva questa carriera per il divertimento del popolo romano e per assecondare il volere dei suoi padroni, ma era anche spinto dalle vincite in denaro, che in caso di vittoria potevano essere anche piuttosto generose, oltre alla possibilità di guadagnarsi la libertà, qualora fosse diventato popolare presso il pubblico. Il fantino montava su un carro perfettamente organizzato e particolarmente robusto.
Mentre nelle corse dei carri greche il fantino non aveva particolari protezioni, l’auriga romano era invece molto ben protetto da un casco e da una piccola armatura ed era legato alla vita con delle corde che si attaccavano direttamente ai cavalli. Molte volte questo metteva a rischio l’incolumità del fantino in caso di caduta, tanto che era dotato di un coltello per cercare di liberarsi poco prima di un incidente.
Normalmente erano previsti 2 cavalli, e allora si parlava di una biga, o quattro cavalli, una quadriga. Raramente si poteva aumentare il numero dei cavalli, fino ad un massimo di 10, anche se in questo caso lo scopo non era tanto quello di vincere la corsa, quanto di esibire la bellezza della biga.
Anche se era tecnicamente possibile che un fantino gareggiasse da solo, nella maggior parte dei casi i partecipanti erano organizzati in fazioni. Le più note erano quella dei Rossi, devoti al Dio Marte, i Bianchi a Zeffiro, i Verdi, devoti alla madre terra e gli Azzurri, seguaci degli Dei del cielo e del mare. Una fazione poteva mettere in campo fino ad un massimo di 3 carri per ogni corsa e i fantini potevano passare da una fazione all’altra, seguendo una dinamica molto simile al nostro acquisto di calciatori poco prima dell’inizio della stagione calcistica.
La corsa dei carri
La gara era un momento di particolarissimo interesse ed intensità, paragonabile per partecipazione ed affetto, al nostro palio di Siena. In uno dei lati più corti della costruzione, vi era la zona dove i carri si posizionavano per la partenza. I carri entravano all’interno di piccoli cancelli chiamati “carceres“, e una volta che tutto era pronto, scattava il segnale del via, molto spesso sotto forma di un panno che veniva lasciato cadere dall’organizzatore dei giochi o direttamente dall’imperatore.
I carri scattavano e iniziavano la loro corsa. A differenza di quello che potremo pensare oggi, durante le corse dei carri romane i partecipanti erano completamente liberi di svolgere qualsiasi tipo di movimento e di stratagemma per superare gli avversari. Anche il tentativo di speronare o di far sfracellare i partecipanti contro la spina centrale era una mossa perfettamente consentita e anzi incoraggiata, in quanto aumentava particolarmente la spettacolarità dell’evento.
Uno dei momenti fondamentali del tragitto dei carri era il superamento della curva chiamata “Meta“. Questa era la parte del tracciato dove più spesso si potevano superare gli avversari e allo stesso tempo era il momento in cui più sovente si verificavano incidenti, anche di particolare gravità. Non era affatto raro che gli aurighi si schiantassero contro il muro e morissero sulla pista da corsa.
Una volta completato il giro, questo veniva segnato grazie ad un meccanismo presente nella spina centrale: vi erano infatti dei segnali a forma di delfino, che venivano lasciati cadere in un canaletto d’acqua all’interno della Spina, a segnalare il completamento di un giro. In epoca repubblicana e primo imperiale si prevedevano 7 giri per ogni gara, che furono però ridotti a cinque, in epoca tardo Imperiale, per aumentare il numero delle corse giornaliere.
Al vincitore della gara spettava una corona di foglie di alloro e un premio in denaro piuttosto ingente.
Un momento di aggregazione
Le corse dei carri rappresentavano uno dei momenti di principale aggregazione del popolo di Roma ed era anche uno dei pochi momenti in cui l’imperatore si faceva vedere di fronte a diverse decine di migliaia di persone. Le corse dei carri erano un momento di particolare divertimento e di partecipazione, attorno al quale, sia sotto forma di scommesse che sotto forma di commerci, si svolgeva una parte importante della vita economica cittadina.
Le corse continuarono fino al tardo impero quando, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, divennero sempre meno comuni e il Circo Massimo, complice una serie di malfunzionamenti che non vennero corretti, si trasformò mano mano in un’immensa cava a cielo aperto, che venne più volte utilizzata per prelevare del materiale da utilizzarsi per la costruzione di altre infrastrutture.
Oggi non rimane più nulla della struttura del Circo Massimo: quello che è visibile, nel bel mezzo della città di Roma, è la pianta ellittica, che riesce ancora oggi a darci la sensazione della grandezza di questa costruzione.