I Saturnalia, il Natale dell’antica Roma: origine e storia

Di Leonardo Conti

Una delle feste più sentite dei romani si svolgeva, e non è un caso, nello stesso periodo di una delle principali ricorrenze cristiane. I Saturnalia, giorni di sfrenati banchetti e libagioni, di spettacoli e cortei festosi, ricordavano ai nostri antichi antenati una magnifica era ormai perduta per sempre.

Anni remoti in cui c’era solo pace, giorni immersi nell’eterna primavera: l’età dell’oro in cui regnava Saturno, primo mitico re del mondo intero.

L’origine dei Saturnalia: l’età dell’oro

“…redeunt Saturnia regna”.

Così Virgilio al sesto verso nella quarta Bucolica, ci parlava di un’epoca che stava per tornare, i mitici regni di Saturno. Parole che richiamavano alla memoria dei contemporanei una fantomatica età in cui tutto era bello, il cibo abbondante, la sofferenza assente.

Il mito dell’età dell’oro non era nuovo: già Esiodo, nelle Opere e i giorni (VIII secolo a. C.) parlava di uomini che “come dèi passavano la vita con l’animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; né la misera vecchiaia incombeva su loro” (vv. 109 sgg.). Un passato lontanissimo, remoto, in cui i nostri progenitori si muovevano nel mondo nella pace e nell’armonia; l’abbondanza di cibo per tutti rendevano inutile la guerra, il furto e ogni legge punitiva. L’eterna primavera consentiva di vagare senza trovare riparo dalle intemperie. Ricorda molto da vicino il biblico giardino dell’Eden.

Non sappiamo se i romani avessero un mito originario preesistente o riprendessero il mito greco. In entrambi i casi è certo che aggiunsero elementi originari.

Nell’età dell’oro descritta da Esiodo, Crono era la principale divinità, dunque distaccata dalla realtà terrena, e fu ucciso dal figlio Zeus.

Invece nell’antica Roma, il dio Saturno, in fuga dall’Olimpo per l’usurpazione del figlio Giove, si era stabilito nel Lazio, proprio nella zona del Campidoglio, dove aveva insegnato agli abitanti locali, evidentemente non civilizzati, l’agricoltura e la pastorizia.

Ancora una volta è Virgilio nell’ottavo libro dell’Eneide a darci i particolari:

Per primo venne, dal celeste Olimpo

esule e fuggitivo, il dio Saturno,

detronizzato da suo figlio Giove.

Egli riunì quel popolo selvaggio

sparso per gli alti monti, diede leggi

[…]

Sotto quel re vi fu la celebrata

età dell’oro, che in tranquilla pace

mantenne tutti i popoli; finché

quel tempo si guastò, perse colore,

e a poco a poco afferrarono i cuori

smania di guerra e voglia di possesso.”

(Aen. VIII vv. 319 sgg. Trad. di M. Scaffidi Abbate, ed. Newton & Compton)

Anche nelle Georgiche si celebra (2,173 e 538) il mito di un’età mitica piena di frutti e fiori.

Ma sono giorni perduti; l’età in cui Saturno regnava sulla terra si interrompe: il dio viene rapito dal cielo e la pace e l’armonia assoluta vengono interrotte dalla guerra.

Le armi, come ci dice Tibullo nei primi versi della decima elegia, furono convertite da strumenti di caccia e difesa contro le belve feroci a strumenti di guerra.

La memoria di questo mitico periodo in cui il buon Saturno passeggiava tranquillamente nel Lazio, dispensando insegnamenti e cibo in abbondanza, tuttavia, non si era spenta.

Un’epoca giocosa e spensierata che i romani rievocavano, ogni anno, all’inizio della stagione più difficile e più dura: l’inverno.

I Saturnalia: i giorni di festa

Erano una delle principali feste del mondo romano. Tito Livio (Ab Urbe Condita, 2,21,2) ci testimonia che furono istituite nel 497 a. C., con la fondazione del tempio di Saturno nel Foro Romano, ma con ogni probabilità si trattava di una festa di origine agreste ben più antica. Varrone ipotizza che fosse stata una festa di origine italica, portata a Roma dagli pelasgi, un popolo talmente antico da essere al limite del leggendario, altri la facevano risalire addirittura ad Ercole, quando venne in Italia durante le sue fatiche.

Nel 212 a. C. furono regolamentati e fissati al solo 17 dicembre, ma progressivamente furono aggiunti altri giorni per rendere la festa più grandiosa e sfarzosa: Cesare ne aggiunse due, Caligola altri tre, fino a Domiziano che portò la durata a sette giorni, dal 17 al 23 dicembre. Un’intera settimana di festeggiamenti.

Lo svolgimento dei Saturnalia

Il periodo dell’anno in cui si svolgevano non stupisce più di tanto. Anzitutto il mese di dicembre era un mese di pausa, sia da lavori agricoli che dalla guerra. Inoltre erano i giorni precedenti la cosiddetta nascita del sole, il giorno in cui il ciclo annuale della nostra stella ricominciava da capo.

Grandi addobbi venivano posti in tutte le parti delle città. Era un periodo in cui era “obbligatorio” far festa, era permesso il gioco d’azzardo, non si lavorava né si andava a scuola e non si poteva né portare il lutto né celebrare funerali. Anche gli accampamenti militari erano addobbati a festa: nel cosiddetto “Saturnalicium castrense” i soldati semplici sedevano alla stessa mensa degli ufficiali, mangiando lo stesso cibo e brindando con loro ad un nuovo anno di successi militari.

Il 17 dicembre un insolito banchetto veniva allestito nel centro di Roma: il “lectisternium”, il sacro convivio in cui le statue dei 12 principali dèi romani venivano poste su dei letti come quelli usati per i banchetti romani e si offriva loro del cibo simbolico, assieme a suppliche e preghiere. Subito dopo una grande processione si snodava fino al tempio di Saturno, dove il sacerdote sacrificava una scrofa.

A quel punto cominciava la vera e propria festa.

Banchetti venivano tenuti in ogni casa romana, con brindisi in onore degli dèi.

Il tradizionale augurio che ci si faceva era “Ego Saturnalia!”, abbreviazione di “ego tibi optima Saturnalia auspico” (Ti auguro di trascorrere lieti Saturnali).

A tali convivi era usanza scambiarsi piccoli doni (solitamente piccole statue di argilla o cera o rametti di alberi intrecciati), detti strennae, accompagnati da bigliettini con piccole poesie beneaugurali.

La parola strenna secondo alcuni deriva dall’antico sabino, e significa appunto “regalo di buon augurio”; mentre Varrone lo fa derivare dalla dea Strenia, cui era dedicato un bosco sacro da cui si usava prendere ramoscelli per buon auspicio.

Dei componimenti che venivano scritti per l’occasione resta traccia negli “Xenia” e “Apophoreta”, del poeta del I secolo d. C. Marco Valerio Marziale: più di trecento piccole elegie, alcune composte da soli due versi, che probabilmente l’autore scriveva su commissione delle più ricche famiglie romane.

Dello sfarzo di questi banchetti possiamo farci un’idea nei Saturnali di Macrobio, uno scrittore attivo nel V° secolo d. C, ambientati proprio in questo periodo dell’anno, come si può dedurre dal titolo. Nonostante l’epoca tarda e con una cristianizzazione del mondo romano già ben avviata, possiamo capire il tenore, seppur idealizzato in un’opera letteraria, dei banchetti nell’alta società dell’epoca, con discussioni dotte su vari argomenti quali la religione, la letteratura (il testo riporta numerosi frammenti di opere latine altrimenti totalmente perdute) o anche argomenti più frivoli (celebre il detto “è nato prima l’uovo o la gallina?”, Ovumne prius fuerit an gallina?).

La caratteristica più originale dei Saturnalia, era tuttavia l’aspetto carnevalesco e di sovvertimento delle classi sociali.

Contrariamente al resto dell’anno, agli schiavi era consentito partecipare ai pranzi solenni con i loro padroni. Non solo: in questi giorni potevano prendersi tutte quelle libertà altrimenti negate, quindi bere fino all’ubriacatura, non lavorare, andare in giro per la città liberamente. Le loro vesti non erano misere come negli altri giorni, ma da gran signori. La legge era dettata dal princeps saturnalicius, una persona eletta per burla e dotata, perlomeno sulla carta, di pieni poteri.

La città era percorsa da cortei festosi e grandi fiere e mercati richiamavano gente da ogni dove. Agli angoli delle strade si vendevano souvenir e cibi da strada. Danzatori e saltimbanchi si esibivano in ogni dove, mentre nelle arene i gladiatori davano il loro cruento spettacolo, omaggiati da una folla festante ed esaltata.

In mezzo a questa follia vi era anche spazio per il sacro, infatti si offrivano piccole statue al dio Saturno come buon auspicio di salute e prosperità.

Infine, al tramonto del 23 dicembre, tutto cessava, le città tornavano alla vita di sempre, gli schiavi alle loro fatiche, quasi come se niente fosse stato.

Una festa, quella dei Saturnalia, che ricorda da vicino, sia per il periodo dell’anno sia per l’usanza dello scambio di doni, il nostro Natale. Ma il sovvertimento dell’ordine e la burla, può esser visto anche come un antesignano del Carnevale.

Indubbiamente per un antico romano, libero o schiavo che fosse, era uno dei periodi più belli dell’anno, che si svolgevano quando l’inverno cominciava a farsi sentire, dove potevano smettere di pensare alle proprie preoccupazioni ed incombenze della vita quotidiana e magari ritrovarsi con amici e parenti allo stesso tavolo.

Sette giorni di pacchia, insomma.