La rivolta di Nika è un episodio di violenza avvenuto nel 532 d.C, nella città di Costantinopoli.
Gli ultrà dell’ippodromo della squadra degli azzurri e dei verdi si erano ribellati al potere dell’imperatore Giustiniano I, ed erano dilagati in città, assaltando anche la basilica di Santa Sofia.
Giustiniano, completamente incapace di calmare la rivolta, era pronto a fuggire, ma sua moglie Teodora lo convinse a rimanere e con un trucco, assieme ai generali Narsete e Belisario, 35.000 tifosi vennero brutalmente massacrati, ponendo fine alla rivolta.
Le motivazioni della rivolta di Nika
All’alba del VI secolo dopo Cristo, Costantinopoli era la città più importante dell’intero mondo tardo antico, considerata l’erede di Roma.
Nella città le corse dei cavalli che si tenevano nell’ippodromo erano uno degli eventi sportivi più seguiti, ma in realtà la tifoseria rifletteva anche delle inclinazioni politiche.
Vi erano due squadre importanti: quella degli Azzurri e quella dei Verdi.
Gli Azzurri rappresentavano la fazione popolare della cittadinanza e appoggiavano l’imperatore in carica, Giustiniano I. Questi inoltre seguivano la dottrina religiosa del “diofisismo“, secondo la quale all’interno di Gesù Cristo convivevano serenamente sia la natura divina che quella umana.
Gli ultrà azzurri erano dei veri e propri delinquenti. Si distinguevano anche nell’abbigliamento perché portavano i capelli con un codino sulla cima, secondo la tradizione Unna, avevano baffi e barba secondo la moda persiana e giravano con grossi mantelli all’interno dei quali nascondevano pugnali e armi da taglio.
Questi si dedicavano a furti, rapine e stupri in tutta Costantinopoli. Molto spesso Giustiniano gli garantiva una sorta di impunità, dal momento che appoggiavano il suo governo.
Dall’altra parte, la fazione dei Verdi rappresentava gli aristocratici di Costantinopoli. Gli appartenti a questa tifoseria seguivano la dottrina religiosa del “monofisismo“, secondo la quale la natura umana di Cristo era stata assorbita da quella divina. Questi appoggiavano il deposto imperatore Anastasio I e i suoi nipoti. Anche loro erano dediti a delitti politici e a vendette personali.
Molto spesso Azzurri e Verdi si combattevano per le strade di Costantinopoli in una situazione di continuo pericolo e di impunità da parte dell’autorità centrale.
Nel frattempo, l’imperatore Giustiniano si era preso l’incarico di eseguire delle riforme legali importanti, ma la maggior parte dei suoi provvedimenti, soprattutto la riforma della Pubblica Amministrazione, risultava molto lenta ed inefficace. La sua era una gestione statale pessima e la strumentalizzazione degli Azzurri e dei Verdi non faceva che peggiorare la situazione.
Lo scoppio della rivolta di Nika
Lo scoppio della rivolta di Nika avvenne quando uno dei Prefetti di Giustiniano, Eudemone, fece arrestare sette ultras che si erano macchiati di omicidio, con lo scopo di dare loro una punizione esemplare.
L’11 gennaio del 532 d.C, nel sobborgo di Sika, gli ultras vennero impiccati pubblicamente. Alcuni di loro, però, riuscirono a fuggire in quanto il patibolo di legno si era rotto e si rifugiarono nella chiesa cristiana del quartiere di San Lorenzo, tallonati dai soldati di Giustiniano.
I capi degli ultras degli Azzurri e dei Verdi supplicarono Eudemone e quindi Giustiniano di salvare la vita ai sopravvissuti. Giustiniano, tuttavia, era impegnato in trattative diplomatiche con i Persiani e non dedicò abbastanza attenzione al caso, rifiutando le richieste degli ultras.
La tensione stava crescendo e il 13 gennaio del 532 l’imperatore Giustiniano e sua moglie Teodora passarono dal palazzo imperiale, immediatamente collegato con l’ippodromo, e si presentarono in tribuna di fronte alla popolazione.
Gli ultras cominciarono ad insultarli urlando “Nika! Nika!”, che significa “Vinci!”. Si trattava della classica esortazione nei confronti della propria squadra che, in quella situazione, incitò la folla ad un tumulto contro l’imperatore.
La violenza si diffuse nelle strade di tutta Costantinopoli, l’ippodromo fu invaso così come le vie circostanti e le prigioni della città. Anche la basilica di Santa Sofia, sede del Patriarca di Costantinopoli, fu invasa e danneggiata dai rivoltosi.
Il collasso della situazione
Nel bel mezzo della rivolta, Giustiniano iniziò ad ascoltare le richieste dei rivoltosi. Questi chiedevano le dimissioni di Giovanni di Cappadocia, prefetto del Pretorio e stretto collaboratore di Giustiniano, le dimissioni di Triboniano, un giurista ed alto funzionario accusato di farsi pagare il pizzo per dare giustizia ai cittadini, e del prefetto Eudemone che aveva arrestato e fatto impiccare i primi capi ultrà.
Credendo che questa mossa avrebbe calmato la popolazione, Giustiniano accettò le richieste e rimosse i tre personaggi dal loro incarico. Questo peggiorò solamente la situazione in quanto i rivoltosi capirono che vi erano sufficienti possibilità di prendere il potere.
La domenica del 18 gennaio, Giustiniano si presentò sulla tribuna dell’ippodromo con i vangeli in mano, cercando di calmare la folla, dicendo che tutto quanto era successo esclusivamente per colpa sua e che con l’aiuto di Cristo avrebbe potuto riportare la pace.
Ma i rivoltosi erano ormai fuori controllo e si recarono presso la casa di Ipazio, il nipote dell’imperatore Anastasio, proclamandolo nuovo imperatore al posto di Giustiniano. La violenza era ormai dilagata ovunque a Costantinopoli e Giustiniano fece caricare il tesoro reale sulle navi, pronto a salpare e scappare.
L’intervento di Teodora
Ed è in questo momento che entra nella storia la figura di sua moglie Teodora.
Donna di umilissime origini, era figlia di Acacio, custode dei cavalli per la squadra dei Verdi. La sua famiglia era andata in rovina ma aveva conosciuto il giovane Giustiniano e la loro era diventata una coppia molto unita.
Giustiniano aveva addirittura convinto il vecchio ex Imperatore a modificare la legge per permettere ad un uomo del suo lignaggio di sposare una donna di bassa estrazione.
Teodora pronunciò uno storico discorso nel quale si dichiarò disposta a morire come una regina nella sua città e che se non sarebbe scappata: la sua presa di posizione fece vergognare Giustiniano e i soldati della guardia reale.
Così, dopo aver rinunciato alla fuga, Giustiniano ed Teodora cambiarono strategia ed incaricarono il capo della guardia imperiale, Narsete, di cercare di calmare gli ultras della squadra degli Azzurri.
Solo, disarmato e con una borsa piena di oro, Narsete scese dal palazzo reale nell’ippodromo e si avvicinò agli azzurri, cercando di convincerli ad accettare il denaro, dicendo che Giustiniano li aveva sempre protetti e che era disposto a perdonarli se si fossero immediatamente tranquillizzati.
Ottenuta la collaborazione degli Azzurri, Narsete fece in modo che tutti gli ultras fossero nuovamente convogliati all’interno dell’ippodromo.
Proprio in quel momento, mentre Narsete resisteva nel palazzo reale con poche unità, era di ritorno dalla Persia il generale Belisario con il grosso dell’esercito.
Narsete e Belisario cinsero d’assedio l’ippodromo, irrompendo dalle quattro porte di entrata e circondando rapidamente gli ultrà, che furono colti completamente di sorpresa.
Fu una vera e propria strage di tifosi: 35.000 vittime vennero brutalmente uccise nel corso di ore di massacro.
Nella sanguinosa repressione trovò la morte anche Ipazio, che era stato eletto come nuovo imperatore dai rivoltosi. Dopo il contenimento della ribellione, Teodora si preoccupò personalmente del riassetto delle strade della città e della riparazione di Santa Sofia, che era stata gravemente danneggiata.
La strage di Nika rappresenta la più importante crisi politica di Costantinopoli nell’era dell’imperatore Giustiniano.