La congiura di Catilina fu un complotto ideato dal senatore romano Lucio Sergio Catilina, assieme ad alcuni aristocratici, che aveva come obiettivo quello di rovesciare il Consolato di Marco Tullio Cicerone e Gaio Antonio Ibrida per conquistare il potere nella Roma repubblicana.
Cicerone, attorno alla fine dell’anno 63 a.C, fu in grado di svelare i dettagli della congiura, denunciando Catilina di fronte al Senato e costringendolo a fuggire da Roma. Catilina si scontrò con gli eserciti consolari nella battaglia di Pistoia del 64 a.C, morendo sulla campo di battaglia.
La vita di Lucio Sergio Catilina prima della congiura
Catilina nacque nel 108 a.C dalla gens Sergia, un’antica famiglia Patrizia. I suoi genitori erano Lucio Sergio Silus e la matrona Bellina. Nonostante la sua famiglia avesse un passato di benessere e di ricchezza, da alcune generazioni la gens Sergia conosceva un declino graduale ma inarrestabile.
Catilina ebbe da subito una brillante carriera militare. Durante la guerra sociale nell’89 a.C, servì il giovane generale Pompeo Magno e Marco Tullio Cicerone.
Negli anni immediatamente successivi, Catilina sposò la nipote di Gaio Mario, comandante della fazione politica dei Populares. Nella successiva guerra civile tra Mario e Cornelio Silla, però, Catilina sostenne quest’ultimo.
In questo periodo, avrebbe compiuto delle azioni piuttosto crudeli: suo cognato, Marco Mario Gratidiano, era un magistrato che aveva causato la morte del padre dell’esponente politico Quinto Lutazio Catulo.
Catilina, per pura convenienza politica, si sarebbe schierato dalla parte di Catulo, uccidendo personalmente il cognato presso la tomba del padre di Catulo, per poi decapitare il cadavere e sfilare per le strade di Roma con la testa di Gratidiano in vista.
Catilina, sempre secondo le fonti antiche, avrebbe anche ucciso la sua prima moglie e suo figlio per poter sposare la ricca e bella Aurelia Orestilla, la figlia del Console del 71 a.C, Aufidio Oreste.
Nei primi anni del 70 a.C, servì come comandante in Cilicia, forse sotto il comando di Servilio Vatia. Nel 73 a.C fu processato per aver commesso adulterio con una vergine Vestale, un crimine che prevedeva la pena di morte. Ma Catulo, capo degli ottimati e memore del servizio che gli aveva reso qualche anno prima, testimoniò in suo favore, scagionandolo.
Nel 68 a.C venne nominato pretore e governatore dell’Africa: al suo ritorno in patria, nel 66 a.C, Catilina si sentì pronto per candidarsi alle elezioni come console, ma una delegazione dall’Africa fece appello al Senato, accusandolo di ripetuti abusi, il che portò il console uscente, Lucio Tullo, a negare il permesso per la sua candidatura.
Sempre per queste malversazioni venne processato nel 65 a.C, ma grazie all’appoggio di molti aristocratici e di uno dei Consoli, riuscì ancora una volta ad essere scagionato e assolto. Diverse fonti confermano che Catilina avrebbe ottenuto questo risultato soprattutto attraverso la corruzione dei giudici.
La prima congiura di Catilina
La prima congiura di Catilina, chiamata anche “Prima cospirazione catilinaria”, fu un complotto per uccidere i Consoli eletti del 65 a.C e prendere il potere con la forza. Alcuni storici considerano improbabile che Catilina abbia ordito un piano così prematuro, e alcuni sostengono addirittura che questa prima cospirazione potrebbe non essere mai esistita.
Comunque sia, Catilina si candidò alle elezioni consolari per il 63 a.C ma venne sconfitto da Antonio Ibrida e da Marco Tullio Cicerone, un uomo scelto e supportato dagli aristocratici.
I nobili temevano infatti il piano economico di Catilina, che mirava a risolvere la difficile situazione della plebe urbana e che prevedeva, tra l’altro, la cancellazione universale di tutti i debiti.
Proseguendo nel tentativo di eliminare Catilina politicamente, Catone il Giovane, allora questore, lo accusò dell’omicidio del suo cognato Mario Gratidiano, e della morte di altri politici. Nonostante ciò, Catilina riuscì nuovamente a farsi assolvere: alcuni storici suppongono che in questa situazione fu determinante l’influenza del giovane Giulio Cesare, che presiedeva il tribunale, e che forse condivideva una parte del piano di Catilina.
Catilina scelse così di candidarsi nuovamente al consolato per l’anno successivo. Tuttavia, al momento di presentare ufficialmente la sua candidatura, perse gran parte del sostegno politico di cui aveva goduto. Venne nuovamente sconfitto da altri due candidati, Decimo Silano e Lucio Murena.
Così, dopo una serie di brucianti sconfitte, Catilina iniziò a maturare l’idea di prendere il potere attraverso un colpo di stato.
Congiura di Catilina o seconda congiura catilinaria
Deciso ad ottenere il potere con la forza, Catilina riprese la sua politica di cancellazione generale di tutti i debiti attirando a sé molti legionari che avevano combattuto per Silla ma che erano finiti nel disastro economico.
I precedenti decenni di guerra avevano inoltre portato ad un’era di recessione economica in tutta la campagna italica e numerosi contadini avevano perso le loro fattorie, ed erano stati costretti a trasferirsi in città, aumentando drasticamente il numero dei poveri urbani.
Promettendo di risanare la loro situazione economica e di garantirgli un nuovo peso politico, Catilina cominciò ad attirare verso di sé un gran numero di disperati, pronti a prendere le armi per la sua causa.
Catilina inviò Gaio Manlio, un Centurione del vecchio esercito di Silla, a reclutare soldati in Etruria per costituire un esercito privato. Inoltre, diversi messaggeri vennero inviati nei luoghi più importanti d’Italia per ottenere nuovi sostenitori, sfruttando persino una piccola rivolta di schiavi che si stava accendendo presso Capua.
Nel frattempo, Catilina preparava il colpo di stato nel cuore di Roma: il suo piano prevedeva l’omicidio di gran parte dei senatori e una serie di incendi dolosi, che avrebbero dovuto gettare la città nel panico fino all’arrivo dell’esercito guidato da Manlio.
Parte integrante del complotto comprendeva l’assassinio di Cicerone e dei suoi colleghi Gaio Cornelio e Lucio Vargunteio, la cui morte era programmata per il 7 novembre del 63 a.C.
In una situazione di caos generale, Catilina avrebbe preso il controllo del governo.
Tuttavia, il complotto venne compromesso da una fuga di informazioni: Fulvia, amante di uno dei congiurati, Quinto Curio, informò Cicerone del pericolo. Cicerone scampò così alla morte la mattina del 7 novembre, facendosi accompagnare dalle guardie del corpo, che misero in fuga i congiurati.
Il giorno seguente, Cicerone convocò il Senato d’urgenza presso il tempio di Giove Statore, opportunamente circondato da soldati. Con grande sorpresa di Cicerone, Catilina era presente alla sua orazione.
Secondo il racconto di Plutarco, i senatori che sedevano vicino a Catilina si allontanarono lentamente da lui: Catilina rimase solo, lontano da tutti, sotto accusa.
In quella occasione Cicerone tenne la prima delle quattro orazioni catilinarie. Catilina, profondamente offeso dall’attacco di Cicerone, esortò il Senato a ricordare la storia della sua famiglia e di come i suoi avi avevano servito la Repubblica, invitandoli a non credere a calunnie e false voci, ma di fidarsi dell’antico prestigio della sua famiglia.
Alla fine, Catilina accusò i senatori di dare maggior credito a Cicerone, uomo che era nuovo alla politica, piuttosto che ad un aristocratico di vecchia data. Presumibilmente, Catilina concluse con violenza il suo discorso, urlando che avrebbe “spento con il fuoco” le accuse di tutti.
Lasciata la seduta del Senato, Catilina tornò a casa, obbedendo apparentemente alla richiesta di Cicerone di farsi trovare pronto per un’ulteriore interrogatorio. In realtà, Catilina fuggì da Roma nella notte e raggiunse Manlio in Etruria per portare avanti la sua rivoluzione armata.
Mentre Catilina preparava il suo esercito, i cospiratori continuavano con i loro piani. Apparve per i catilinari una possibile occasione propizia: una delegazione di Galli Allobrogi si stava recando verso Roma per ottenere sollievo dall’oppressione del loro governatore.
Così il cospiratore Lentulo Sura ordinò a Publio Umbreno, un uomo che tesseva diversi affari in Gallia, di contattarli e di offrire loro supporto per liberarsi dai soprusi del loro governatore in cambio di supporto militare.
Gli Allobrogi, tuttavia, entrarono in contatto anche con Gabinio Caputo, un altro cospiratore, e vennero pienamente a conoscenza della reale entità della congiura che Catilina stava preparando.
Valutando più sicuro assicurare fedeltà alla Repubblica piuttosto che ad un esercito improvvisato di rivoluzionari, gli Allobrogi informarono Cicerone di quanto stava accadendo. Da ottimo avvocato, Cicerone chiese agli Allobrogi di ottenere delle prove tangibili della congiura.
Gli Allobrogi, facendo il doppio gioco, chiesero ai catilinari di redigere una lettera con il riassunto delle promesse che intendevano onorare. Questa fu per i cospiratori una trappola: le lettere vennero intercettate in transito verso la Gallia all’altezza del Ponte Milvio.
In questo modo, Cicerone aveva ottenuto la prova definitiva della cospirazione di Catilina. Cicerone fece leggere le missive davanti al Senato già il giorno successivo: dopo pochi giorni, cinque congiurati vennero condannati a morte.
La loro condanna capitale stava avvenendo senza processo: un lungimirante Giulio Cesare avvisò di quanto fosse pericoloso condannare un cittadino romano alla pena capitale senza regolare sentenza, ma Cicerone temeva che altri cospiratori potessero intervenire per salvare i condannati a morte, e li fece strangolare senza attendere oltre.
Sembra che Cicerone abbia scortato personalmente i condannati verso il patibolo, e che abbia annunciato la loro morte ad una folla acclamante con le famose parole: “Vixere” ovvero, “Sono vissuti”, “Sono morti”.
La battaglia di Pistoia del 64 a.C e la morte di Catilina
Il fallimento della presa di Roma fu un durissimo colpo per Catilina. Dopo aver appreso della morte di Lentulo e dei principali cospiratori, molti uomini abbandonarono il suo esercito, che si ridusse da 10.000 soldati a 3000.
Con un contingente mal equipaggiato e con pochi uomini, Catilina tentò di marciare verso la Gallia e poi di nuovo verso Roma, nel vano tentativo di evitare una battaglia campale che sapeva di non poter affrontare. Catilina fu tuttavia costretto a combattere quando le tre legioni di Cecilio Metello Celere, Propretore della Gallia Cisalpina, lo intercettarono.
Catilina scelse di scappare dalle legioni di Metello e di attaccare il compagno console di Cicerone, Antonio Ibrida, vicino a Pistoia: nelle previsioni di Catilina l’esercito di Ibrida era sensibilmente più piccolo e una vittoria avrebbe potuto scoraggiare altri eserciti consolari dall’affrontarlo direttamente.
Catilina e tutte le sue truppe di fedelissimi combatterono con coraggio, e lo stesso Catilina si schierò in prima linea. Ma quando vide che non c’era alcuna speranza di vittoria, si gettò nel bel mezzo della mischia.
Al termine dello scontro, quando vennero recuperati i corpi dei catilinari, tutti i soldati di Catilina erano stati uccisi con delle ferite frontali: significava che non avevano mai tentato di scappare e che erano morti con onore. Il corpo dello stesso Catilina venne ritrovato in prima linea.
La sconfitta di Catilina rappresentò un enorme successo per Cicerone, che aveva letteralmente salvato la Repubblica e che venne pertanto soprannominato “Padre della Patria”.
Tuttavia, in tutta questa dinamica, la condanna a morte inflitta ai congiurati senza un regolare processo, permise a Cesare e ai suoi alleati di esiliare Cicerone nel 58 a.C., attraverso lo sfruttamento della Lex Claudia, una legge che esiliava chiunque avesse messo a morte un cittadino senza processo.