La congiura di Gaio Calpurnio Pisone fu un complotto ordito nel 65 d.C per uccidere l’imperatore Nerone. Nonostante le macchinazioni dei congiurati non andarono a buon fine, la cospirazione di Pisone conferma come la classe dirigente romana e gli alti rappresentanti dell’esercito mal sopportassero il governo dell’imperatore, che aveva assunto ormai un atteggiamento del tutto dispotico.
La congiura di Pisone fu un fallimento, soprattutto per ripetute fughe di informazioni che si verificarono prima dell’esecuzione, e si concluse con un totale di 41 condanne a morte.
Le motivazioni della congiura
La tradizione romana afferma che i primi cinque anni di governo di Nerone furono particolarmente illuminati, sia per l’influenza della madre, Agrippina Minore, sia per la presenza del celebre filosofo Seneca, che fungeva da mentore e consulente dell’imperatore.
Ma una serie di elementi, fra cui la quantità di nemici politici, le grandi responsabilità e le sfide che si trovava di fronte, portarono Nerone a perdere gradualmente il controllo e ad uccidere sistematicamente una serie di familiari e di appartenenti alla sua corte, sviluppando un carattere impossibile, caratterizzato da decisioni improvvise, frutto della paranoia, che stavano minando la stabilità dell’impero.
Da diverso tempo, negli ambienti aristocratici, si meditava di uccidere Nerone e di sostituirlo con un’altra personalità, proveniente dall’aristocrazia senatoria o dagli alti comandi dell’esercito.
L’organizzazione della congiura e le rivelazioni di Epicharis
Gaio Calpurnio Pisone era un importante statista romano, attivo come oratore e letterato, e punto di riferimento di quanti stavano accumulando odio nei confronti dell’ imperatore. Secondo le fonti antiche che ci parlano della cospirazione, prevalentemente Plutarco e Tacito, Pisone intendeva far assassinare Nerone e sostituirlo come imperatore, facendosi acclamare dalla guardia pretoriana.
Secondo altre interpretazioni, ma che hanno indizi piuttosto deboli, l’obiettivo della congiura era la restaurazione della Repubblica, la forma di governo precedente all’Impero.
La cospirazione prese corpo nel 65 d.C, ottenendo il sostegno di diversi importanti senatori, cavalieri e generali. Secondo Tacito, tra i personaggi più importanti che parteciparono alla cospirazione vi fu un tribuno di nome Sabius Flavus e un centurione di nome Sulpicio Afer, che aiutò in maniera determinante Pisone ad organizzare i dettagli della cospirazione.
Tuttavia la congiura fu messa in grave pericolo dall’imprudenza di una donna, Epicharis. La ragazza era amica, o forse amante, di Volusius Proculus, il comandante della flotta romana stanziata nella città di Miseno. Proculo si lamentava regolarmente del fatto che l’imperatore non gli volesse concedere i premi militari che gli sarebbero spettati. Capendo la posizione di Proculus, Epicharis si decise ad informarlo della congiura in corso.
La ragazza aveva fatto male i calcoli: Proculus, pensando al contrario di guadagnarsi il favore di Nerone, informò prontamente l’imperatore della cospirazione e la donna fu subito arrestata. La ragazza cercò di negare con forza le accuse, ma venne torturata brutalmente e l’imperatore, ormai, scatenò i suoi informatori. La cospirazione ebbe una grave battuta d’arresto.
Tragico fu il destino di Epicharis : per ottenere maggiori informazioni su quanto si stava meditando contro Nerone, i soldati la stavano accompagnando in una cella per torturarla una seconda volta, ma la donna preferì suicidarsi, strangolandosi con la sua stessa cintura.
Un nuovo tentativo di congiura
I cospiratori avevano fatto un primo buco nell’acqua: nelle ore immediatamente successive alla morte di Epicharis, una parte di loro pensò di uccidere Nerone nella sua villa di Baia, ma ad un esame più attento il piano risultava troppo improvvisato e rischioso. Appunto per questo motivo, i congiurati preferirono compiere l’attentato direttamente a Roma, durante i giochi che lo stesso Imperatore aveva organizzato.
Il prefetto della guardia pretoriana Fenio Rufo, avrebbe condotto Pisone al campo pretorio, dove i soldati lo avrebbero acclamato come imperatore, mentre Nerone moriva.
Ma anche questa volta le cose andarono male: la mattina in cui si doveva svolgere il complotto dei congiurati, il 19 aprile, un Liberto di nome Milikus informò il segretario di Nerone, Epafrodito, che il suo ex padrone Scervino stava organizzando qualcosa, dal momento che aveva ricevuto l’ordine di affilare un coltello e preparare delle bende.
Scervino fu così scoperto: inizialmente riuscì a sviare i sospetti, affermando che il coltello gli serviva per ben altro e che il suo ex schiavo non aveva capito le sue istruzioni. Ma la sua versione non convinse Epafrodito: sotto la minaccia della tortura e grazie ad ulteriori prove fornite dalla moglie di Milikus, che aveva riferito di un lungo incontro tra Scervino e Antonio Natalis, un altro cospiratore, Scervino confessò.
Venne consegnato per punizione al prefetto del Pretorio Fenio Rufo, ma per evitare di essere torturato, Scervino incolpò anche lui di voler partecipare alla congiura. Nel frattempo, un altro cospiratore, Subrius Flavus, espresse apertamente il suo odio per Nerone in tribunale, forse nel tentativo di portare il popolo della sua parte, ricordando come l’Imperatore si fosse lasciato andare all’omicidio della madre, a diversi crimini cruenti e quanto fosse ridicolo quando si esibiva come auriga e attore.
La cospirazione era ormai stata del tutto scoperta: Nerone ordinò a Pisone, al filosofo Seneca, al nipote di Seneca, Lucano, e al satirico Petronio di suicidarsi. Molti furono invece uccisi dalla sua guardia pretoriana.
In totale, 41 persone vennero accusate di far parte della cospirazione, tra cui 19 senatori, 7 appartenenti alla classe degli Equites, 11 soldati e 4 donne. La gran parte dei cospiratori venne uccisa o fu costretta al suicidio. Altri vennero esiliati o subirono delle pesanti emarginazioni e l’annullamento dei loro privilegi. Pochissimi i perdonati o gli assolti.