Nel mondo antico, le battaglie campali erano lo strumento principale per affrontare il nemico e decidere l’andamento delle guerre, ma a volte, quando gli avversari si asserragliavano all’interno di una città ben fortificata, l’assedio diventava una necessità, nonostante avesse un alto costo in termini di denaro, tempo e soldati.
Diversi fattori consentirono ai Romani di ottenere notevoli successi nell’arte dell’assedio: le sofisticate armi di artiglieria, le formidabili torri d’assedio, una particolare esperienza ingegneristica, una logistica superiore e il dominio dei mari.
Ma anche la determinazione: quando i legionari decidevano di compiere un assedio, questo era praticamente inarrestabile, anche a costo di impiegare settimane o mesi per espugnare la città nemica.
L’artiglieria negli assedi
Per quanto riguarda l’uso dell’artiglieria, i romani partirono dalle conoscenze dei greci, ma eseguirono una serie di ottimizzazioni e innovazioni importanti.
Le macchine dei romani utilizzavano ad esempio corde realizzate con i tendini degli animali al posto dei crini di cavallo, per aumentare la forza e la torsione, consentendo loro di sparare proiettili per diverse centinaia di metri. O ancora, le parti metalliche in ferro e in bronzo sostituirono rapidamente il legno dei modelli greci, per aumentarne la resistenza, la stabilità e la potenza di fuoco.
Il primo e fondamentale strumento di artiglieria per una guerra d’assedio era l’onagro, una struttura con un braccio oscillante in grado di scagliare delle pietre di grandi dimensioni. Si trattava di massi più o meno circolari che potevano arrivare a pesare fino a 80 kg, il che gli consentiva di abbattere grandi porzioni di mura difensive e distruggere le torri di fortificazione.
Un altro tipo di artiglieria, molto più preciso, era la carrobalista o catapulta, che lanciava frecce, dardi o pietre più piccole ed era costituito da due braccia, come una balestra. I dardi o le aste di legno erano rinforzate da delle punte di metallo, che erano in grado di perforare l’armatura degli assediati.
Spesso si sceglieva di utilizzare proiettili infuocati, che naturalmente costringevano gli assediati a impiegare una parte delle loro risorse per domare gli incendi.
In una legione ogni coorte era dotata di un pezzo di artiglieria, ma alcune fonti ci parlano di legioni che arrivarono a contare addirittura 55 macchine d’assedio pronte all’azione, il che significa che il comandante, in caso di bisogno, aveva la possibilità di aumentare a proprio piacimento il numero di pezzi di artiglieria disposizione.
Grande importanza rivestivano i legionari addetti alla gestione di questi strumenti. Gli “artiglieri” erano truppe speciali esentate dalle normali fatiche dell’accampamento, probabilmente perché avevano bisogno di un continuo esercizio e di dedicare parecchio sforzo alla manutenzione giornaliera delle macchine.
Inoltre, il trasporto di questi pesantissimi strumenti e delle loro munizioni necessitava dell’utilizzo di decine di carri e di muli, oltre ad una ottima conoscenza del territorio.
Macchine d’assedio
I romani furono un po’ lenti nell’adottare le macchine d’assedio o le torri che i regni ellenistici avevano invece utilizzato sin dalle prime fasi della loro storia bellica.
Uno dei primi momenti in cui romani si appoggiarono a delle autentiche macchine fu durante l’assedio di Utica da parte di Scipione Africano nel 204 a.C. In quell’occasione, Scipione adattò le torri rendendole più piccole e manovrabili.
Queste divennero però molto più utili ed efficaci quando i romani aggiunsero degli arieti per sfondare le porte, un ponticello sulla sommità per il passaggio dei legionari e alcune piattaforme che potevano trasportare via via dal basso verso l’alto della struttura degli interi pezzi di artiglieria.
Ogni torre era dotata di possenti ruote, in modo da poter essere costruita a distanza di sicurezza dalla città assediata e avvicinata quando necessario.
Un esempio particolarmente impressionante, riguarda Giulio Cesare, che impiegò con successo una torre alta 10 piani e riempita di pezzi di artiglieria durante l’assedio di Uxellodunum, in Gallia nel I secolo a.C.
Ma un altro episodio è quello degli Aduatici: i romani iniziarono a costruire a distanza di sicurezza un’enorme torre d’assedio e i galli, asserragliati all’interno della città, iniziarono a schernirli, affermando che fosse impossibile per uomini così piccoli spostare un macchinario così grosso.
Quando i legionari completarono il loro lavoro e dimostrarono di essere in grado di avvicinare la torre alle mura della città, gli aduatici si arresero immediatamente, immaginando che i legionari romani fossero guidati direttamente dagli Dei, per la loro forza sovrumana.
La tattica d’assedio
Gli assedi avevano dei significativi vantaggi rispetto alle battaglie in campo aperto in quanto consentivano di uccidere diversi nemici, terrorizzare le popolazioni e minare la loro volontà di resistere o di conquistare altre roccaforti, il tutto con un’unica operazione efficiente e con forze militari ammassate in modo sicuro.
In un tipico assedio romano, se l’attacco iniziale non riusciva a garantire la vittoria immediata, la prima priorità era circondare la città e impedire a chiunque di scappare. Il secondo passo era quello di sbarrare eventuali porti o vie di fuga che dessero sul mare.
Alchè l’esercito di terra costruiva un accampamento fortificato fuori dalla portata delle frecce della città, preferibilmente su un’altura, che forniva un buon punto di osservazione per individuare obiettivi chiave o capire da dove derivasse l’approvvigionamento idrico.
L’assedio iniziava dunque a protrarsi per diversi giorni o settimane senza alcun combattimento, nella speranza che i difensori si arrendessero per fame, per mancanza d’acqua o per una drastico calo del morale. Inoltre, gli “agenti segreti” dei romani avviavano continui tentativi di convincere dei traditori o dissidenti del nemico ad aprire un varco o spalancare improvvisamente le porte della città.
Se tutte queste misure non sortivano effetti entro un tempo ragionevole, era necessaria una strategia più aggressiva. In quel caso l’assedio veniva rinforzato con la costruzione di palizzate di legno e torri di guardia sia di fronte al nemico, sia nella parte posteriore, per evitare un attacco alle spalle da parte di eventuali unità di rinforzo.
Durante le operazioni di attacco, i legionari potevano costruire delle rampe o dei terrapieni per raggiungere e superare le mura. E dal momento che le loro operazioni venivano disturbate da un continuo lancio di frecce da parte degli assediati, gli attaccanti venivano protetti da coperture temporanee costituite da legno o vimini.
Allo stesso modo, intere batterie di artiglieria e arcieri si occupavano di neutralizzare i rispettivi avversari, permettendo ai legionari di completare il lavoro fino a issare delle scale per raggiungere la sommità delle mura.
Ovviamente gli assediati potevano cercare di costruire una seconda cinta muraria difensiva o alzare ancora di più l’altezza delle fortificazioni. Un vero e proprio gioco “al gatto e al topo” che si verificò per esempio nell’assedio di Iotapata guidato da Vespasiano nel 70 d.C o a Masada nel 74 d.C
La fase successiva prevedeva che gli attaccanti colpissero le mura o le porte con pesanti arieti. Si trattava di enormi pali sospesi in orizzontale collegati tramite una serie di catene ad un telaio in legno. I legionari tiravano indietro il palo per fargli prendere una sorta di “rincorsa” e poi rilasciare con un forte colpo in avanti una percussione sul muro.
I difensori reagivano realizzando delle pareti di sabbia in grado di attutire i colpi o tentando di dare fuoco agli arieti mentre si avvicinavano.
Nel caso in cui difensori avessero avuto il tempo di costruire dei fossati attorno alla città, questi dovevano essere necessariamente riempiti: in questo caso i legionari lanciavano nel fosso dei fasci di legno e infine coperture di pelle rinforzata.
Un’altra tecnica di attacco consisteva nello scavare dei tunnel sotterranei. Gli attaccanti li sfruttavano non tanto per sbucare improvvisamente all’interno della città, in quanto sarebbero stati avvistati facilmente, quanto per minare le fondamenta di una parte delle mura causandone il crollo.
I difensori, se riuscivano ad accorgersi di questo tentativo, potevano allagare, far crollare e persino liberare animali feroci o api all’interno dei tunnel. Ma anche gli stessi assediati, potevano costruire a loro volta dei tunnel per minare le rampe e le torri d’assedio degli attaccanti che si stavano avvicinando.
Il momento più importante e violento durante un assedio era lo sfondamento delle difese nemiche: nel momento in cui veniva fatta una breccia tra le mura difensive, i primi soldati di fanteria che riuscivano a penetrare all’interno della città si proteggevano con la famosa formazione a testuggine mentre i difensori lanciavano tutto quello che potevano: olio bollente, pezzi di legno infuocati, pietre e vasi.
Una volta penetrati all’interno della città, si svolgevano terrificanti e sanguinosi combattimenti corpo a corpo per le strade e la violenza toccava il suo massimo. Normalmente, nelle prime ore tutti gli uomini in grado di combattere venivano abbattuti, le sacche di resistenza neutralizzate, le donne stuprate e persino per i bambini c’era poca speranza.
Gli assedi romani più famosi
Uno degli assedi romani più lunghi e famosi fu l’attacco a Cartagine nel corso della terza guerra punica tra il 149 e il 146 a.C. La città era massicciamente fortificata e fu in grado di resistere fino a quando Scipione africano Minore riuscì ad abbattere le mura grazie ad un imponente dispiego di macchine d’assedio. Cartagine cadde e fu completamente distrutta.
Nel 133 fu la volta della città di Numanzia, in Spagna, dove venne costruito un enorme fossato attorno ai difensori e un muro di pietra punteggiato da torri tutto intorno all’intera città.
Ma forse l’assedio più importante della storia romana fu quello portato avanti da Giulio Cesare ad Alesia, nel cuore delle Gallie, nel 52 a.C. Cesare fece costruire una enorme palizzata di legno punteggiata da torri e protetta da un fossato di 6 metri e mezzo con bastoni appuntiti , 5 file di tronchi con punte di ferro, una serie sterminata di trappole e 23 forti. Incapace di rompere questa straordinaria morsa, il suo avversario, Vercingetorige, fu costretto ad arrendersi.
Altri esempi famosi sono certamente l’assedio di Gerusalemme, guidato da Tito nel 70 d.C, dove venne creato un muro di 7 km in soli tre giorni. Ma non solo: durante la stessa guerra si verificò anche l’assedio di Masada del 74 d.C, sempre perpetrato da Tito, quando i romani costruirono una massiccia rampa di 225 metri e alta 75, per raggiungere un apparentemente inarrivabile altura: i resti di quello straordinario sforzo bellico sono ancora visibili e visitabili dagli appassionati di tutto il mondo.
Viceversa, i romani non conobbero quasi mai l’esperienza di un assedio ai loro danni: l’unico episodio di una certa importanza fu quello di Dura Europos, in Siria, nel 256 d.C, mentre casi minori furono l’assedio del campo di Quinto Cicerone durante le guerre galliche e quello di Filippopoli nel 250 d.C, da parte del Re gotico Cniva.
Articolo originale: Roman Siege Warfare di Mark Cartwright (World History Encyclopedia, CC BY-NC-SA), tradotto da Andrea Finzi