La battaglia dei Campi Catalaunici fu uno degli scontri militari più decisivi nella storia, fra le forze dell’impero romano, guidate da Flavio Ezio, e Attila, il Re degli Unni. Il conflitto ebbe luogo del 451 d.C in Gallia, l’odierna Francia, nella zona di Champagne.
Non conosciamo l’esatta ubicazione della battaglia, ma gli studiosi concordano che il luogo potrebbe trovarsi tra qualche parte fra le città di Troy e Chalons Sur Marne, mentre la data più accreditata per lo svolgimento dello scontro è il 20 giugno del 451 d.C
Questa battaglia è estremamente significativa per una serie di ragioni: innanzitutto questo conflitto fermò l’invasione dell’Europa da parte degli Unni, preservando la sopravvivenza della cultura greco-romana .
Fu anche il primo grande scontro in cui le forze romane furono in grado di fermare l’orda degli Unni, fino a quel momento ritenuta del tutto invincibile.
Due anni dopo i Campi Catalaunici, Attila morì improvvisamente e i suoi figli iniziarono un’aspra contesa per assicurarsi la supremazia. Dopo solo 16 anni dalla morte di Attila, il vasto Impero che era aveva creato, era completamente scomparso.
La situazione dell’impero romano e la migrazione degli Unni
L’impero romano aveva lottato per mantenere la sua coesione fin dalla crisi del III secolo, un periodo segnato da dilaganti disordini sociali, dalla guerra civile e da movimenti separatisti che avevano portati i territori a dividersi in regioni distinte.
L’imperatore Diocleziano era riuscito a riunificare i territori romani, ma questi erano ormai talmente vasti e difficili da governare che si era resa necessaria una divisione amministrativa tra l’impero romano d’Occidente, con capitale Ravenna, e l’impero romano d’Oriente, che faceva capo a Bisanzio, in seguito Costantinopoli.
Tra il 305 e il 388 d.C queste due metà dell’impero riuscirono a mantenersi e conobbero un certo livello di benessere, annullato tragicamente dalla battaglia di Adrianopoli del 9 agosto del 378 d.C, dove i Goti, capeggiati da Fritigerno, sconfissero e distrussero le forze di Roma guidate dall’imperatore Valente.
Allo stesso tempo, nell’ultima parte del quarto secolo dopo Cristo, gli Unni erano stati cacciati dalle loro regioni per via della pressione dei Mongoli.
La loro migrazione iniziale prese ben presto la forma di una vera e propria forza di invasione, che distrusse tutti i territori e le popolazioni incontrate sul loro cammino.
In quel periodo storico l’esercito romano era composto in gran parte da non romani, da quando nel 212 d.C, l’imperatore Caracalla aveva concesso la cittadinanza universale a tutti i popoli liberi entro i confini dell’impero romano.
Gli Unni erano stati impiegati nell’esercito insieme ad altri barbari. Ma la coesistenza pacifica era stata messa in crisi da ulteriori invasioni.
L’ascesa di Attila a capo degli Unni
Attila ci viene descritto dallo vescovo goto Giordane, che ha redatto l’unico racconto antico sulla battaglia. Giordane dice di non amare gli Unni, ma ammette che Attila era un uomo “nato nel mondo per scuotere le nazioni”.
Era il flagello di tutte le terre, che terrorizzò tutta l’umanità. “Era altezzoso nel suo cammino, roteava gli occhi di qua e di là, e la forza del suo spirito orgoglioso appariva nel movimento del suo corpo. Era davvero un amante della guerra, ma indulgente con coloro che furono accolti sotto la sua protezione.“
“Era basso di statura, con un ampio petto, una grande testa, gli occhi piccoli e una barba sottile.“
Attila fu sempre raffigurato come il sanguinario “Flagello di Dio”, ma Giordane e lo scrittore romano Prisco, lo mostrano invece come un acuto osservatore, un leader carismatico e un generale di eccezionale abilità.
Alla morte di suo zio, nel 433 d.C, Attila prese il comando. A Roma capirono immediatamente che la politica estera degli Unni aveva subito un radicale cambiamento. Se in un primo tempo Attila mediò con Roma e si impegnò militarmente contro i Parti sasanidi, contro cui perse, le cose cambiarono velocemente.
I romani, credendo che Attila avrebbe onorato il trattato di non belligeranza, avevano ritirato le loro truppe dalla regione del Danubio e le avevano inviate a combattere i Vandali, che minacciavano gli interessi romani in Africa e in Sicilia.
L’imperatore romano d’Oriente, Teodosio II, era così fiducioso che gli Unni avrebbero mantenuto i patti, che si rifiutò di ascoltare qualsiasi suggerimento dei suoi agenti segreti, che lo avvisavano del pericolo.
Ma quando Attila si rese conto che la regione era praticamente indifesa, lanciò un’offensiva sul Danubio nel 441 d.C, saccheggiando e distruggendo le città. L’attacco ebbe notevole successo in quanto completamente inaspettato.
Attila vedeva a questo punto Roma come un debole avversario e così, a partire dal 446 d.C, invase di nuovo la regione della Mesia, nell’area dei Balcani, distruggendo oltre 70 città, schiavizzando la popolazione e raccogliendo un enorme bottino, stipato nella sua roccaforte presso la città di Buda, nell’attuale, Ungheria.
Attila aveva ormai sconfitto le principali forze militari dell’Impero romano d’Oriente e poteva puntare sull’Occidente e sulla sua capitale.
La minaccia di Attila sull’Occidente
Nonostante la sua ferocia, Attila era un fine politico, che necessitava di una scusa legittima per invadere la parte occidentale dell’impero romano.
L’occasione si presentò nel 450 d.C, quando Onoria, sorella dell’imperatore romano d’Occidente Valentiniano, cercò uno stratagemma per sfuggire ad un matrimonio combinato con una senatore. Onoria pensò di inviare un messaggio ad Attila, insieme ad un anello di fidanzamento, chiedendo il suo aiuto.
Attila ebbe finalmente l’occasione che gli serviva per muoversi verso l’Italia.
Appena Valentiniano si accorse dell’iniziativa della sorella, mandò dei messaggeri ad Attila, con l’intento di chiarire il malinteso e spiegando che il gesto di Onoria consisteva in una iniziativa del tutto personale, completamente slegata dalla reale volontà di Roma.
Ma Attila aveva l’appiglio di cui necessitava: il Re degli Unni affermò che la proposta di matrimonio era da considerarsi legittima, che era stata accettata, e sarebbe venuto a reclamare la sua sposa.
In altre parole, Attila ebbe il pretesto legale per mobilitare l’esercito e iniziò la sua marcia verso Roma.
Il grande avversario di Attila, Flavio Ezio
Il generale romano Flavio Ezio si stava preparando per un’invasione su vasta scala fin da alcuni anni prima dell’evento. Il generale aveva vissuto tra gli Unni come ostaggio, durante la sua gioventù : parlava la loro lingua, comprendeva perfettamente la loro cultura e aveva impiegato molte volte gli Unni nel suo esercito.
Aveva stretto addirittura un rapporto personale e amichevole direttamente con Attila.
I suoi contemporanei lo descrivono “di media statura, e ben proporzionato. Non aveva infermità. La sua intelligenza era acuta, ed era sempre pieno di energia. Un superbo cavaliere, un buon tiratore con la freccia. Abile come soldato ed esperto nelle arti della pace, era magnanimo e nel suo comportamento non venne mai influenzato dal giudizio di consiglieri disonesti.”
Questa descrizione era ovviamente idealizzata, ma Ezio fu certamente la scelta più saggia per guidare una forza militare contro gli Unni, dal momento che conosceva alla perfezione le loro tattiche e il loro leader.
Il suo carisma personale e la sua reputazione come comandante gli permisero di radunare cinquantamila uomini.
Ma nonostante questo, il contingente era ancora troppo debole ed Ezio sapeva di avere bisogno di un alleato. Riuscì così, dimostrando notevoli abilità diplomatiche, ad ottenere l’appoggio di un suo ex avversario, Teodorico I, Re dei Visigoti.
Inoltre, Eziò fu in grado di radunare una fanteria mista, composta in gran parte da Alani, Borgognoni, Goti e altre tribù germaniche.
Secondo la maggior parte degli storici moderni, Ezio fu l’ultimo vero romano d’Occidente.
Ma questo “titolo” è in realtà conteso anche dall’imperatore Maggioriano, che regnò fra il 457 al 461 d.C. Maggioriano diede luogo ad una straordinaria campagna militare di riconquista dei territori perduti, promuovendo una serie di riforme della società.
Venne sconfitto solamente dall’improvvisa perdita della flotta navale con cui stava muovendo contro i Vandali e dal tradimento del compagno d’armi Ricimero.
Verso la battaglia dei Campi Catalaunici
Nel 451 d.C, Attila iniziò la sua conquista della Gallia, con un esercito di circa 200 mila uomini. Gli Unni presero possesso della Gallia belgica con poca resistenza.
La reputazione di Attila come forza invincibile, alla guida di un esercito che non concedeva alcuna pietà, gettò le popolazioni nel panico, portandole a fuggire il più rapidamente possibile con tutto ciò che erano in grado di trasportare.
A maggio, Attila raggiunse la città degli Alani di Orléans. Il Re degli Alani, Sangiban, intendeva arrendersi immediatamente, ma Ezio e Teodorico arrivarono sul posto, riuscirono a rompere l’assedio e a costringere Sangiban ad unirsi a loro.
Fu a questo punto che Attila, si ritirò, lasciando dietro di sé un contingente di 15000 guerrieri Gepidi come retroguardia per coprire la sua ritirata. Secondo Giordane questa forza andò completamente distrutta in un attacco notturno orchestrato da Ezio.
Il racconto del massacro dei Gepidi raccontato da Giordane è stato però contestato in diversi punti, in particolare sul numero di uomini che Attila avrebbe utilizzato per la retroguardia.
La battaglia dei Campi Catalaunici: disposizione e schieramento
Era arrivato il momento della battaglia: il generale Unno scelse di accamparsi in una zona vicino al fiume Marna, in un’ampia pianura, rivolto al nord. Attila posizionò le sue forze ostrogote alla sua sinistra e ciò che restava dei Gepidi alla sua destra, mentre i suoi guerrieri Unni avrebbero guadagnato il centro.
Ezio arrivò sul campo, quando Attila era già in posizione. Sistemò Teodorico e le sue forze di fronte agli Ostrogoti e agli Unni, Sangiban al centro e lui stesso prese la posizione più lontana, di fronte ai Gepidi.
Attila aveva scelto di attestarsi in una posizione nella parte inferiore del terreno di battaglia, molto probabilmente pensando di trascinare le forze romane verso il basso e sfruttare al meglio i suoi arcieri e la sua cavalleria.
Attila preferiva infatti non impegnare i suoi soldati in combattimenti ravvicinati e prolungati. Preferiva avvicinarsi al nemico usando le asperità del terreno per nascondere le truppe, finché queste non si trovavano a portata delle frecce.
Alchè, mentre alcuni arcieri tiravano verso l’alto per indurre i difensori ad alzare gli scudi, un’altra linea di attaccanti mirava direttamente alle gambe degli avversari. Dopo aver inflitto un numero sufficiente di vittime, gli Unni si avvicinavano per finire i sopravvissuti.
La cavalleria Unna faceva spesso uso di reti che gettavano sull’avversario, immobilizzandolo e uccidendolo. Il terreno potrebbe aver fornito proprio il tipo di coperture che sarebbe stato a vantaggio di Attila.
Secondo Giordane, Attila avrebbe aspettato fino all’ora nona (le nostre 14:30) per iniziare la battaglia, in modo che il suo esercito avrebbe avuto la possibilità di ritirarsi, qualora necessario, al riparo delle tenebre.
A ridosso dello scontro, sia agli Unni che ai romani apparve chiaro un elemento importante del paesaggio, ovvero una piccola collinetta che dominava la zona. Chiunque avesse conquistato quel modesto rialzo del terreno, avrebbe ottenuto una visuale privilegiata dell’intero campo di battaglia e un indubbio vantaggio tattico.
Gli Unni cercarono di conquistare la collinetta al centro del campo, ma furono respinti dai Visigoti guidati da Torismundo, figlio di Teodorico.
La battaglia dei Campi Catalaunici: lo scontro
Furono gli Unni a lanciare per primi il loro attacco. Sangiban e gli Alani combatterono al centro contro gli Unni, mentre i Visigoti affrontarono gli Ostrogoti respingendoli.
Teodorico fu ucciso in questo scontro, ma contrariamente alle aspettative degli Unni, questo non demoralizzò i Visigoti, ma li fece combattere più duramente. La battaglia divenne feroce, confusa, mostruosa.
Giordane afferma che secondo testimoni oculari e rapporti della battaglia di prima mano, un ruscello che scorreva attraverso il campo di battaglia fu interamente colorato dal sangue dei feriti.
Ezio e le sue forze furono in realtà trattenute dai Gepidi, ma i romani riuscirono a separare questi avversari dal resto del contingente di Attila. Una volta che gli Ostrogoti furono sconfitti dai Visigoti sul fianco sinistro, i Visigoti scesero sugli Unni al centro.
Incapace di utilizzare sia la cavalleria che i suoi arcieri, con il fianco sinistro in rovina e il fianco destro impegnato con Ezio, Attila riconobbe la sua posizione precaria e ordinò di ritirarsi nell’accampamento
I Gepidi si unirono alla ritirata e l’intera forza degli Unni si mosse all’indietro finché non furono ricacciati all’interno del loro campo. Una volta al sicuro, nel loro accampamento, gli Unni furono in grado di respingere gli aggressori.
La battaglia campale si concluse quella notte.
Riferiscono le fonti che vi era la più grande confusione fra i ranghi romani, mentre i soldati procedevano nell’oscurità senza sapere chi avesse vinto la battaglia o cosa avrebbero dovuto fare la mattina dopo.
Al mattino, con il sorgere del sole, la portata dello scontro divenne chiara. Entrambe le parti poterono assistere alla carneficina dei combattimenti del giorno precedente.
Gli Unni continuarono a tenere a bada gli avversari e tentarono alcuni attacchi di distrazione, senza mai muoversi realmente dal campo. Ezio e Torismundo riconobbero che gli Unni erano intimoriti e che le forze romane avrebbero potuto tenerli in scacco nel loro accampamento a tempo indefinito.
La resa di Attila, i calcoli di Ezio
Nonostante la situazione a suo vantaggio, Ezio si trovava in una posizione scomoda. I Visigoti di Teodorico si erano uniti alla sua causa solo perché ritenevano che gli Unni fossero una minaccia maggiore di Roma.
Se gli Unni fossero stati eliminati, non ci sarebbe stato più motivo di continuare l’alleanza, ed Ezio temeva che Torismundo e la sua forza militare preponderante avrebbero potuto rivoltarsi contro di lui e marciare verso Ravenna.
Pertanto, Ezio suggerì a Torismundo che le forze romane erano in grado di gestire il contingente residuo degli Unni e che il suo esercito poteva tornare a casa. Torismundo accettò la proposta e lasciò il campo.
Ezio, rimasto solo con una forza militare solo vagamente organizzata, raccolse gli uomini nuovamente sotto il suo comando e si ritirò dal campo di battaglia.
Attila, nonostante la mancanza di avversari, si ritirò dal luogo dello scontro e in breve tempo si allontanò da tutti gli altri territori romani.
La misteriosa ritirata di Attila
Per quale motivo Attila scelse di ritirarsi? la sconfitta dei Campi Catalaunici, nonostante avesse distrutto la sua aura di imbattibilità, non era stata schiacciante.
Non abbiamo risposte definitive.
Pssiamo ipotizzare che le condizioni a Ravenna fossero tali che Ezio poteva sentirsi al sicuro solo finché era indispensabile. E per rimanere tale era necessario che Attila non venisse annientato del tutto.
Probabilmente venne stipulato un accordo segreto tra lui ed Attila, che comunque, erano amici.
Il fatto che gli Unni non siano stati annientati porta addirittura alcuni studiosi a pensare che questa battaglia potrebbe trattarsi più verosimilmente di un pareggio, piuttosto che come una vittoria romana, come raccontato dalla tradizione.
E’ anche vero che la ritirata di Attila avvenne molto rapidamente, e non solo dal luogo dello scontro ma da tutti i territori che era riuscito a conquistare.
In questo senso, la tradizionale interpretazione della battaglia come una vittoria romana ha più senso.
Ezio e Attila. Morte di due grandi generali
Sia Ezio che Attila sarebbero morti entro pochi anni da quello scontro. Ezio venne ucciso dall’imperatore romano Valentiniano in un’improvvisa esplosione di rabbia nel 454 d.C. Le fonti riportano che “l’unica volta che Valentiniano estrasse una spada, lo fece per tagliare con la sua mano sinistra la mano destra”
A testimoniare che l’atto sconsiderato di Valentiniano aveva di fatto privato l’impero d’Occidente dell’unico grande generale in grado di difenderlo.
Il Re Attila, era morto invece l’anno prima, per lo scoppio di un vaso sanguigno dopo una notte di forti bevute. La sua immensa eredità passò in mano ai figli, che in meno di 20 anni, sgretolarono l’impero degli Unni attraverso incessanti quanto sterili combattimenti per il potere.
Articolo originale: The Battle of the Catalaunian Fields di Joshua J. Mark (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Federico Gueli