La legione romana in Cina è una interessante teoria avanzata nel 1955 dallo storico Homer Dubs: alcuni legionari romani sopravvissuti alla sconfitta di Carre, avrebbero fondato una città nel profondo della Cina, e alcuni abitanti di oggi, dai tratti misti occidentali, sarebbero i loro discendenti.
La missione di Crasso
La storia inizia nella tarda repubblica romana e dal personaggio di Marco Licinio Crasso.
Si tratta dell’uomo di gran lunga più ricco di Roma, ma anche di uno dei più potenti, grazie all’accordo privato con Pompeo Magno (adorato dall’esercito) e Giulio Cesare (astro nascente della politica romana), noto come “Primo triumvirato”.
I racconti delle conquiste di Cesare in Gallia, impressionano profondamente Crasso, che vuole avere la sua parte di gloria e decide di partire in missione per la Partia, una vasta e ricca zona che corrisponde all’attuale Iran-Iraq.
Un sogno per ogni romano: conquistare l’Oriente, come fece Alessandro Magno.
La spedizione però è fortemente ostacolata dai suoi nemici politici: il tribuno della Plebe Ateio riesce addirittura a farlo arrestare mentre sta uscendo da Roma vestito da generale.
Ma Crasso ha un potere ed una influenza spropositata, e riesce a liberarsi di lì a poco. Ad Ateio non rimane altro che maledirlo, e visto l’esito della missione di Crasso, i romani considereranno Ateio uno iettatore potentissimo, fino alla fine dei suoi giorni.
Crasso si dimostra un generale poco capace. I suoi discorsi alle truppe non hanno presa sugli uomini. Molto spesso è costretto ad aggiustare o ritrattare quello che dice, vedendo che i soldati sono perplessi o spaventati.
Non solo: i romani attribuivano una enorme importanza ai segnali premonitori e agli auspici. Tenendo in mano le viscere di un animale per predire l’esito della missione, Crasso si lascia scivolare le budella: un segnale più che nefasto.
“Non mi sfuggirà la spada!” dice Crasso per cercare di “rattoppare” la situazione, ma l’esercito è già in preda ad un cattivissimo presentimento.
Crasso prosegue, convinto della sua missione: recluta soldati nel sud Italia e organizza delle navi per attraversare l’Adriatico e raggiungere i Balcani: da lì passerà per l’Anatolia (odierna Turchia).
Sceglie il momento sbagliato, e una parte della navi cola a picco: non tutti gli uomini arrivano dall’altra parte della costa. Non si tratta solo di sfortuna, ma proprio di incapacità.
I consiglieri di Crasso, tra cui Cassio, quello che anni dopo ucciderà Giulio Cesare, gli danno un consiglio tattico importantissimo.
E’ bene proseguire seguendo la costa, per sfruttare il costante rifornimento delle navi che supportano l’esercito. Ma Crasso fa di testa sua.
Sceglie di procedere all’interno del deserto, in linea retta, senza supporto e nel cuore del territorio nemico. Un errore madornale, a cui si aggiunge la sua scarsa capacità di valutare gli uomini.
Si fida ciecamente di Arimane, una guida araba, che lo accompagna con 6mila cavalieri: al momento buono, Arimane tradisce Crasso, si unisce all’avversario e abbandona il comandante romano al suo destino.
Inizia così, la battaglia di Carre.
La battaglia di Carre: 9 giugno 53 a.C
Crasso è in balìa dell’avversario. Il generale dei Parti, Surena, dà ordine ai suoi soldati di circondare i romani e bersagliarli con una quantità spropositata di frecce.
L’arco dei parti riesce a scagliare un dardo a 400 metri, contro i 100 dei romani. E’ un’arma di straordinaria potenza a cui i legionari non sanno resistere.
Per tutta risposta, Crasso fa disporre i suoi uomini a formazione quadrata, con gli scudi alzati a testuggine e gli dà ordine di aspettare. E aspetta decisamente troppo.
Diventati dei bersagli immobili, le frecce partiche massacrano i soldati, trasformando la battaglia in una orribile carneficina.
Il figlio di Crasso, Publio, si decide ad una manovra estrema. Con 1000 cavalieri, si getta contro gli arcieri per interrompere quel supplizio. Non faranno in tempo ad entrare in contatto con i nemici che le frecce li avranno già crivellati.
Crasso vede suo figlio, armi in pugno, circondato su una collinetta, morire eroico sul campo di battaglia.
Nei giorni successivi, allo sfortunato ed incapace generale romano, non rimane altra soluzione che barricarsi nel suo accampamento. Iniziano delle trattative con Surena: quest’ultimo si dimostra magnanimo, disposto a lasciarlo libero.
Crasso esce dall’accampamento, fidandosi della parola di Surena, che al momento buono, lo fa uccidere. I suoi soldati gli staccano la testa.
E’ una umiliante sconfitta.
A sopravvivere pochi uomini. Fra cui, una parte della disperata carica di Publio: sono ufficialmente dei prigionieri, trasferiti dai Parti più ad Oriente, in una zona che corrisponde all’attuale Turkmenistan, per lottare contro gli Unni.
E di loro, per diversi secoli, si perdono le tracce.
La conferenza di Homer Dubs
Le sorti di quei legionari romani si perdono nelle pieghe della storia, fino ad un anno preciso.
Nel 1955, Homer Dubs, uno storico specializzato in studi asiatici, organizza una conferenza dal titolo stranissimo: “I Legionari Romani in Cina“.
Dubs rivela di aver letto gli annali e i registri della dinastia di imperatori cinesi Han e che in questi resoconti era presente un episodio particolare.
Durante la battaglia per strappare ai generali della dinastia avversaria, quella Hun, la città di ZhiZhi, i soldati avevano creato una palizzata di tronchi appuntiti e conficcati nel terreno.
Inoltre per difendere le mura, gli uomini si erano disposti in una strana formazione detta a “spina di pesce“. Sia le palizzate che la disposizione dei soldati erano estranee al mondo cinese, mentre erano consuetudine dei romani.
Da qui la conclusione di Dubs: si trattava di quei legionari, eredi della tragica carica di Publio.
I legionari, sconfitti a ZhiZhi, sarebbero stati deportati dai Cinesi ancora più ad oriente, nella città di Liqian, con il compito di difendere i contadini dalle incursioni dei tibetani.
Gli indizi a favore della teoria
Possiamo credere ad una legione romana insediata nella città di Liqian?
A favore di questa tesi ci sono diversi indizi.
In primo luogo, il nome: Li-qian non è una parola cinese. E’ piuttosto strano che l’impero asiatico chiami una città con un nome straniero. Non solo: Liqian è il termine con cui la Cina identifica Roma, o al massimo la città di Alessandria: comunque, un luogo occidentale.
Inoltre, anche a livello onomatopeico, “Liqian” assomiglia a “Legione“, il che potrebbe provare una origine romana del luogo.
Secondo: alcuni scavi archeologici svolti nel 1993, hanno portato alla luce in quella piccola città, dei resti di pali appuntiti. Di nuovo, una tecnica di costruzione del tutto estranea al mondo cinese, e invece normale per i romani.
C’è poi nella zona una insolita passione per la tauromachia, la lotta contro i tori, praticata come “sport estremo”. Si tratta nuovamente di una tradizione tipica per l’impero romano, e invece del tutto anomala per la Cina.
Infine, i tratti somatici. Come testimoniano le foto, gli abitanti di Liqian hanno capelli biondi, occhi azzurri, e caratteristiche stranamente occidentali, di tipo caucasico. Solo loro, in tutta la Cina.
Sono indizi concreti, che confermano buona parte di quanto affermato da Dubs nel 1955.
Gli indizi contrari
Le autorità cinesi, tuttavia, esprimono perplessità, e diversi esperti si sono sforzati di smentire la leggenda.
Innanzitutto, Liqian sorge in una zona abbastanza vicina alla famosa via della seta, dove uomini di diverse etnie hanno girovagato per secoli. Non è detto che le anormalità genetiche siano collegate ai romani.
Inoltre, secondo Yang Gongle, professore della Beijing Normal University , Liqian sarebbe stata fondata nel 104 a.C, ovvero diversi anni prima della battaglia di Carre, il che escluderebbe la fondazione da parte di eredi dei romani.
Le prove del DNA finora raccolte sono ancora discutibili e non danno una riposta definitiva, tenuto conto che l’esercito romano era di per se stesso piuttosto variegato a livello etnico.
Il risultato è che la legione romana in Cina si appresta ad essere probabilmente uno di quegli enigmi che non avranno mai una risposta certa.
Dobbiamo considerare anche il fatto che il Governo Cinese, fortemente nazionalista, è abbastanza prevenuto sull’argomento e non ama che i suoi cittadini siano fieri di discendere da un impero straniero.
Quello che è certo è che nella cittadina di Liqian, oggi, parecchi rievocatori cinesi si vestono da romani, sono fieri di portare il gladio e si proclamano, a metà tra il serio e il faceto, eredi dei gloriosi legionari.
A prova del fatto che, in un modo o nell’altro, Roma ha lasciato il segno anche qui.