Gaio Mario: vita e biografia del generale romano

Gaio Mario, anche chiamato Caio Mario per via di un errore nella trascrizione delle epigrafi latine, 157 a.C -13 gennaio 86 a.C, è stato un generale, politico e statista nell’antica Roma. Vincitore della guerra contro Giugurta e vittorioso contro l’invasione dei Cimbri e dei Teutoni, ricoprì il ruolo del consolato per sette volte durante la sua carriera.

Fu anche il protagonista della più importante riforma dell’esercito romano di tutti i tempi: grazie al suo intervento, l’esercito divenne un gruppo di soldati professionisti. Fu coinvolto nella guerra civile contro Lucio Cornelio Silla, morendo a poche settimane dalla sua settima elezione a console.

Le origini e i primi incarichi di Gaio Mario

Gaio Mario nacque nel 157 a.C ad Arpino, una piccola città posizionata a 60 miglia a sud-est di Roma, nel Lazio meridionale. I residenti del Municipio di Arpino avevano ottenuto la cittadinanza Romana nel 188 a.C.

Non sappiamo esattamente quanto fosse importante la famiglia di Mario al momento della sua nascita: secondo Plutarco suo padre era di umili origini, e lavorava come operaio o come manovale, ma questo è molto improbabile, dal momento che altre fonti citano dei forti legami con la classe aristocratica di Roma.

Caio Mario, inoltre, iniziò da subito a frequentare le nobildonne aristocratiche del suo Municipio: è quindi molto più probabile che la famiglia di Caio Mario fosse piuttosto di rango equestre, una classe sociale immediatamente inferiore ai Patrizi.

Mario crebbe senza ottenere una particolare educazione: non era molto ferrato in storia, non imparò mai il greco, che era la lingua dei colti, e mantenne sempre una cultura tutto sommato bassa e provinciale. Tuttavia era un vero generale, dotato di uno straordinario carisma sul campo di battaglia: sapeva farsi amare dai soldati e dal popolo con grande facilità.

Caio Mario dimostrò una grande ambizione fin dalla più giovane età e fu notato per la prima volta per le sue capacità di comando mentre prestava servizio durante l’assedio della città spagnola di Numanzia, nel 134 a.C

Secondo Plutarco, durante una cena fu chiesto al generale in comando, Scipione Emiliano, chi sarebbe stato un degno successore: la tradizione racconta che Emiliano si sarebbe avvicinato a Caio Mario, gli avrebbe dato una amichevole pacca sulla spalla e avrebbe detto: “Forse questo è l’uomo giusto”.

L’inizio della carriera politica

Poco dopo aver completato il suo servizio militare a Numanzia, Mario rivolse la propria attenzione alla politica romana. Si candidò subito per diverse importanti magistrature, quella di tribuno militare, che era il primo gradino di qualsiasi carriera politica, e quella di questore, entrambi riconoscimenti ottenuti.

Nel 120 a.C venne eletto tribuno della plebe, dimostrando in maniera palese il suo attaccamento alla fazione dei Populares: proprio in questo periodo, strinse un’alleanza politica con Quinto Cecilio Metello, il rappresentante di una delle famiglie più potenti e influenti di Roma, che contribuì notevolmente a promuovere la popolarità e la carriera di Mario.

Come tribuno della plebe promosse un disegno di legge che limitava la capacità degli aristocratici di influenzare le elezioni. Normalmente, durante il momento del voto, gli aristocratici erano soliti inviare le loro guardie del corpo per minacciare i votanti e influenzare in maniera illegale l’esito delle votazioni.

Mario fece approvare una legge per cui il votante doveva passare attraverso una stretta passerella, scrivere il suo voto su una tavoletta di cera nella più assoluta segretezza e depositarle in un’urna, senza la possibilità di essere influenzato da nessuno.

Nonostante l’opposizione dei due Consoli in quel momento in carica, il disegno di legge fu approvato con grande gioia della cittadinanza. Tuttavia, questa legge incrinò i suoi rapporti con Metello, dal momento che quest’ultimo era rappresentante della classe aristocratica danneggiata dal provvedimento.

Il venir meno dell’appoggio di Metello ebbe delle conseguenze negative per la carriera politica di Caio Mario. Si candidò infatti alla carica di edile, ma non fu eletto. Venne però nominato con successo pretore nel 116 a.C: gli aristocratici lo accusarono immediatamente di aver ottenuto la carica tramite i brogli elettorali, ma sottoposto a processo fu considerato innocente.

La sua attività di pretore non fu particolarmente degna di nota, dal momento che le fonti non ci raccontano nulla di importante.

Tuttavia, nel 114 a.C, Mario venne nominato governatore della Provincia di Hispania Ulterior. Durante l’incarico, Plutarco ci conferma come l’impegno di Caio Mario si concentrò sulla liberazione del territorio da ladri e briganti, con una campagna militare di particolare efficacia.

Proprio in questo periodo, Mario si arricchì notevolmente sia raccogliendo il bottino sottratto ai guerriglieri che mano mano andava vincendo, sia investendo in vantaggiose operazioni minerarie in tutta la provincia. Nei due anni prima di tornare a Roma, la ricchezza di Mario aumentò notevolmente. 

Poco dopo il suo ritorno a Roma, Mario decise di sposarsi con la rampolla di un’importante famiglia patrizia: si trattava di Giulia, la zia di Giulio Cesare.

Il matrimonio aveva una valenza certamente politica: dal momento che le origini di Caio Mario erano particolarmente umili, un’unione di questo tipo lo accreditava notevolmente agli occhi dell’aristocrazia senatoria.

Il consolato e la guerra contro Giugurta

Nel 108 a.C Mario decise che i tempi erano maturi per puntare alla carica del consolato. Mario e Metello avevano migliorato i loro rapporti, ma Metello consigliò a Mario di non affrettare i tempi e di concorrere piuttosto accanto a suo figlio.

Mario decise di proseguire ugualmente con la sua candidatura. La sua scelta fu assolutamente azzeccata: nel 107 fu eletto console per la prima volta, nonostante i pronostici gli fossero avversi.

Il segreto della sua nomina fu probabilmente nella popolarità che godeva presso i militari e nella reputazione di uomo operoso ed integerrimo.

Ben presto fu chiamato nella campagna militare in Numidia contro il Re Giugurta, comandata proprio da Cecilio Metello. Metello scelse di nominare Mario come suo legato nel conflitto, riconoscendo la sua capacità come generale, che ritenne evidentemente più importante dei loro dissapori politici.

Giugurta stava utilizzando efficacemente delle tattiche di guerriglia che Metello non era in grado di contrastare efficacemente.  Mario cominciò a rilasciare una serie di dichiarazioni pubbliche, destinazione il Senato, con lo scopo di far passare Metello come un incompetente, e promettendo che sarebbe stato in grado di porre fine al conflitto più rapidamente se fosse stato messo al comando al suo posto.

Il Senato si convinse facilmente e affidò a Mario il comando delle operazioni, il che non fece altro che inasprire una volta per tutte i rapporti con Metello.

 Nonostante le affermazioni ottimistiche di Mario, in realtà, la campagna contro Giugurta era particolarmente difficile. Divenne presto chiaro che la guerra non sarebbe stata vinta così facilmente come Mario l’aveva dipinta in Senato.

Per questo motivo, il generale fu costretto a reclutare un enorme numero di truppe per contrastare l’avversario, e per la prima volta reclutò degli uomini dalle classi più povere di Roma, addirittura incorporando dei nullatenenti al suo esercito. Si trattava di una grandissima novità, dal momento che l’esercito era sempre stato reclutato per censo.

Fu questa, difatti, la bozza di quella riforma militare che avrebbe portato il suo nome.

La guerra contro Giugurta andò avanti, ma un ruolo determinante fu giocato dall’allora questore Lucio Cornelio Silla. Se Mario riuscì a sconfiggere i soldati di Giugurta sul campo, fu effettivamente Silla a mettersi d’accordo con il Re Bocco di Mauretania, il quale tradì Giugurta e lo consegnò ai Romani.

Mario aveva vinto militarmente, ma era stato Silla a catturare il nemico. Comunque fosse, la guerra giugurtina venne dichiarata conclusa nel 105 a.C.

Per la sua vittoria, Mario ottenne il trionfo. Giugurta fu costretto a sfilare nelle strade di Roma, in catene, come un trofeo. Mario venne onorato come un vero eroe, ma nel suo privato era fortemente amareggiato dal fatto che fosse stato Silla ad aver ottenuto la cattura di Giugurta e non lui.

Le capacità di Silla, sia come generale che come diplomatico, non erano passate inosservate, e Mario iniziò a nutrire nei confronti del collega una sincera antipatia.

La riforma dell’esercito di Gaio Mario

Durante il mandato come console del 107 a.C, Caio Mario apportò importanti cambiamenti all’esercito di Roma, che avrebbero avuto un impatto decisamente duraturo. A causa dell’imminente minaccia che si stagliava sulla frontiera settentrionale, Mario fu costretto a rafforzare ed aumentare il numero dei soldati presenti nell’esercito.

Per fare questo, Mario allentò notevolmente i requisiti necessari per arruolarsi. Da questo momento, chiunque, indipendentemente dalla sua ricchezza, dalla classe sociale e della importanza politica, aveva la possibilità di arruolarsi come soldato professionista.

Le riforme di Mario fecero sì che moltissimi disperati e nullatenenti dedicassero la loro vita all’esercito, vedendo la carriera militare come un’opportunità per affrancarsi da una vita di disagio. La promessa di un bottino e della paga erano particolarmente apprezzabili per dei nullatenenti che non avevano più futuro.

Mario aveva così aumentato con successo le dimensioni dell’esercito, e la sensazione era che il contingente di legionari che aveva organizzato, sarebbe stato in grado di vincere qualunque nemico. 

La lotta contro i Cimbri e i Teutoni

Mario fu eletto console per la seconda volta nel 104 a.C. violando palesemente una legge che imponeva uno spazio di 10 anni tra una nomina a console e l’altra.

È probabile che Mario sia stato in grado di aggirare queste leggi a causa dell’ imminente invasione delle tribù germaniche dei Cimbri e dei Teutoni, che avevano recentemente creato una confederazione ed erano stati in grado di sconfiggere una serie di eserciti romani, in particolare quelli sotto il comando di Giunio Silano e Cassio Longino, nel 105 a.C.

Roma necessitava di un generale forte e capace e Mario era il candidato perfetto.

La guerra contro Cimbri e Teutoni si trascinò per alcuni anni, e Mario fu eletto ripetutamente console per rinnovare il suo comando militare. Finalmente Mario riuscì a sconfiggere i Teutoni nella battaglia di Aquae Sextiae, nel 102 a.C e i Cimbri nel 101 a.C, a Vercelli.

Durante questa guerra, 350.000 barbari persero la vita e altri 150.000 vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi nei mercati di Roma. Questa vittoria consolidò definitivamente la figura di Mario come leggendaria. Gli venne tributato un nuovo trionfo e fu eletto console ancora nell’anno 100 a.C.

Mario aveva decisamente raggiunto l’apice della sua carriera militare e politica.  Anche se nelle sue memorie Mario si prendeva tutto il merito di aver vinto le tribù barbariche, gli scritti di Silla suggeriscono che quest’ultimo potrebbe aver avuto un ruolo cruciale nella vittoria di Roma.

Questo inasprì ulteriormente i rapporti tra Mario e Silla, ma ufficialmente fu Mario ad ottenere un altro trionfo per le sue straordinarie azioni.

Il sesto consolato di Gaio Mario

Nel 100 a.C, Mario stava ricoprendo il suo sesto consolato e iniziò a sostenere delle riforme proposte dal suo alleato politico Saturnino, che fungeva da tribuno della plebe.

Il costo di molti tipi di alimenti furono abbassati e venne decisa una ingente redistribuzione di terre tra i suoi soldati veterani. Il disegno di legge venne approvato attraverso alcune attività illegali, ma Mario aveva l’assoluta necessità di accontentare i suoi uomini.

In realtà Mario aveva pesantemente corrotto alcuni senatori, e Metello, ormai nemico giurato, si oppose al disegno di legge. Metello utilizzò tutti i suoi importanti poteri politici per bloccare Mario in ogni occasione prima di lasciare Roma per raggiungere la Grecia.

Mario, con l’aiuto di alcuni alleati, iniziò allora ad utilizzare lo strumento dell’esilio per colpire i suoi avversari politici. Tuttavia, alcuni stavano iniziando a dubitare della buona fede di Mario, e la sequenza dei consolati, l’uno dopo l’altro, come mai nessuno prima di lui, stava cominciando a preoccupare i senatori.

Dopo che uno dei nemici di Mario venne assassinato durante la sua candidatura alle elezioni, scoppiarono diversi disordini in tutta Roma. Il Senato ordinò a Mario di porre fine allo spargimento di sangue.

Mario tuttavia, ebbe un comportamento piuttosto bieco: si dedicò a proteggere soprattutto i suoi alleati, tra cui Saturnino, senza preoccuparsi dell’ordine pubblico.

La situazione precipitò: la folla assaltò l’edificio del Senato in un momento di isteria generale. I rivoltosi non riuscirono a sfondare le porte, ma scalarono i muri e salirono sul tetto. Strapparono le tegole una ad una fino a quando non riuscirono a lanciare sassi e proiettili contro i senatori. Mario riuscì a sedare la rivolta, ma la sua reputazione era stata offuscata dalla sua partigianeria, e della sua poca equità in una situazione di crisi politica.

Dopo la fine del suo sesto consolato, Mario si recò in Oriente per convincere il Re Mitridate VI del Ponto a desistere dalla sua intenzione di muovere guerra contro Roma.  Nel frattempo, Mario, nonostante si trovasse in Oriente, fu eletto nel collegio degli auguri sacerdotali nel 98 a.C, ma rifiutò di candidarsi alla carica di censore l’anno successivo, per non alimentare dei sospetti.

Gaio Mario durante la guerra sociale

Mentre Mario si trovava in Oriente, Roma conobbe una relativa pace, ma questa non sarebbe durata a lungo.

Da anni si era infatti verificata una situazione di grande tensione sociale: il Senato non voleva includere gli alleati italici nella classe dirigente, e questi, che invece fornivano regolarmente soldi e soldati per le cause di Roma, pretendevano di avere una maggiore rappresentanza politica.

Nel 95 a.C, il Senato emanò la legge Licinia Mucia, che stabiliva che tutti i non cittadini dovevano lasciare Roma.

Come risposta un tribuno della plebe, Marco Livio Druso, propose di concedere la cittadinanza a tutti gli uomini, eccetto gli schiavi, che risiedevano in Italia. La sua idea aveva come scopo quella di rappresentare al meglio gli alleati italici, che avevano pesantemente aiutato Roma ma che non erano adeguatamente rappresentati nelle tribù elettorali.

Per tutta risposta, Druso venne assassinato: un’azione nefasta che scatenò rivolte e ribellioni in tutta la penisola italica, che si era ufficialmente ribellata al potere di Roma.

Nota come guerra sociale, questo conflitto sarebbe durato dal 91 all’ 88 a.C: Mario vide in questa guerra l’opportunità di ottenere delle nuove vittorie e di guidare le forze di Roma contro le città ribelli.

Durante la guerra sociale Mario servì come console sotto Publio Rutilio Lupo, ma quest’ultimo morì nella fase iniziale della guerra e Mario, rimasto il principale generale per la causa dei romani, ottenne molte vittorie, soprattutto nel nord Italia.

Il coinvolgimento di Caio Mario, tuttavia, non durò a lungo, dal momento che già nel 89 a.C fu costretto a ritirarsi per problemi di salute. Alcune fonti parlano di un ictus, mentre altre attribuiscono il suo ritiro ai nemici politici, che non volevano concedere al generale ulteriore potere militare.

La marcia di Silla su Roma

E’ evidente che nel corso della guerra sociale fu Cornelio Silla ad avere la meglio. Fu il generale con il maggior numero di vittorie, a scapito di Mario, la cui figura di comandante uscì decisamente appannata. La guerra sociale terminò con la sostanziale vittoria della causa degli italici, che gradualmente vennero accettati nelle tribune elettorali.

Ma la fine della guerra sociale non portò ad una pace duratura.

Il Re Mitridate VI del Ponto attaccò nuovamente le province orientali di Roma nel 88 a.C, e Mario, dopo essersi ripreso dalla sua malattia, si propose come generale per guidare gli eserciti di Roma contro il nemico. Ma nello stesso anno in cui Mitridate avviò le operazioni di guerra, venne eletto come console Silla.

Mario organizzò una cordata di Senatori, che orientò le elezioni e consegnò a lui il comando delle operazioni.

Silla era furioso per il tradimento del Senato: la campagna, affidata a Mario, avrebbe probabilmente significato il suo tramonto politico. Per questo motivo, Silla prese con sé sei legioni e gli chiese di giurare fedeltà a lui, in prima persona, piuttosto che al Senato, promettendo gli dei ricchi bottini.

L’operazione andò in porto e Silla mosse con il suo esercito direttamente contro Roma, un’azione del tutto illegale e pericolosa. Silla fu di fatto il primo romano a guidare un esercito in armi contro la città di Roma, varcando il confine sacro del pomerium, e operando un’azione che sconvolse la cittadinanza.

Mario cercò di organizzare in fretta e furia un esercito di fortuna, reclutando anche schiavi e gladiatori, ma la sua forza militare non era minimamente all’altezza di quella addestrata ed equipaggiata dei soldati professionisti di Silla.

I soldati professionisti che erano stati creati da Caio Mario, gli si stavano ribellando.

Mario fu costretto a fuggire in esilio. Silla, che deteneva ormai il controllo di Roma, eseguì alcune operazioni di ordine cittadino, indisse delle nuove elezioni e partì per l’Oriente, per condurre la campagna contro Mitridate.

L’esilio di Mario e il ritorno a Roma

Mario trovò rifugio nella città di Cartagine, in nord Africa, dove venne raggiunto dal figlio, Mario il Giovane. Mario fu dichiarato fuorilegge dai suoi nemici politici, e su di lui venne addirittura istituita una taglia.

Non molto tempo dopo il suo esilio, mentre Silla era impegnato nella campagna contro Mitridate, a Roma scoppiò una guerra civile tra le due principali fazioni politiche: i sostenitori di Silla, guidati dal console Ottavio, iniziarono a combattere contro i partigiani del collega di consolato, Cinna, che era sostenitore di Mario.

Per Mario si trattava dell’unica occasione di ritornare a Roma assieme a suo figlio. Sbarcò in Etruria, e radunò delle forze militari pronte a unirsi a quelle di Cinna per riconquistare la città. Mario e Cinna riuscirono a scacciare i legionari di Silla da Roma, e ad eseguire una lunga serie di uccisioni ed epurazioni, tra cui perse la vita Ottavio.

Roma apparteneva ora alla fazione Mariana e Mario potè riorganizzare la città sulla piacimento. Mario esiliò ufficialmente Silla e lo rimosse dal comando della guerra mitridatica.

Nel 86 a.C, fu nominato console per la settima volta, assieme al collega Cinna, di fronte ad un Senato completamente intimorito ed impotente.

La morte di Mario e la sua eredità

Plutarco racconta che nell’ultima fase della sua vita, Mario era diventato paranoico, irritabile e sospettoso di tutti, e non esitava a giustiziare qualsiasi persona su cui gravasse anche solo un minimo sospetto. Sembra che Mario nutrisse odio persino nei confronti di suo nonno, Marco Antonio, e contro Publio Licinio Crasso, il padre di Marco Licinio Crasso.

Erano ormai lontani i tempi in cui Mario era il beniamino dei romani: ora si trattava di una figura temuta dal popolo. La salute di Mario iniziò a peggiorare gravemente, e spesso Mario delirava, raccontando dei suoi trionfi passati.

A poco meno di due settimane dall’inizio del suo settimo consolato, Mario morì, il 13 gennaio dell’ 86 a.C. Suo figlio Mario il giovane e il collega Cinna continuarono la lotta contro Silla, che dal suo esilio tramava vendetta contro l’avversario politico. 

La vittoria della guerra civile, andrà infine a Silla, che detenendo il potere completo, darà luogo ad una delle più grandi riforme dello stato romano.

L’eredità di Caio Mario è importante: oltre ad aver vinto sulle tribù dei Cimbri e dei Teutoni, e aver di fatto salvato la repubblica romana, Caio Mario viene ricordato come un brillante stratega militare e comandante, amato dai soldati e dal popolo. 

Sarà per sempre uno dei leader più importanti della fazione dei Populares, anche se, durante la vecchiaia, si macchiò di diversi errori e si lasciò andare ad una serie di violenze che offuscarono, a volte in maniera irrimediabile, le sue grandi vittorie.