Immaginate la folla vociante del Foro romano, le voci che si rincorrono sotto i portici, i mormorii nei vicoli animati dai venditori di olive e tessuti; ora sostituite quei sussurri con un flusso continuo di messaggi, commenti e immagini virali che attraversano l’Impero a velocità digitale. Se i social fossero esistiti ai tempi di Gaio Giulio Cesare, la storia, la politica e la società romana sarebbero state irrimediabilmente scosse da gossip, scandali e meme di epoca antica, strumenti potentissimi nelle mani di chi voleva alimentare o distruggere reputazioni. Ma come si sarebbe trasformata la narrazione del potere? Quali conseguenze avrebbero avuto strumenti come i nostri attuali social media – Facebook, Instagram, Twitter – all’epoca delle conquiste e dei complotti senatoriali?
Per rispondere, occorre tornare nelle vie polverose della Roma della fine della Repubblica, dove la comunicazione già rappresentava, alla sua maniera, un’arma sottile e letale, ben prima dell’invenzione della stampa o della radio. I “acta diurna”, una sorta di gazzetta manoscritta affissa nel Foro, costituiva il primo tentativo istituzionale di informazione pubblica. Tuttavia, quello che oggi chiamiamo “info-virale” traversava le domus grazie ai poeti satirici, i libelli anonimi distribuiti di soppiatto, e le famose voci di popolo, captate e amplificate da una società attenta ai dettagli salaci quanto ai fatti militari o politici. Le parole chiave che associamo oggi ai social – reputazione, notizia, viralità, crisi d’immagine – erano già ben note ai patrizî e ai tribuni della plebe.
Se immaginiamo Cesare con uno smartphone in mano, la sua capacità di dirigere l’opinione pubblica sarebbe risultata moltiplicata. Invece delle sue celebri lettere e dei Commentarii sulle guerre galliche, Cesare avrebbe forse pubblicato post quotidiani e immagini delle sue vittorie militari, con tag agli stati conquistati: “Oggi abbiamo attraversato il Rubicone. #aleaiactaest.” I suoi avversari, come Marco Tullio Cicerone o Catone l’Uticense, non avrebbero certo perso l’occasione di rilanciare meme politici e reels denigratori, utilizzando ogni errore o voce di scandalo. La satira tagliente dei poeti si sarebbe diffusa in maniera capillare, amplificando le tensioni tra le diverse fazioni: le fazioni degli Optimates contro i populares. Si sarebbero viste stories di banchetti, festini in villa, motti spiritosi su influenti matrone e meme sull’ingresso di Cesare nel Senato con la corona offerta da Marco Antonio.
Le antiche fonti, spesso caustiche e partigiane, ci restituiscono un mondo dove la reputazione era tutto. Come racconterebbe Plutarco, la voce – vera o artefatta – era in grado di distruggere intere carriere politiche: i detti scandalistici sulla presunta relazione fra Cesare e Servilia, madre di Marco Giunio Bruto, rimbalzavano già allora come tweet velenosi. Le ingiurie, le allusioni su possibili tradimenti, omosessualità, o corruzione erano materia all’ordine del giorno, come nel celebre passo dove Cicerone insinua che Cesare fosse “il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti.” Se, invece di sussurri tra i banchi del Senato o nelle corti delle matrone, questa battuta fosse stata rilanciata online, immaginiamo quanti commenti e like avrebbe ottenuto.
Un altro esempio di come i social avrebbero alimentato il gossip politico riguarda le dicerie sulle origini divine di Cesare, rilanciate dagli alleati per alimentare la sua aura di invincibilità, e dai nemici per sottolineare la sua vanità. I sostenitori avrebbero diffuso foto ritoccate del dittatore con l’aureola, i detrattori meme che lo ridicolizzavano (“Un selfie con Venere? #parenteledilusso”). Le fonti antiche ci mostrano una società, quella romana, estremamente sensibile alle voci di scandalo; il tradimento fra amici, come quello avvenuto alle Idi di marzo del 44 a.C., si sarebbe probabilmente diffuso in tempo reale: le stories di Bruto e Cassio taggate da tutto il partito senatorio, con commenti indignati o esultanti. I mezzi di diffusione avrebbero trasformato una congiura in un evento spettacolare, documentato con immagini e video manipolati, hashtag come #idiemarzo e filtri tragici applicati alle immagini del corpo di Cesare.
La natura stessa del potere, in un contesto in cui la reputazione online determina la legittimità, avrebbe costretto Cesare e gli altri protagonisti politici a dotarsi di veri e propri team di social media manager ante litteram. L’elogio funebre avrebbe avuto la stessa struttura di un post virale, la commemorazione pubblica del decesso dell’imperatore o del console sarebbe stata condivisa e commentata in diretta sulla timeline del popolo. Nel De Bello Gallico Cesare giustifica tutte le sue azioni come necessarie, positive, persino inevitabili: immaginiamo ora questi stessi testi riadattati in stories giornaliere, con infografiche delle battaglie, sondaggi tra i cittadini su chi sostenere, guerre a colpi di meme tra sostenitori degli elvezi e degli arverni. Il consenso, che nel mondo romano era simbolicamente affidato ai comizi e alle urne dei comizi centuriati, avrebbe trovato una nuova arena nella piazza virtuale.
I grandi scandali sessuali e politici della Roma antica rappresentano un altro terreno fertile. L’affare Clodia e Catullo, fatto di versi osceni e accuse reciproche, si sarebbe trasformato in un interminabile thread di commenti velenosi e post allusivi, tra emoji, GIF sarcastiche e screenshot di messaggi privati. Le fonti antiche riportano che Clodia Pulcra – identificata come Lesbia nei versi di Catullo – veniva costantemente bersagliata dai rumors per la sua vita privata, tanto quanto per le sue scelte politiche. Nei social di allora, un suo selfie avrebbe provocato una valanga di commenti tra moralisti e difensori della libertà femminile. Episodi come quello della “congiura di Catilina” sarebbero esplosi online, con leak dei piani sovversivi, ricostruzioni animate dei tentativi di assassinare i consoli, meme sui volti dei congiurati, e trending topic quotidiani su #CatilinaGate.
La storia di Cesare e della sua ascesa non è solo un susseguirsi di campagne militari, ma anche una battaglia per il controllo dell’immagine pubblica. Le fonti narrano che il generale era attentissimo alla propria apparenza, scegliendo con cura ogni parola, gesto e abito; nei social, ogni sua foto sarebbe stata filtrata, ogni suo tweet studiato da un gruppo di esperti retorici. La battaglia delle armi avrebbe sempre trovato una speculare battaglia delle opinioni, con hashtag come #PontedellaGerusalemme o #Rubicongiàfatto trending dopo ciascuna mossa chiave della sua carriera. E l’interazione tra gli utenti avrebbe potuto persino influenzare la cronaca degli eventi: le campagne militari misurate non più soltanto dai chilometri conquistati, quanto dai milioni di visualizzazioni dei video delle truppe in marcia o degli inni al dittatore pronunciati dagli oratori della causa cesariana.
I processi pubblici – come quello contro Clodio o quelli seguiti alle congiure – avrebbero trasformato i tribunali in un’arena a cielo aperto, con dirette streaming e commenti istantanei sotto le deposizioni. Gli avvocati famosi, come Cicerone stesso, avrebbero avuto profili seguitissimi, con i loro discorsi pubblicati e rielaborati in brevi video virali, taggati da seguaci e detrattori. Lo stesso Cicerone, celebre per la sua retorica e la capacità di “dirigere il popolo con la parola”, sarebbe stato re indiscusso delle dirette su Twitch o su X, costruendosi un’immagine personale in grado di influenzare i processi decisionali delle masse come nessun tribuno prima di lui.
Un altro ambito esplosivo sarebbe stato quello delle notizie false e della manipolazione: le “fake news” non sono un’invenzione moderna. Numerose fonti sottolineano come la disinformazione fosse già largamente diffusa nell’antichità, alimentata ad esempio per danneggiare i generali avversari o per distruggere la reputazione di rivali politici. I social di allora sarebbero stati terreno fertile per la creazione e la diffusione di versioni di comodo sugli eventi più sensazionali: la morte di Cesare sarebbe stata architettata sui social come atto sacro per la salvezza della repubblica o, all’opposto, demonizzata come tradimento di amici e parenti, a seconda di chi scriveva e condivideva. Gli utenti sarebbero diventati partecipi attivi nel forgiare la memoria collettiva, riempiendo le timeline di ricostruzioni alternative degli eventi più discussi.
Non bisogna però dimenticare che la cultura orale e scritta dei Romani era già per sua natura stratificata e potentemente ambigua; la capacità di leggere tra le righe – interpretare allusioni, cogliere ironie – era un requisito naturale per chi aspirava al potere o voleva semplicemente sopravvivere. Su un ipotetico social del I secolo a.C., le battute sarcastiche, i doppi sensi e i giochi di parole avrebbero attraversato la Rete con la stessa rapidità delle notizie ufficiali, impedendo a chiunque di controllare realmente la narrazione dominante. E così, ogni nuova conquista, ogni celebrazione pubblica, ogni scandalo privato avrebbero trovato una risonanza imprevedibile, sfuggente, più potente di qualsiasi decreto del Senato o arringa di tribunale.
Concludendo questa immaginaria immersione nel passato, è possibile affermare che i social media sarebbero stati un moltiplicatore delle dinamiche già connaturate nella società romana: amore per il pettegolezzo, attenzione maniacale all’onore pubblico e privato, ossessione per la propria immagine. La differenza sostanziale sarebbe stata la velocità con cui ogni notizia, ogni voce, ogni meme sarebbero diventati patrimonio di tutti, con conseguenze potenzialmente esplosive per chiunque, dal generale vittorioso al semplice cittadino. Forse, alla fine, la vera lezione che i grandi di Roma avrebbero imparato dai nostri social sarebbe semplice ma rivoluzionaria: il potere dell’opinione pubblica non si domina mai davvero, neppure con la spada o l’oro. Resta solo, nell’immaginazione, l’immagine eterna di Cesare che, prima di varcare la fatidica soglia del Rubicone, controlla ancora una volta le notifiche: “Stai attento, ditano le notifiche, le Idi sono vicine…”
Fonti storiche primarie:
- “De Bello Gallico”, Gaio Giulio Cesare (tr. ufficiale inglese, Loeb Classical Library)
- “Vite Parallele: Cesare”, Plutarco (tr. inglese, Loeb Classical Library)
- “De Officiis”, Marco Tullio Cicerone (tr. inglese, Loeb)
- “Carmina”, Gaio Valerio Catullo (tr. inglese, Loeb Classical Library)
- “Ad Atticum”, Marco Tullio Cicerone (tr. inglese, Loeb)
- “Ab urbe condita”, Tito Livio (tr. inglese, Loeb Classical Library)
- “Historiae”, Svetonio (tr. inglese, Loeb Classical Library)