La terza battaglia di Nola rappresentò un’epica contesa tra le forze romane, guidate dal console Marco Claudio Marcello, e le truppe cartaginesi comandate da Annibale. Questo scontro ebbe luogo nel 214 a.C., nel contesto della seconda guerra punica. Nola, una città campana, resistette fedele a Roma nonostante la defezione di Capua e di altri centri italici.
La situazione storica
Dopo la catastrofica sconfitta romana nella battaglia di Canne del 216 a.C., diversi popoli italici decisero di abbandonare l’alleanza con Roma e unirsi a Annibale, il carismatico comandante cartaginese, che aveva attraversato le Alpi con i suoi elefanti e aveva inflitto pesanti perdite all’esercito romano. Capua, una delle città più grandi d’Italia dopo Roma, fu tra le prime a passare dalla parte di Annibale nel 215 a.C.
Tuttavia, non tutti i centri della Campania accettarono di seguirlo. Nola, una città ricca e popolosa, resistette con fermezza al cartaginese e mantenne la sua lealtà verso Roma. Questo perché Nola era governata da una fazione aristocratica che temeva di perdere il potere in caso di cambiamento di alleanza. Inoltre, la città aveva antichi legami di amicizia e ospitalità con Roma.
Annibale tentò invano di conquistare Nola per due volte, nel 216 e nel 215 a.C. In entrambe le occasioni, l’arrivo dell’esercito del pretore Marco Claudio Marcello, un generale esperto e coraggioso, cambiò le sorti del conflitto e costrinse Annibale a ritirarsi. Marcello era conosciuto come “la spada di Roma” per la sua abilità nel combattimento ravvicinato e il suo duello mortale con il re dei Galli Viridomaro nella battaglia di Clastidio nel 222 a.C.
Nel 215 a.C., dopo il fallimento del secondo assedio di Nola, Annibale si vendicò attaccando e saccheggiando la vicina città di Nuceria Alfaterna, che era rimasta fedele a Roma. L’anno successivo, nel 214 a.C., Annibale fece un terzo tentativo di conquistare Nola, ma questa volta si trovò di fronte a una sfida ancora più ardua.
La situazione militare nel 214 a.C.
Nel 214 a.C., i nuovi consoli romani erano Quinto Fabio Massimo Verrucoso e Marco Claudio Marcello. Fabio Massimo era noto come “il Temporeggiatore” perché aveva adottato una strategia difensiva contro Annibale, evitando scontri diretti e limitandosi a controllarne i movimenti e tagliarne le linee di rifornimento. Marcello, al contrario, era più incline all’offensiva e desiderava affrontare personalmente il cartaginese.
I due consoli informarono il Senato sulla situazione bellica e sulle forze militari disponibili. Fu deciso di condurre la guerra con un totale di 18 legioni, con l’arruolamento di sei nuove unità. Quattro legioni furono assegnate a Fabio Massimo per difendere la Campania e il Sannio da Annibale.
Allo stesso tempo, Marcello ebbe il comando di quattro legioni per operare in Sicilia contro i Cartaginesi e i loro alleati siracusani. Le restanti dieci legioni furono distribuite tra vari pretori per fronteggiare minacce provenienti dalla Sardegna, dalla Spagna, dalla Gallia Cisalpina e dall’Illiria.
Nel frattempo, gli abitanti di Capua inviarono ambasciatori ad Annibale per chiedere il suo aiuto, temendo la vendetta di Roma per la loro defezione. Annibale si diresse verso Capua e pose il campo sul Monte Tifata, una collina che dominava la città. Lasciò parte delle sue truppe, composte da Numidi e Ispanici, a difendere gli accampamenti e si portò con il resto dell’esercito al lago d’Averno, un luogo sacro e misterioso tra Cuma e Pozzuoli.
Fabio Massimo, accampato vicino a Suessula, si unì al suo esercito e inviò dispacci ai vari comandanti per informarli sugli spostamenti delle truppe nemiche. Marcello, che era in Sicilia, ricevette l’ordine di tornare in Italia con le sue quattro legioni e di sostituire il pretore Marco Valerio Levino al comando delle operazioni in Campania.
Annibale fu anche implorato dai Tarantini di recarsi nella loro città per liberarla dall’occupazione romana. Taranto, una città greca situata sul mar Ionio, aveva un’enorme importanza strategica e commerciale. Annibale accettò la richiesta dei Tarantini e decise di marciare verso la Puglia.
Tuttavia, prima di partire, volle fare un ultimo tentativo su Nola, sperando di sfruttare la ribellione della plebe locale contro i Romani.
La terza battaglia di Nola
Annibale saccheggiò il territorio di Cuma e poi si diresse verso Puteoli, una città alleata dei Romani con un importante porto sul mar Tirreno. Non riuscendo ad assaltare Puteoli, devastò le terre intorno a Neapolis, la città greca natale del poeta Virgilio.
Fu qui che ricevette notizia della ribellione della plebe di Nola contro i Romani e dell’appello per il suo aiuto. Annibale non esitò e si diresse verso Nola, sperando di conquistarla facilmente.
Marcello, arrivato in Campania con le sue quattro legioni, si accampò a Cales, una città situata tra Capua e Teano. Appena venne a conoscenza dell’avvicinamento di Annibale a Nola, si preparò ad affrontare il nemico senza esitazione. Marcello era convinto di poter sconfiggere il cartaginese in campo aperto e voleva dimostrare il suo valore al Senato e al popolo romano.
Marcello inviò il suo luogotenente Gaio Claudio Nerone con 2.000 soldati scelti e 600 cavalieri per aggirare le truppe cartaginesi e attaccarle alle spalle. Poi uscì dalla città con il resto dell’esercito e si schierò in ordine di battaglia davanti alle porte di Nola.
Non è certo se Nerone sia abbia sbagliato percorso o se sia stato scoperto dai nemici prima di raggiungere la loro retroguardia.
Tuttavia, Marcello attaccò con impeto e riuscì a rompere le linee nemiche. I Romani prevalsero sia nella fanteria che nella cavalleria, ma non poterono inseguire i fuggitivi perché la cavalleria di Nerone non arrivò in tempo. Marcello, vedendo che il nemico stava riformandosi, ordinò una ritirata, sconvolgendo il piano tattico originale.
La battaglia fu sanguinosa e costò la vita a più di 2.000 soldati cartaginesi e circa 400 romani. Nerone tornò negli accampamenti di Marcello al tramonto. Non riuscì a infliggere al nemico una sconfitta decisiva come avvenuto a Canne, e il console Marcello lo riprese severamente per il ritardo.
Il giorno seguente, i Romani si schierarono nuovamente in campo, sfidando Annibale a uscire dalle sue fortificazioni. Tuttavia, Annibale rimase rinchiuso nei suoi accampamenti, consapevole che insistere nel tentativo di conquistare la città gli avrebbe fatto perdere tempo prezioso.
Il terzo giorno, Annibale, senza speranze di conquistare Nola, decise di lasciare il campo e di dirigersi verso Taranto, sperando che la città potesse tradire i Romani.
Le conseguenze e la rinuncia di Annibale
La terza battaglia di Nola segnò l’ultima sfida tra Marcello e Annibale in Campania. Fu anche l’ultima volta che Annibale tentò di conquistare una città alleata dei Romani con la forza. Da quel momento in poi, il comandante cartaginese si concentrò sulle regioni della Puglia e della Lucania, sperando di ottenere l’appoggio dei popoli locali e di Taranto.
Marcello, d’altra parte, continuò le sue azioni belliche in Campania e in Sicilia, dove riuscì a conquistare Siracusa dopo un lungo assedio nel 212 a.C. Per questo successo, fu soprannominato “il conquistatore di Siracusa” e fu considerato uno dei migliori generali romani della seconda guerra punica.
La terza battaglia di Nola fu un episodio di notevole importanza nel conflitto tra Roma e Cartagine. Dimostrò che i Romani erano in grado di affrontare Annibale in campo aperto e di infliggere perdite significative alle sue truppe.
Questo scontro dimostrò anche che Annibale non era invincibile e che aveva dei limiti nella sua strategia militare. Inoltre, evidenziò la lealtà e il coraggio di Nola, meritevole di rispetto e gratitudine da parte dei Romani.