Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, sganciate rispettivamente il 6 e il 9 agosto del 1945, sono universalmente considerate come l’ultimo atroce atto della Seconda Guerra Mondiale. Eppure, sembra che gli americani avessero in serbo una possibile terza bomba atomica, nel caso in cui Giappone non si fosse arreso.
Dopo Hiroshima, l’alto comando giapponese si riunì, il 9 agosto, per prendere decisioni fondamentali sull’andamento della guerra: il tema del giorno, in realtà, era concentrato sulla recente dichiarazione di guerra da parte dell’Unione Sovietica e la conseguente invasione della Manciuria.
Fu esattamente in quelle ore che i giapponesi vennero a conoscenza del secondo attacco su Nagasaki. Era la prova che l’ordigno di Hiroshima non era l’unico in possesso degli Stati Uniti, e che il potenziale bellico americano era ben più alto delle previsioni.
Ma nemmeno la “tenaglia” Stati Uniti – Unione Sovietica aveva convinto gli alti comandi giapponesi alla resa incondizionata. L’imperatore giapponese Hirohito e i suoi si misero infatti al lavoro sulla bozza di una resa “condizionata” agli americani, con lo scopo di preservare l’autonomia della nazione.
Nel frattempo, negli USA regnava l’incertezza. L’offerta da parte del Giappone di una resa a metà, arrivata il 10 agosto, venne esaminata con attenzione dal presidente Truman e dal suo gabinetto. Nel frattempo, però, il Gen. Leslie Grooves, responsabile del “Progetto Manhattan” per lo sviluppo delle bombe atomiche, inviò una lettera al Gen. George Marshall, capo del Gabinetto, avvisandolo che una terza bomba nucleare sarebbe stata pronta molto prima del previsto.
Infatti, gli scienziati impegnati a Los Alamos, nel Nuovo Messico, stavano approntando gli ultimi componenti per la terza bomba atomica, che sarebbe stata pronta per lo sgancio in circa una settimana.
Quando il presidente Truman lo venne a sapere, la sua presa di posizione fu chiara: il terzo ordigno atomico sarebbe stato sganciato solo dietro un suo ordine diretto. Vietata l’iniziativa degli alti comandi militari.
Per quale motivo Truman, che aveva definito l’attacco di Hiroshima come “il più grande risultato della storia militare” non approfittò della situazione?
Una possibile interpretazione risiede nella considerazione che un terzo ordigno avrebbe potuto accelerare piuttosto che fermare la guerra, dal momento che i giapponesi, vedendosi sull’orlo della distruzione, avrebbero potuto mobilitare tutte le loro forze.
Altri storici ritengono invece che Truman volesse evitare un ulteriore spargimento di sangue. Nel diario di Henry Wallace, il suo segretario del commercio ed ex vicepresidente, viene indicato a chiare lettere che “Truman ordinò lo stop alla terza bomba atomica in quanto l’idea di uccidere altre 100.000 persone era raccapricciante“.
A questo punto, il destino del conflitto era nelle mani dei giapponesi. La disponibilità di Hirohito alle trattative faceva ben sperare, ma il Presidente americano poteva accettare solamente una resa senza condizioni: tale fu la risposta recapitata dagli USA al Giappone.
Così, dal 10 al 14 agosto, si rimase in ansiosa attesa.
Il giornalismo e gli opinionisti americani ritenevano che l’unico modo di ottenere quanto volevano dai giapponesi fosse l’impiego di un nuovo ordigno atomico. Così andava l’opinione pubblica.
A Los Alamos, gli scienziati stavano intanto apportando gli ultimi ritocchi: in particolare, la nuova arma avrebbe innescato un’implosione composita di plutonio e di uranio arricchito, aumentando drasticamente il numero di morti e di danni.
Nonostante la frenata di Truman, anche i generali dell’Aeronautica USA erano convinti, e pronti, all’utilizzo di un terzo ordigno. Lo conferma un telegramma del 10 agosto del Gen. Spaatz inviato al Gen. Nordstad, dove si raccomandava fortemente per l’impiego di una nuova atomica, sulla città di Tokyo.
L’effetto psicologico di un attacco del genere sul governo giapponese sarebbe stato, nella sua valutazione, molto più importante dei danni inflitti alla popolazione. E per tutta risposta, Spaatz venne a sapere che la sua proposta era tenuta in alta considerazione da diversi suoi colleghi.
La decisione finale sarebbe stata presa solo nelle 48 ore successive.
Il 14 agosto, Spaatz sollecitò nuovamente l’utilizzo della bomba, spiegando che “vi era estrema urgenza di trasferire l’ordigno nei pressi di Tinian per poi procedere contro Tokyo”. Ancora una volta, Truman lo fece aspettare, con la promessa che la decisione finale sarebbe arrivata il giorno successivo.
In quelle drammatiche ore, l’ultimo confronto avvenne tra Truman e l’ambasciatore britannico, che si dimostrò anch’esso preoccupato e sfiduciato: l’imperatore Hirohito e i suoi consiglieri non sembravano disposti ad arrendersi incondizionatamente e forse la bomba atomica lanciata su Tokyo appariva, minuto dopo minuto, l’ipotesi più plausibile.
Qualora Truman avesse dato l’ordine, lo sgancio sarebbe avvenuto nell’arco di 24 ore.
Per fortuna, il 14 agosto 1945, il Giappone, intuendo la disponibilità di ulteriori armi atomiche a disposizione dell’arsenale americano, accettò di stipulare una resa incondizionata.
Ancora oggi si discute sul motivo che portò l’imperatore e i suoi ad accettare le richieste americane, una vera e propria decisione dell’ultimo minuto. Probabilmente, la determinazione di Truman, la dichiarazione di guerra Sovietica e i crescenti dubbi nelle forze interne al Giappone influirono, in diversa misura, sulla decisione che, di fatto, pose fine alla seconda guerra mondiale.
Se la guerra fosse continuata? molto probabilmente, anzi quasi certamente, una terza bomba sarebbe stata utilizzata e il capolinea del conflitto si sarebbe spostato di mesi, forse di anni.
L’unica certezza è che l’impiego di una terza bomba atomica su Tokyo fu un’ipotesi molto più che plausibile, in quelle convulse giornate dell’agosto 1945.