Marco Tullio Cicerone è stato uno dei più grandi uomini romani. Statista, avvocato, studioso, scrittore e politico tra i più influenti del suo periodo, tentò invano di sostenere i principi della Repubblica Romana durante la fase finale delle guerre civili.
La sua più grande eredità non è solamente il grandissimo impegno politico che ha profuso nel corso della sua vita, ma soprattutto i suoi scritti. che includono libri di retorica, orazioni, trattati filosofici e lettere, che sono fonte preziosissima per capire al meglio il suo periodo storico.
Nonostante a livello puramente politico abbia “perso la partita”, di fronte a personaggi più spregiudicati come Gneo Pompeo e Giulio Cesare, Cicerone rimane uno dei più grandi romani, che ha lasciato una profonda impronta nell’ultimo periodo della Repubblica.
I primi anni, il consolato e la congiura di Catilina
Cicerone nacque ad Arpino, una piccola città in provincia dell’odierna Frosinone. La sua famiglia riuscì a fargli ottenere una vasta e ricca educazione sia a Roma che in Grecia.
Prestò servizio militare nell’89 a.C, sotto Pompeo Strabone, il padre di Pompeo Magno, e da subito si dedicò all’arte oratoria e alla professione di avvocato.
La sua prima apparizione pubblica nei tribunali avvenne nell’ 81 a.C, quando difese Publio Quinzio. Dopo i primi successi, ottenne altri incarichi prestigiosi difendendo Sesto Roscio, vincendo sistematicamente le cause ed iniziando la sua carriera pubblica come questore nella Sicilia occidentale nel 75 a.C.
In qualità di pretore, nel 66 a.C, tenne il suo primo importante discorso politico attaccando Quinto Lutazio Catulo e i principali ottimati: il suo obiettivo era conferire a Pompeo, di cui aveva capito le potenzialità, il comando della campagna militare contro Mitridate VI, Re del Ponto, una zona che corrisponde all’Anatolia nord-orientale.
Rapidamente Cicerone entrò in simbiosi con Pompeo, con il quale condivideva l’odio per un altro politico: Marco Licinio Crasso, uno dei più ricchi romani.
Dal momento che un altro personaggio politico, Catilina, stava tentando di ottenere il potere con metodi poco legali, nel 63 a.C il Senato spinse per la sua elezione a console, a garanzia del funzionamento della Repubblica.
Appena nominato console, si oppose alla legge agraria di Servilio Rullo, una mossa che era a favore dell’assente Pompeo, impegnato nelle campagne militari in Oriente.
Ma la sua preoccupazione principale fu quella di scoprire e rendere pubbliche le macchinazioni di Catilina che, dopo essersi candidato alle elezioni consolari del 63 a.C, iniziò a compiere insurrezioni armate in Italia e incendi dolosi a Roma per prendere il potere con la forza.
Cicerone si impegnò a fondo per persuadere il Senato del pericolo: finalmente, il 22 ottobre del 63 a.C riuscì a far proclamare contro Catilina il “Senatus Consultum Ultimum”, un provvedimento gravissimo che dichiarava Catilina nemico del Popolo Romano.
L’8 novembre, dopo essere scampato ad un attentato alla sua vita organizzato dai partigiani di Catilina, tenne un celebre discorso contro di lui in Senato. Fu in questa occasione che Cicerone pronunciò delle parole passate la storia: “Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?”.
Catilina, dopo aver tentato una difesa, lasciò Roma quella stessa notte. Di lì a poco, Catilina verrà affrontato dagli eserciti consolari nella battaglia di Pistoia, dove perse la vita.
Dopo aver raccolto prove a carico dei congiurati, si aprì un dibattito senatoriale per condannare a morte quanti erano stati ritenuti responsabili.
Sebbene l’emergente Giulio Cesare si fosse opposto alla condanna a morte senza processo, la spinta di Cicerone e di un altro aristocratico emergente, Catone, portò i congiurati ad essere giustiziati sotto la responsabilità di Cicerone.
Cicerone impedì infatti ai congiurati di appellarsi al popolo, violando apertamente un diritto dei cittadini romani, e annunciò semplicemente alla folla la loro morte con la parola “Vixerunt”, “Sono morti” , ricevendo immediatamente una grande ovazione.
Fu in quella occasione che fu considerato e chiamato per la prima volta “Padre della Patria”, per la sua straordinaria opera di difesa delle istituzioni repubblicane.
Cicerone e il primo triumvirato
Il clima politico si fece rapidamente più complesso e pericoloso. I tre uomini più potenti di quel periodo, Cesare, Crasso e Pompeo, ordirono, superando alcune inimicizie tra di loro, un’alleanza politica segreta, nota come il primo Triumvirato.
Cicerone considerò quell’accordo incostituzionale e pericoloso, definendolo “mostro a tre teste”, e rifiutò categoricamente l’invito di Cesare di unirsi a loro.
Rimasto fuori dalla trama dei tre, Cicerone capì di essere in pericolo e a marzo, deluso dal rifiuto di Pompeo di aiutarlo, fuggì da Roma.
Dopo qualche giorno Cicerone subì le conseguenze della sua scelta: Publio Clodio, personaggio vicino a Cesare, propose un disegno di legge che vietava l’esecuzione di un cittadino romano senza processo. Cicerone era la prima vittima del provvedimento, in quanto colpevole di non aver concesso il processo ai catilinari.
Fu così costretto all’esilio, prima a Tessalonica, in Macedonia , e poi nella zona dell’Illirico, odierna Croazia.
La carriera politica di Cicerone ebbe quindi un momentaneo arresto fino a quando, nel 57 a.C, grazie all’intercessione di Pompeo, che si sentiva colpevole di averlo abbandonato, e del tribuno Tito Annio Milone, fu richiamato, precisamente il 4 agosto, a Roma.
Cicerone sbarcò a Brindisi e fu acclamato lungo tutto il suo percorso verso la Capitale, dove arrivò un mese dopo.
Nell’inverno del 57 a.C Cicerone tentò di allontanare Pompeo dalla sua alleanza con Cesare. Pompeo decise però di ignorare il consiglio di Cicerone e rinnovò il suo patto con Cesare e Crasso a Lucca nell’aprile del 56 a.C.
Cicerone, rendendosi conto della potenza di quei tre uomini, cedette momentaneamente dai suoi ideali e accettò di schierarsi con Il triumvirato. In un discorso pronunciato in Senato, il “De provinciis consularibus“, Cicerone fece capire che, pur non facendo parte del Triumvirato e rimanendo scettico sulla questione, avrebbe comunque smesso di ostacolare l’operato di Cesare, Crasso e Pompeo.
Per questo motivo, una parte dell’aristocrazia gli voltò le spalle, e fu costretto ad abbandonare la vita pubblica.
Negli anni successivi si dedicò alla redazione di diversi testi di natura politica e retorica: il De oratore, il De Re Publica e il De legibus.
Nel 52 a.C si convinse a lasciare Roma per governare la Provincia di Cilicia, nell’Anatolia meridionale, per un anno.
Si credeva che la provincia sarebbe stata presto invasa dalla popolazione orientale dei Parti: il pericolo non si concretizzò mai, ma Cicerone si impegnò per sopprimere le incursioni dei briganti, che mettevano a rischio la sicurezza del territorio.
Dopo il suo lavoro, Cicerone si aspettava che il Senato gli avrebbe concesso il trionfo, una parata militare in onore dei più grandi generali romani, ma i senatori si limitarono ad un ringraziamento pubblico.
Cicerone durante la guerra civile
Quando Cicerone tornò a Roma, Pompeo e Cesare avevano ormai rotto la loro alleanza e stavano lottando l’uno contro l’altro per assumere il potere. Cicerone si trovava alla periferia di Roma quando Cesare, violando i trattati e giocandosi il tutto per tutto, attraversò il fiume Rubicone e invase Italia, dando inizio alla guerra civile contro Pompeo.
Mentre Cesare conquistava una città dopo l’altra, Cicerone incontrò Pompeo fuori Roma, il 17 gennaio, e accettò un incarico per conto suo, supervisionando il reclutamento di nuovi soldati in Campania.
Nonostante Pompeo avesse deciso di lasciare l’Italia per raggiungere i Balcani ed organizzare l’esercito contro Cesare, Cicerone decise di rimanere a Roma.
Cicerone rimase solo contro Cesare, ormai padrone dell’Italia. Il 28 marzo dello stesso anno, Cesare lo raggiunse nella sua villa e lo pregò di collaborare con lui.
Cicerone spiegò senza mezzi termini che Cesare doveva terminare immediatamente la guerra, e sciogliere il suo esercito come dimostrazione di fedeltà al Senato. Erano condizioni che Cesare non poteva assolutamente accettare. Contrariato e sibilando minacce, Cesare lasciò la villa di Cicerone.
Fu quello il momento in cui Cicerone, forse, diede la più alta prova di coraggio della sua esistenza.
Gli ultimi mesi di Cicerone: stritolato dal secondo Triumvirato
Vinta la guerra civile contro Pompeo, Cesare divenne l’unico signore di Roma: Cicerone rimase volutamente in disparte e anche lo stesso Cesare scelse di non operare ritorsioni contro di lui.
Cicerone fu testimone, tuttavia, del crescente odio nei confronti di Cesare, che aveva accumulato su di sé troppo potere. Cesare morì sotto i pugnali dei congiurati nelle famosi idi di marzo del 44 a.C
Cicerone non fu coinvolto nella congiura e non era presente in Senato quando fu assassinato.
Il 17 marzo, a pochissimi giorni dalla morte di Cesare, parlò in Senato a favore di un’amnistia generale, ma poi preferì tornare alla scrittura di trattati filosofici e aiutare suo figlio, che studiava retorica ad Atene.
Cicerone non riusciva però a rimanere lontano dalla politica di Roma: osservando la situazione, si rese conto della rapida ascesa di Ottaviano, il nipote e ora figlio adottivo di Cesare. In un primo momento Cicerone aveva sottovalutato quel ragazzo, ma ben presto capì le potenzialità di questo nuovo protagonista.
Così, scelse di appoggiare Ottaviano e di schierarsi pesantemente contro Marco Antonio, l’ex braccio destro di Cesare, che stava gestendo il potere in maniera assolutamente personale.
Alcune sue celebri orazioni contro Marco Antonio, note come Filippiche, vennero pronunciate in Senato con straordinaria durezza e rappresentarono una presa di posizione netta ed irrevocabile.
Ma questa scelta gli si ritorse contro.
Sebbene Marco Antonio e Ottaviano fossero nemici, furono ad un certo punto costretti a intavolare una pace di comodo per sconfiggere Bruto e Cassio, i cesaricidi, che si stavano organizzando con un esercito in Oriente.
Ebbene, la condizione fondamentale da parte di Marco Antonio per collaborare con Ottaviano era l’eliminazione fisica di Cicerone: secondo le fonti, Ottaviano cercò per tre giorni di salvare la vita a Cicerone, ma tutti i suoi sforzi si rivelarono inutili e alla fine, per convenienza politica, fu costretto ad acconsentire alla sua esecuzione.
Cicerone fu catturato e ucciso dai partigiani di Marco Antonio a Caietae, il 7 dicembre del 43 a.C. La sua testa e le sue mani furono esposte sui rostri, la tribuna degli oratori nel foro di Roma.
Cicerone, sebbene sconfitto e ucciso per un errore di calcolo politico, rappresenta uno degli ultimi grandi repubblicani romani.
In ultima analisi, Cicerone riuscì a ritagliarsi una posizione tutta sua: la sua famiglia non apparteneva esattamente alla fazione degli ottimati, ma fu comunque sempre verso la parte degli aristocratici.
Strinse accordi con le più grandi personalità politiche del suo tempo, fu il punto di riferimento assoluto per alcuni anni del periodo tardo repubblicano e fu in grado di opporsi a Cesare nel suo momento di massimo potere militare.
La principale eredità di Cicerone sono certamente i suoi scritti politici e retorici, che ci danno un affresco straordinario del periodo della tarda Repubblica e costituiscono una fonte irrinunciabile, su cui si basa gran parte della nostra conoscenza di quel periodo.