La battaglia di Milazzo (260 a.C.) è stato uno storico scontro navale tra la flotta dei romani, guidata dal Generale Gaio Duilio, contro le forze cartaginesi di Annibale Giscone. La battaglia è entrata nella storia soprattutto per l’utilizzo di un’arma di nuova concezione, il corvo, che ha permesso ai Romani di abbordare le navi avversarie e di capovolgere una situazione inizialmente sfavorevole.
Milazzo è certamente uno dei massimi esempi dell’ingegno romano, sfoderato di fronte a grandi sfide di natura militare, ma soprattutto rappresenta la prima grande vittoria marittima romana contro i cartaginesi nell’ambito della prima guerra punica.
La situazione in Sicilia e la superiorità marittima cartaginese
Il centro dello scontro, in questo periodo storico del Mediterraneo, è l’isola di Sicilia, contesa per secoli dai Greci, dai Cartaginesi e dai Siracusani, che con la loro città-stato rappresentavano uno dei centri urbani più fiorenti del periodo. Fino a quel momento la Sicilia non aveva risentito in maniera particolare dell’influsso dei romani, fino a quel momento impegnati nell’espansione nella penisola italica, ma dopo la vittoria romana nelle guerre pirriche, il Senato mise gli occhi sulle rotte commerciali dell’isola.
In altre parole, Roma era diventata una nuova forza militare, intenzionata a contendersi il controllo del territorio.
La situazione geopolitica del tempo era però inizialmente a favore dei cartaginesi. Cartagine era da secoli un impero marittimo grande e fiorente, con una imponente tradizione di marina militare, una flotta che comprendeva centinaia di navi all’avanguardia e che deteneva il controllo del Mar Mediterraneo.
Rimane nella storia una famosa frase di un ambasciatore cartaginese che, rivolgendosi ai Romani allo scoppio della prima guerra punica disse: “I Romani non potranno nemmeno lavarsi le mani nell’acqua del Mediterraneo, senza il permesso di un ufficiale cartaginese”.
La nuova flotta romana e la sconfitta di Lipari
I romani erano perfettamente consci della loro inferiorità marittima rispetto ai cartaginesi: i legionari conoscevano poco il mare e le uniche imbarcazioni conosciute erano quelle commerciali. Così nel 260 a.C il Senato autorizzò la costruzione di una imponente flotta per contrastare l’avversario cartaginese. Secondo Polibio il modello di riferimento per la costruzione delle nuovi nuove navi fu una quinquereme sottratta ai cartaginesi a largo di Messina, da cui i romani appresero sostanzialmente tutto quello che c’era da sapere sugli armamenti di una nave da guerra.
Questa teoria è stata contraddetta da alcuni storici moderni, come Dorey e Dudley, che affermano come i romani, molto probabilmente, avevano già avuto modo di ottenere le prime informazioni direttamente dal mondo greco. Nonostante le diverse interpretazioni, i romani svilupparono in pochissimo tempo una flotta che contava 100 quinqueremi e 20 triremi, riuscendo a porsi, almeno a livello numerico, come un avversario di tutto rispetto.
Il primo scontro tra romani e cartaginesi si verificò tra il console Scipione Asina e il generale cartaginese Boode, al largo di Lipari. Asina, alla guida di 17 navi da guerra, venne rapidamente sbaragliato e affondato dal Generale nemico, che riuscì addirittura a catturarlo. Lo smacco subito a Lipari fece rapidamente capire ai Romani come la situazione fosse molto più complessa rispetto alle previsioni. Fu per questo che il comando venne affidato all’altro console, Gaio Duilio, un generale particolarmente intraprendente, ma dotato anche di una certa dose di prudenza.
Duilio capì immediatamente che era necessario compiere un balzo tecnologico per colmare il divario con l’esperienza cartaginese. Per questo motivo, Duilio e lo Stato maggiore dell’esercito Romano ebbero l’idea di utilizzare uno strumento di concezione siracusana chiamato “Corvo“.
Si trattava di un grosso pennone cilindrico montato sulla prua di una nave. Da questo pennone, attraverso un sistema di corde, si poteva calare una passerella in legno dotata di ringhiere. Sulla punta di questa, un uncino di ferro ricurvo aveva l’obiettivo di ancorarsi fermamente alla nave avversaria. Quando si voleva far entrare in azione il corvo, bastava eseguire un rapido scatto attraverso le corde e la passerella cadeva violentemente sulla nave avversaria, che veniva letteralmente infilzata.
In questo modo, i soldati di fanteria presenti sulla nave romana potevano utilizzare la passerella per abbordare la nave del nemico e trasformare il combattimento da marittimo a terrestre, dove i legionari eccellevano particolarmente.
La battaglia di Milazzo
La prima occasione per dimostrare la funzionalità del corvo avvenne al largo di Milazzo. I cartaginesi erano impegnati a saccheggiare il porto della città con le loro forze. Intuendo il pericolo, Duilio si avvicinò all’area con una flotta di 103 navi, puntando direttamente verso l’avversario. Nel frattempo, alcuni informatori riuscirono ad allertare il generale cartaginese Annibale Giscone, che in quel momento si trovava a Palermo.
Subito Giscone partì con 130 navi da guerra per intercettare Duilio e l’incontro fra le due flotte da guerra avvenne direttamente nel Golfo di Milazzo.
In realtà, secondo quanto riferisce Polibio, i cartaginesi si accorsero immediatamente della presenza dei corvi, di cui non avevano ben intuito la funzione, ma nonostante una prima sorpresa, avrebbero sottovalutato la forza dei romani, considerandoli solamente navigatori di fiume, tanto da non mettere in atto nessun tipo di contromisura. E invece l’efficacia del corvo, si dimostrò in tutta la sua forza di lì a poche ore.
Le prime trenta navi da guerra cartaginesi, guidate da Annibale Giscone, si scontrarono con la flotta romana. I corvi entrarono immediatamente in azione e i romani, ancorando gli avversari, riuscirono ad abbordare e ad affondare le prime 30 navi senza particolare difficoltà. Lo stesso Annibale Giscone fu costretto a scappare a bordo di una scialuppa e a riconsiderare l’andamento della battaglia.
In realtà, confidando ancora nella superiore esperienza cartaginese e contando di poter evitare i corvi con la maggiore maneggevolezza delle sue navi, Annibale Giscone ordinò un nuovo attacco con altre 20 unità. Lo scontro marittimo però arrise nuovamente ai Romani i quali, sempre con l’utilizzo del corvo, riuscivano rapidamente ad avvicinarsi all’avversario e a prendere il controllo delle navi nemiche.
La battaglia di Milazzo rappresentò una piena vittoria romana, allorchè, dopo aver perso 50 navi da guerra, Giscone preferì non impegnare ulteriori porzioni della sua flotta e allontanarsi. I Romani lo inseguirono fino in Sardegna, dimostrando che le sorti della guerra marittima erano radicalmente cambiate.
Trionfo per Duilio, crocifissione per Giscone
Grandi festeggiamenti furono tributati al generale e ammiraglio Gaio Duilio per aver sconfitto l’odiato nemico cartaginese. Il segno principale di questa vittoria è certamente la “Colonna rostrata”, una colonna tutt’ora conservata a Roma, dove vengono riprodotti i rostri delle navi vincitrici e alcune iscrizioni commemorative: 31 navi catturate, 13 affondate e un quantitativo di oro e di argento sequestrato alle navi avversarie per un totale di 2 milioni di sesterzi.
A Gaio Duilio venne concesso il trionfo e gli fu consentito di erigere il Tempio di Giano nella parte centrale di Roma: una piccola parte di questo tempio è ancora visibile nella chiesa di San Nicola in Carcere.
Ben diverso fu l’esito per Annibale Giscone: la legge cartaginese prevedeva la crocifissione per i generali che si erano dimostrati incapaci in guerra. Secondo alcuni studiosi, il corvo potrebbe non essere mai esistito. Potrebbe trattarsi di un’invenzione partorita proprio dalla mente di Annibale Giscone con l’intento di sminuire le sue colpe e convincere i suoi concittadini a non comminargli la pena capitale. In ogni caso, Giscone non convinse i magistrati e fu crocifisso.
Tuttavia, dal punto di vista storico, il rapido cambio delle sorti della guerra e le descrizioni di Polibio, che sono particolarmente attendibili, sembrano confutare questa ipotesi.
L’abbandono del corvo
La guerra punica prenderà da questo momento una rotta completamente differente: di lì a poco, nella battaglia di Capo Ecnomo, la più grande battaglia navale del mondo antico, i romani ottennero un’altra straordinaria vittoria, utilizzando nuovamente il corvo.
Ma nonostante il grande servizio reso a Roma, il corvo venne abbandonato dopo alcuni anni. Il problema è che si trattava di una strumento particolarmente robusto, che appesantiva notevolmente la prua della nave e rendeva difficili le manovre. Secondo le cronache, si verificarono almeno tre tempeste durante le quali le navi romane affondarono rapidamente, senza riuscire a salvarsi, proprio per il peso del corvo.
Per questo motivo, sembra che già nella battaglia delle Isole Egadi del 241 a.C, lo scontro decisivo della prima guerra punica, questo strumento non fosse già più in dotazione alla flotta romana.