La guerra in Iraq o seconda guerra del Golfo: riassunto completo

La guerra Iraq o seconda guerra del Golfo Persico (2003-2011) è stato un conflitto svoltosi in Iraq. Viene diviso tradizionalmente in due fasi. La prima, nel marzo e aprile del 2003, durante la quale una forza combinata di soldati degli Stati Uniti e della Gran Bretagna invasero l’Iraq, sconfiggendo rapidamente le forze militari irachene e occupando il paese.

La seconda fase, molto più lunga, definisce l’occupazione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti e contrastata da ripetute insurrezioni popolari. A partire dal 2007, gli Stati Uniti ridussero gradualmente la loro presenza militare in Iraq completando il ritiro nel dicembre del 2011.

Lo scoppio della guerra

L’invasione irachena del Kuwait, nel 1990, si era conclusa con la sconfitta dell’Iraq da parte di una coalizione occidentale guidata dagli Stati Uniti. Tuttavia, il ramo iracheno del partito Ba’ath, con a capo Saddam Hussein, aveva mantenuto il proprio potere, reprimendo le rivolte della minoranza curda all’interno del paese. 

Per salvare la minoranza curda, l’occidente creò un rifugio sicuro nelle regioni dell’Iraq settentrionale. Inoltre, l’ONU decise una serie di sanzioni economiche per ostacolare lo sviluppo di armi di distruzione di massa. Alcune ispezioni guidate dalle Nazioni Unite alla metà degli anni ’90 scoprirono comunque una vasta serie di armi vietate e una tecnologia bellica non consentita.

Il presidente americano Bill Clinton, nel 1998, ordinò il bombardamento di diverse installazioni militari irachene, tramite l’operazione Desert Fox. Nonostante l’intervento militare, l’Iraq continuò però a negare l’accesso agli ispettori dell’ONU e nei confronti del paese vennero decise delle nuove sanzioni economiche. 

Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, l’allora Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush sostenne che l’Iraq stava preparando delle armi di distruzione di massa, informazione che poi si rivelò non veritiera, e accusò l’Iraq di aver fornito sostegno ai gruppi terroristici di al-Qaida, autori degli attentati. 

George W. Bush, il presidente USA che decise l’invasione dell’Iraq nel 2003

L’8 novembre del 2002, l’ONU chiese nuovamente di inviare degli ispettori: nonostante l’approvazione dell’Iraq, all’inizio del 2003 il presidente Bush e il primo ministro britannico Tony Blair dichiararono che il regime di Saddam Hussein stava continuando ad ostacolare le ispezioni e che preparava nuove armi.

Altri paesi, come la Francia di Jacques Chirac e la Germania di Gerhard Schroeder, proposero di dare più tempo all’Iraq per smantellare gli armamenti vietati. Tuttavia, il 17 marzo, il presidente Bush dichiarò la fine delle trattative diplomatiche e diede un ultimatum a Saddam Hussein, concedendogli 48 ore per lasciare il paese.

Prima fase della guerra in Iraq: l’invasione USA del 2003

Quando Saddam Hussein si rifiutò di lasciare l’Iraq, gli Stati Uniti e le forze alleate lanciarono l’attacco, il 20 marzo del 2003. Gli aerei presero di mira dei bunker dove si riteneva si nascondesse Hussein,  nel frattempo che altri velivoli attaccavano installazioni governative e militari.

La resistenza delle truppe irachene ebbe sfumature diverse: alcune scelsero di non opporsi all’avanzata delle forze della coalizione. Nel sud del paese, i sostenitori del partito Ba’ath, noti come Fedayeen di Saddam, opposero invece una resistenza strenua sotto forma di guerriglia. 

Cosa simile avvenne nei pressi della città meridionale di Bassora, contro le forze britanniche. Nell’Iraq centrale, un gruppo paramilitare pesantemente armato dispiegò le proprie forze per difendere la capitale Baghdad. 

Le forze dell’esercito americano avanzavano verso nord ovest, lungo la valle dei fiumi Tigri ed Eufrate. L’esercito statunitense fu costretto a fermarsi a 95 km da Baghdad, soprattutto per ripristinare il funzionamento delle proprie linee di rifornimento, mentre nel frattempo gli aerei continuavano i bombardamenti. Dopo una pausa, i soldati USA ripresero la loro avanzata e il 4 aprile conquistarono l’aeroporto internazionale di Baghdad.

La resistenza irachena, seppure piuttosto vigorosa ed inflessibile, aveva il difetto di essere particolarmente disorganizzata e disomogenea, tanto che il 9 aprile gli americani presero il controllo della capitale irachena. Nello stesso giorno, anche Bassora dovette arrendersi alle forze britanniche. La città natale di Saddam, Tikrit, cadde con poca resistenza il 13 aprile, tanto che Bush dichiarò la fine dei combattimenti il primo maggio. 

Numerosi leader iracheni furono costretti a fuggire, tallonati dalle forze americane. Saddam Hussein in persona venne catturato il 13 dicembre 2003 e consegnato alle autorità irachene per essere processato per vari crimini contro l’umanità. Condannato, fu giustiziato il 30 dicembre del 2006 per impiccagione.

Seconda fase della guerra in Iraq: la lunga occupazione

Dopo il crollo del regime di Saddam Hussein, le principali città dell’Iraq furono coinvolte da saccheggi contro gli uffici governativi e le istituzioni pubbliche, con gravi episodi di violenza. Le forze di occupazione impiegarono grande energia per cercare di ripristinare l’ordine e la legge, continuamente indebolite da attacchi di guerriglia. 

Se le vittime degli alleati erano state relativamente poche, circa 150 morti entro il primo maggio 2003, il numero di caduti americani, costantemente bersagliati da attacchi improvvisi, aumentò drasticamente, raggiungendo il numero di mille all’epoca delle elezioni statunitensi del novembre 2004 e superando i 3000 all’inizio del 2007. 

L’economia del paese era in ginocchio: dopo 35 anni di dittatura, tre grandi guerre e diverse sanzioni economiche, l’Iraq era in rovina. Il paese era gravato da un pesante debito, che superava di gran lunga il suo prodotto interno lordo e persino la sua produzione di petrolio, la principale e unica fonte di reddito. Inoltre, la guerra aveva distrutto gran parte delle strutture produttive. Con grandissima fatica ed innumerevoli sforzi internazionali, l’economia irachena conobbe una tiepida ripresa.

Nel frattempo, nelle regioni del sud, diversi leader religiosi locali, che erano fuggiti dal regime di Saddam Hussein, poterono tornare in patria e riprendere il pellegrinaggio nelle città sante di Najaf e Karbala. In tutto il paese, gli iracheni iniziarono la dolorosa ricerca dei propri cari, caduti durante il regime di Hussein.

Furono scoperte numerose fosse comuni con migliaia di corpi. Nel frattempo, gruppi di milizie, come ad esempio l’esercito del Mahdi, formato dal religioso Muqtadā al-Ṣadr nell’estate del 2003, continuavano a disturbare le operazioni degli eserciti occupanti, destabilizzando continuamente il paese.

La gestione dell’Iraq iniziò ad essere pesantemente criticata anche negli stessi Stati Uniti: anche coloro che avevano sostenuto la guerra, si resero conto che il conflitto si era trasformato in un pantano. La pubblicazione su giornali internazionali di soldati statunitensi che torturavano iracheni nella prigione di Abu Ghraib, a ovest di Baghdad, danneggiarono ulteriormente la reputazione di Bush e della sua campagna militare. 

Inoltre, una commissione statunitense impegnata ad indagare sugli attacchi dell’11 settembre, concluse, nel luglio del 2004, che non vi erano prove della collaborazione tra il Governo di Saddam Hussein e Al-Qaida.

Anche la Gran Bretagna, la seconda potenza militare in Iraq, venne investita da inchieste parlamentari. In particolare, un’indagine condotta all’inizio del 2010 dimostrava come alcuni tagli al bilancio militare avevano reso vulnerabili le truppe britanniche Iraq.

“L’impennata” di Bush e il ritiro delle truppe sotto Barack Obama

Ancora convinto della bontà della sua campagna militare, e nonostante le pesanti perdite, un generalizzato calo della violenza in Iraq incoraggiò l’amministrazione americana ad inviare nuovi contingenti militari in Iraq. Così, nel gennaio 2007, il presidente Bush aumentò  le truppe statunitensi di altre 20mila unità, in un’operazione militare nota come “impennata”.

In realtà, diversi analisti furono critici contro questa decisione, spiegando che la diminuzione delle perdite americane dipendeva da altri fattori, come l’impiego di tecniche di contro insurrezione, l’alleanza di alcune tribù sunnite che si erano schierate a favore delle truppe statunitensi e alcuni trattati di pace  stipulati con forze locali, che rappresentavano il vero motivo della diminuzione dei caduti americani.

Nel novembre del 2008, il parlamento iracheno, dopo lunghe trattative con gli Stati Uniti, definì una road map di ritiro delle forze USA dal paese. Gli americani avrebbero dovuto lasciare le città irachene entro la metà del 2009 e il ritiro dall’Iraq sarebbe stato completato entro il 31 dicembre 2011. Nel febbraio 2009, il neo eletto presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annunciò che le forze si sarebbero ritirate entro il 31 agosto 2010 ma già il 18 agosto 2010, le ultime brigate di combattimento si ritirarono dal paese e sul territorio iracheno rimasero 50000 soldati americani come forza di transizione.

Il presidente USA Barack Obama annuncia il ritiro delle truppe dall’Iraq

Durante l’ultimissima fase dell’occupazione, nell’ottobre 2010, il portale Wikileaks fece scoprire al mondo, tramite la pubblicazione di quasi 400 mila documenti militari statunitensi segreti, che le cifre dei caduti iracheni comunicate pubblicamente erano state pesantemente ridimensionate. I report tattici e dell’intelligence realizzati dagli americani in Iraq tra il 2004 e il 2009 avevano infatti conteggiato le vittime civili irachene con un numero molto più alto di quello dichiarato pubblicamente.

Si venne anche a sapere che nel corso degli anni eserciti privati erano stati più volte coinvolti in incidenti e in episodi di violenza e che spesso le forze armate americane avevano ignorato l’utilizzo della tortura da parte delle forze di sicurezza irachene.

La pubblicazione di tali contenuti sconvolse l’opinione pubblica mondiale, anche se alti funzionari militari statunitensi e iracheni condannarono la pubblicazione dei documenti, affermando che tali rivelazioni potevano compromettere la sicurezza del paese.

Nel luglio del 2011, gli Stati Uniti provarono a convincere il governo iracheno a lasciare alcune migliaia di truppe per preservare la sicurezza ma l’opinione pubblica irachena e diverse fazioni politiche si dichiararono immediatamente contrarie.  Inoltre, i trattati fallirono quando non si trovò un accordo sull’immunità legale dei soldati statunitensi di fronte alla legge irachena. 

Così, ad ottobre del 2011, il presidente Obama annunciò che i restanti 39000 soldati avrebbero lasciato il paese alla fine del 2011. Il 15 dicembre, nel corso di una cerimonia a Baghdad, l’esercito americano dichiarò ufficialmente la fine della sua missione e le ultime truppe statunitensi si ritirarono.