Catone il Censore: la vita del più severo tra i romani

Marco Porcio Catone, conosciuto anche come Catone il Censore o Catone il Vecchio, è stato un importante senatore e aristocratico romano, passato alla storia per essere il più strenuo difensore delle antiche abitudini della società romana e per essersi drasticamente opposto alle nuove mode provenienti dalla Grecia, oltre ad aver aspramente combattuto in Senato per votare la distruzione di Cartagine.

Di Porcio Catone ci rimangono diverse cronache, tante opere storiografiche da lui redatte (e purtroppo non giunte fino a noi), ma soprattutto un simbolo eterno di integerrimo romano, che ha incarnato fino all’ultimo le più antiche tradizioni e l’atteggiamento più rustico e guerriero, proprio dei Padri fondatori di Roma.

Infanzia e giovinezza

Catone nacque nel comune di Tuscolo: il padre aveva militato nell’esercito e suo bisnonno aveva ricevuto una ricompensa per aver ucciso cinque cavalli nemici in battaglia. Ma nonostante queste prodezze militari, la famiglia di Catone non aveva mai ottenuto particolari ruoli o riconoscimenti politici, nè magistrature di un certo rilievo.

Durante la sua primissima infanzia, Catone supervisionò un terreno che gli era stato lasciato in eredità dal padre, nella zona del Sabino, dove condusse una vita particolarmente semplice e dove sviluppò il senso per gli affari.

Un curioso particolare è che un suo vicino di casa era Manio Curio Dentato, il generale che mise di fatto fine alle guerre sannitiche, che fu di grande ispirazione per Catone, il il quale lasciò presto la vita rurale per dedicarsi alla carriera politica e militare.

Sappiamo che nel 214 a.C prestò servizio militare a Capua e lo ritroviamo durante l’assedio di Taranto, nel bel mezzo della seconda guerra punica, al fianco del dittatore Quinto Fabio Massimo.

Un altro momento di particolare importanza per la sua carriera politica fu quando, sotto il comando del console Claudio Nerone, partecipò alla battaglia del Metauro. Secondo le fonti, Catone e il suo lavoro di raccolta di informazioni furono molto importanti per comprendere i movimenti del nemico, il cartaginese Asdrubale Barca.

Fu probabilmente in questo periodo che Catone sviluppò la sua idea di totale annientamento dell’avversario punico. Plutarco, nella Vita di Catone il Vecchio”, ci racconta che proprio in quel periodo cominciò a concludere i suoi discorsi pubblici con la storica frase “Carthago delenda est”, “Cartagine deve essere distrutta”.

La missione in politica con Flacco

Incarnando al meglio lo spirito degli antichi padri fondatori, Catone tornò, subito dopo la guerra, nella sua fattoria Sabina, dove era abituato a vestirsi in maniera semplice, lavorando la terra e senza godere di alcun privilegio dal suo servizio militare. Le fonti antiche lo riportano come giudice imparziale, severo ma giusto, e che spesso si adoperò per sostenere o dirimere delle cause tra i suoi vicini, portando le esigenze dei cittadini di campagna di fronte alle grandi assemblee aristocratiche.

Durante questo periodo di “pausa” delle guerre, Catone sviluppò notevoli capacità oratorie, imparò l’arte della retorica e approfondì i suoi studi in legge, sviluppando una personalità particolarmente dura e complessa, ma anche straordinariamente efficace nella difesa degli antichi valori romani.

Uomo fondamentale per la carriera di Catone, fu Lucio Valerio Flacco: si trattava di un giovane appartenente ad una famiglia patrizia, che aveva una notevole influenza sulla politica romana. Ammirando il carattere di Catone, Flacco cominciò a sostenerlo pubblicamente, esaltando presso i suoi concittadini lo spirito marziale di Catone e lodandolo per la sua capacità retorica.

In questo modo Catone venne definitivamente attratto verso la carriera politica e cominciò a farsi notare nel foro, tenendo una lunga serie di discorsi e perorando una grande quantità di cause diverse, fino alla sua candidatura a magistrato.

Catone questore e nemico di Scipione Africano

Nel 205 a.C Catone fu finalmente nominato questore e si fece un nemico importante.

Durante il suo mandato, il generale Scipione l’Africano chiese al Senato il permesso di condurre la guerra contro Annibale direttamente in Africa. Flacco si oppose all’idea di conferire a Scipione tale potere e manifestò parere negativo, assieme a Catone, che si schierò contro la famiglia degli Scipioni.

Nonostante le proteste, Scipione ottenne dal Senato il permesso che cercava. E Catone fu perdipiù incaricato di scortare alcune navi portabagagli e di consegnarle proprio al suo avversario.

Osservando come Scipione stava organizzando la campagna d’Africa, Catone avrebbe criticato l’eccessiva indulgenza nei confronti delle truppe e le esagerate spese che stava sostenendo. Tornato a Roma, Catone propose al Senato una serie di riflessioni sullo sperpero di denaro che Scipione stava portando avanti e fu per il suo intervento che venne inviata una commissione di tribuni per esaminare l’attività di Scipione.

Scipione superò l’esame, ma Catone rimase sempre la figura politica più critica nei confronti del grande generale romano.

Scipione governatore della Sardegna

Nel 399 a.C Catone fu eletto edile e, grazie alla stretta collaborazione con il suo collega Elvio, restaurò i giochi della plebe, tenendo diversi banchetti in onore di Giove. Nel 398 a.C divenne pretore e fu nominato governatore della Sardegna, al comando di 3000 fanti e 200 cavalieri. La gestione della Sardegna fu perfettamente in linea con il suo carattere: vennero ridotti i costi di tutti gli ufficiali operativi e dimostrò una grande frugalità, in opposizione all’opulenza dei magistrati provinciali che avevano governato prima di lui.

Vennero celebrati diversi riti religiosi, ma senza spendere troppo denaro dalle casse pubbliche, e amministrò con assoluta imparzialità la giustizia sul territorio, comminando delle punizioni particolarmente severe, qualora necessario. Aurelio Vittore ci parla anche di una rivolta che fu rapidamente risolta da Catone durante il suo governatorato.

Il consolato e la lotta contro il lusso

La carriera di Catone era ormai lanciata e nel 195 a.C, a soli 39 anni, Catone fu eletto console, assieme al suo amico e patrono Flacco. L’attività di Catone come console fu particolarmente prolifica: Catone si adoperò per limitare il lusso a Roma, che secondo la sua visione stava degradando gli antichi valori dei padri fondatori.

Nel 215 a.C, su richiesta del tribuno della plebe Caio Oppio, fece approvare una legge che limitava il lusso e la stravaganza delle matrone romane, per risparmiare denaro necessario per le operazioni militari. La linea di Catone era durissima: nessuna donna poteva possedere più di mezza oncia d’oro, non poteva indossare indumenti di diversi colori o guidare una carrozza di cavalli a meno di un miglio dalla città.

Dopo la vittoria di Roma contro Annibale vi furono dei tentativi di abolire la legge ma Marco Giunio Bruto e Tito Giunio Bruto si opposero.

La situazione però diventò incandescente: le matrone romane iniziarono ad affollare le strade, bloccarono l’accesso al Foro e chiesero a tutti gli aristocratici di restaurare i tradizionali ornamenti propri delle donne romane. Le signore dell’aristocrazia romana lanciarono continue richieste a pretori, consoli e altri magistrati per l’abrogazione della legge.

Se persino Flacco prese in considerazione l’idea di annullare il provvedimento, Catone rimase totalmente inflessibile, pronunciando un discorso particolarmente duro nei confronti delle matrone romane e dei loro vizi.

Nonostante il suo sforzo, alla fine la legge fu abrogata e le matrone romane sfilarono in processione per le strade di Roma, felici di esibire i loro ornamenti.

Catone in Spagna

Nonostante la sconfitta politica e al termine del suo consolato, Catone si recò nella Spagna Citeriore, dove diede nuovamente prova di duro lavoro e prontezza di spirito.

Viveva sobriamente, condividendo il cibo e le fatiche dei soldati comuni e cercava di sovrintendere personalmente ad ogni tipo di operazione. Molto spesso utilizzò il metodo del “Divide et Impera”, mettendo una tribù contro l’altra o pagando dei mercenari indigeni perché passassero dalla sua parte.

Questo periodo della storia di Catone ci è raccontato da Tito Livio, che riporta diversi aneddoti di una grande durezza, e quasi spietatezza, nei confronti della popolazione. Sembra che Catone abbia più volte condannato tribù sconfitte a spogliarsi di tutte le armi e i vestiti, portando addirittura a suicidi di massa per il disonore, oltre a perpetrare frequenti saccheggi sul territorio.

Probabilmente durante questo periodo, fu coniata da Catone la frase “Bellum se Ipsum alet”, “La guerra si alimenta da sola”, che riassume la sua strategia di alimentare il proprio esercito con le risorse sottratte ai territori conquistati.

Dopo aver ridotto la zona all’obbedienza con il pugno di ferro, Catone si impegnò ad aumentare l’estrazione del ferro e dell’argento dalle miniere. Il Senato, in seguito a questi successi militari ed economici, lo ringraziò con tre giorni di festeggiamenti in suo onore.

Nel 394 a.C, quando tornò nella capitale, fu premiato con il trionfo e in quell’occasione Catone non fu parsimonioso: distribuì gran parte dei premi in denaro che gli spettavano ai suoi soldati.

Il ritorno di Catone Roma riaccese l’inimicizia nei confronti di Scipione l’Africano. Questo, console nel 194 a.C, cercò di ottenere il comando della Spagna, proprio quella dove Catone stava raccogliendo denaro e notorietà. Su questo le fonti sono abbastanza contrastanti: Cornelio Nepote ci dice che Scipione non riuscì ad ottenere il governo della provincia, mentre Plutarco afferma che Scipione fu effettivamente nominato per succedergli ma, poiché Senato non era disposto ad annullare i provvedimenti di Catone, preferì rimanere solo formalmente come governatore, senza impegnarsi concretamente.

Dalla famiglia degli Scipioni giunsero diverse critiche nei confronti dell’amministrazione di Catone, ma egli fu particolarmente bravo a difendersi, sia con la sua magnifica eloquenza, sia dimostrando per filo e per segno l’utilizzo dei soldi pubblici che erano stati impiegati nella gestione della provincia.

Gli avversari: Antioco e Scipione

Ormai vecchio saggio della politica, nel 191 a.C Catone partecipò alla spedizione militare guidata dal console Acilio Glabrione, inviato in Grecia per opporsi all’invasione di Antioco III, il grande Re dell’impero Seleucide. Catone si distinse nella battaglia delle Termopili, che portò alla sconfitta e alla caduta del Re Antioco.

Sembra infatti che Catone abbia guidato un’avanzata piuttosto difficile in territorio nemico, sorprendendo e sconfiggendo un corpo di ausiliari etolici che combattevano per conto di Antioco. In questo modo, Catone avrebbe scatenato il panico nell’avversario, volgendo la battaglia a favore dei romani.

Tutte le fonti antiche, e soprattutto il collega e patrono Flacco, attribuiscono a Catone il massimo merito per la vittoria conseguita e la sua abilità oratoria non fece altro che diffondere e confermare ulteriormente la sua già grande fama militare presso il Senato.

Catone continuò poi ad avversare Scipione l’Africano, soprattutto a livello giudiziario.

Scipione venne infatti accusato di essersi appropriato indebitamente del bottino di guerra del generale Antioco III. Si trattava in realtà di una serie di processi politici, instaurati per eliminare una figura che stava assumendo eccessivo potere, e Catone fece naturalmente parte della fronda anti-scipioniana.

Ma Catone non attaccò Scipione solamente per la questione del denaro: alla base della sua ostilità vi era anche una avversione alla diffusione della cultura ellenica, che invece Scipione appoggiava. Secondo Catone si trattava di un grave pericolo per la tradizionale aspra semplicità dei valori romani.

La vecchiaia: conservatore fino all’ultimo

Negli ultimi anni della sua vita, Catone non ricoprì particolari cariche pubbliche, ma continuò a distinguersi in Senato come ostinato oppositore di qualsiasi nuova idea o tendenza. Attaccò per esempio gli astrologi caldei che, arrivati in Italia da Oriente, stavano esportando le conoscenze greche nell’osservazione delle stelle.

Ancora, chiese più volte al Senato di allontanare filosofi greci come Carneade, Diogene e Critolao, venuti come ambasciatori di Atene, in quanto riteneva che le loro idee fossero pericolose per la tradizione romana.

Nel 157 a.C, partecipò ad una delle ultime missioni della sua vita: fu chiamato ad arbitrare una questione tra i cartaginesi e il Re di Numidia, Massinissa. Il vecchio Catone fu evidentemente impressionato dalla crescente prosperità di Cartagine e si convinse che la sicurezza e il futuro di Roma dipendessero esclusivamente dall’annientamento dell’antica capitale cartaginese. Da quel momento, tutti i suoi discorsi terminavano con la frase, a volte letteralmente urlata dagli scranni del Senato, “Cartago delenda est”, “Cartagine deve essere distrutta”.

L’eredità di Catone il Censore

Il lascito politico e soprattutto morale di Catone è decisamente imponente: protagonista del suo tempo, Catone fu uno degli ultimi irriducibili delle antiche norme romane. La sua figura si staglia, rigida e severa, nel panorama romano della repubblica e costituisce un esempio di assoluta integrità, in un periodo storico dove le nuove tendenze greche, ma soprattutto la dilagante mollezza del ceto dirigente, stava dominando.