Il fuoco greco. Formula e storia dell’arma Bizantina

Il fuoco greco è una delle armi più misteriose e affascinanti della storia bizantina.

Questo composto misterioso, in grado di bruciare persino sull’acqua, trasformava le battaglie in scenari apocalittici, dove le fiamme sembravano sfidare le leggi della natura stessa.

La sua formula segreta, custodita gelosamente e protetta da pene severe, ha alimentato miti e speculazioni per secoli. 

Le origini del fuoco greco

Secondo Teofane il Confessore, il fuoco greco fu inventato nel VII secolo d.C. da un certo Callinico, un ingegnere di Eliopoli in Egitto. Questa arma incendiaria aveva la straordinaria capacità di bruciare anche sull’acqua, rendendola particolarmente efficace nelle battaglie navali.

Una delle ragioni per cui il fuoco greco è avvolto nel mistero è che la sua formula era un segreto militare strettamente custodito dall’Impero Bizantino.

Oltre ad essere conosciuto solo dagli alti ufficiali bizantini e dall’imperatore stesso, la divulgazione della sua composizione era punita con la morte, per garantire che i nemici non potessero replicare questa devastante arma.

Per questo motivo, non conosciamo con certezza gli ingredienti e il metodo di produzione del fuoco greco; abbiamo solo teorie basate su testimonianze storiche e studi scientifici.

Le teorie sulla composizione del fuoco greco

Anna Comnena, nella sua opera “Alessiade”, menziona in maniera molto frammentaria che il fuoco greco fosse composto da resina vegetale e zolfo. Questa teoria si basa sulle osservazioni storiche dell’epoca, ma non è mai stata confermata in modo definitivo. La resina vegetale, probabilmente la pece, e lo zolfo, sono entrambi materiali infiammabili, e la loro combinazione avrebbe potuto creare un’arma incendiaria efficace.

Un’altra teoria, avanzata da Haldon, Bryne e Davidson, sostiene che il fuoco greco fosse composto da salnitro e polvere da sparo, soprattutto perché secondo le fonti antiche il fuoco Greco creava “tuono e fumo”, il che si collegherebbe bene all’utilizzo di questi due elementi.

Questa ipotesi è però controversa, poiché la polvere da sparo fu inventata solo successivamente in Cina, e non ci sono prove che i Bizantini ne fossero a conoscenza. Inoltre, è strano che i musulmani, i principali chimici dell’epoca, non abbiano mai documentato una composizione simile, considerando la loro competenza nel settore chimico.

Partington propone un’altra teoria secondo cui il fuoco greco era basato sulla calce viva. Questa sostanza, conosciuta sia dai Bizantini che dagli Arabi, quando a contatto con l’acqua, produce una reazione esotermica (rilasciando calore) che potrebbe spiegare l’effetto incendiario. 

Infine, McEvedy suggerisce che il fuoco greco fosse conservato in un recipiente sigillato contenente ossa, urina e fosfato di calcio. Questa miscela, che avrebbe potuto agire come un catalizzatore chimico, sarebbe stata capace di produrre una reazione incendiaria quando esposta all’aria.

Oggi, la maggior parte degli esperti e degli studiosi sostiene che il fuoco greco fosse composto principalmente da petrolio e nafta. Questa ipotesi si basa su diversi elementi storici e linguistici che collegano l’uso di queste sostanze all’arma bizantina.

Innanzitutto, gli Abbasidi avevano delle unità di lancio chiamate naffatun, che erano incaricate di lanciare la nafta durante le battaglie. La nafta è una frazione del petrolio greggio e può essere altamente infiammabile, rendendola una sostanza ideale per un’arma incendiaria.

Inoltre, il fuoco greco è anche noto nell’antichità come fuoco mediano. Questo nome deriva dal fatto che i Greci chiamavano il petrolio con il termine “elaion”, mentre i Persiani lo chiamavano “naft”. Questi termini indicano chiaramente che entrambe le culture avevano familiarità con l’uso del petrolio e delle sue proprietà infiammabili. È probabile che i Bizantini abbiano preso in prestito queste conoscenze per sviluppare la loro arma, e che il loro fuoco greco fosse esattamente basato sulla Nafta.

Un ulteriore elemento a supporto di questa teoria è un testo latino del IX secolo, conservato in Germania, presso la città di Wolfenbuttel, che menziona la parola “nafta” proprio in riferimento al fuoco greco. 

Questi indizi convergono verso l’idea che il fuoco greco fosse basato su una combinazione di petrolio e nafta. Il petrolio avrebbe fornito una base liquida facilmente infiammabile, mentre la nafta avrebbe aumentato drasticamente l’efficacia incendiaria della miscela.

L’uso di queste sostanze spiegherebbe anche perché il fuoco greco poteva bruciare sull’acqua, dato che il petrolio e la nafta galleggiano e continuano a bruciare anche a contatto con l’acqua.

La macchina per il lancio del fuoco greco

A prescindere dall’esatto ingrediente del fuoco greco, la macchina che permetteva di lanciare questo liquido infiammabile era una struttura altamente complessa. Essa era installata prevalentemente sulle navi bizantine chiamate dromoni.

I dromoni bizantini erano potenti navi da guerra, progettate per essere veloci e manovrabili. Con una lunghezza che poteva superare i 30 metri, queste navi erano in grado di trasportare numerosi soldati e marinai, rendendole particolarmente efficaci durante le battaglie navali.

Il sistema che produceva e lanciava il fuoco greco era un dispositivo meccanico complesso, composto da vari elementi.

  1. Soffietto: Il soffietto era utilizzato per introdurre l’aria necessaria a mantenere il fuoco vivo nel braciere. Questo strumento funzionava come una pompa, aumentando l’apporto di ossigeno e intensificando così la fiamma.
  2. Braciere: Il braciere era il cuore del sistema, dove la miscela incendiaria veniva riscaldata e mantenuta pronta per l’uso. Il braciere conteneva il fuoco che doveva essere costantemente alimentato e monitorato per garantire che fosse abbastanza caldo da infiammare la miscela al momento del lancio.
  3. Pompa pressurizzata: La pompa era utilizzata per generare la pressione necessaria a spingere la miscela infiammabile attraverso il sistema. Funzionava in modo simile a una moderna pompa idraulica, creando una pressione che forzava la miscela liquida attraverso i tubi verso l’ugello.
  4. Ugello: L’ugello era la parte terminale del sistema da cui il fuoco greco veniva lanciato. Era progettato per controllare il flusso e la direzione del liquido incendiario, garantendo che fosse proiettato con precisione verso il bersaglio. L’ugello poteva essere orientato e manovrato per colpire navi nemiche o truppe avversarie con grande efficacia.

L’intero sistema era altamente sofisticato per l’epoca e richiedeva una notevole competenza tecnica per essere operato correttamente.

I dromoni dotati di questo dispositivo potevano avvicinarsi alle navi nemiche e lanciare il fuoco greco, causando incendi devastanti e creando il panico tra le file avversarie.

I possibili rimedi contro il fuoco greco

Una delle principali caratteristiche del fuoco greco era la sua incredibile capacità di continuare a bruciare anche a contatto con l’acqua. 

Altri popoli, che furono costretti ad affrontare il fuoco greco, svilupparono vari metodi per tentare di estinguerlo. Secondo le testimonianze storiche, i soli rimedi efficaci includevano:

  1. Urina: L’urina invecchiata era considerata un buon mezzo per spegnere il fuoco greco. Dal momento che contiene ammoniaca vi era, forse, una reazione chimica in grado di “calmare” le fiamme.
  2. Sabbia: La sabbia era un altro metodo utilizzato per spegnere il fuoco greco, in grado di soffocare le fiamme semplicemente coprendole e bloccando l’accesso all’ossigeno necessario per la combustione.
  3. Aceto molto forte: L’acidità dell’aceto potrebbe avere avuto un effetto chimico sulle sostanze infiammabili, aiutando a calmare le fiamme, anche se per poco tempo.

Il sifone portatile e le granate di fuoco greco

La tecnologia Bizantina permise tuttavia di impiegare il fuoco Greco non solo sulle navi da guerra, ma anche in contesti diversi, soprattutto durante gli assedi e i combattimenti sul campo.

Il sifone portatile era infatti una versione mobile del dispositivo utilizzato sui dromoni, che permetteva ai soldati bizantini di utilizzare il fuoco greco in battaglie terrestri o difese fortificate. 

Questo strumento era composto da vari elementi che permettevano di spruzzare il liquido infiammabile con precisione e potenza.

Il serbatoio del sifone portatile immagazzinava la miscela infiammabile del fuoco greco ed era progettato per essere resistente e facile da trasportare dai soldati. Una pompa manuale azionata dai soldati creava la pressione necessaria per spingere il liquido fuori dal serbatoio e attraverso il tubo.

La pompa aumentava la forza del getto e permetteva di raggiungere una distanza considerevole.

L’ugello, un tubo flessibile o rigido, era il mezzo attraverso cui veniva spruzzato il fuoco greco. Questo ugello era spesso dotato di un meccanismo di controllo per regolare il flusso del liquido e direzionarlo con precisione.

L’uso del sifone portatile consentiva ai soldati di difendere le mura delle città o le fortificazioni con un’arma micidiale, dirigendo il fuoco greco contro le forze assedianti e creando barriere di fuoco che rendevano difficile l’avanzamento dei nemici.

Le granate riempite di fuoco greco erano un’altra innovazione strategica dei Bizantini, progettate per essere lanciate contro il nemico e provocare incendi all’impatto.

Queste granate funzionavano in modo simile alle bombe incendiarie moderne. Il contenitore delle granate, solitamente fatto di ceramica, vetro o metallo, era riempito con la miscela del fuoco greco.

Doveva essere abbastanza resistente da contenere il liquido infiammabile fino al momento dell’impatto, ma anche abbastanza fragile da rompersi facilmente e rilasciare il contenuto.

Alcune granate potevano avere una miccia o un altro meccanismo di innesco che accendeva il fuoco greco al momento dell’impatto, ma in molti casi la semplice rottura del contenitore era sufficiente per far sì che il liquido entrasse in contatto con l’aria e si incendiasse.

Le granate riempite di fuoco greco potevano essere lanciate manualmente o utilizzate con macchine d’assedio come catapulte e baliste. Quando le granate colpivano il loro bersaglio, si rompevano e rilasciavano il fuoco greco, che si diffondeva rapidamente e causava incendi devastanti.

Queste erano così particolarmente efficaci contro le formazioni di fanteria nemica, le strutture di legno e altre installazioni vulnerabili al fuoco.