Bufale storiche da Roma al Medioevo: miti e menzogne che hanno plasmato civiltà

Chi è appassionato di storia sa che ogni epoca, ogni popolo, persino ogni classe dirigente ha avuto il suo bisogno di raccontare qualcosa di non vero. Non sempre menzogne deliberatamente studiate per ingannare, ma spesso leggende, travisamenti, propaganda e vere e proprie bufale che si insidiano nell’immaginario collettivo, sedimentandosi nei secoli e talvolta segnando il destino di nazioni e civiltà. Le bufale storiche, nate tra la Roma antica e il Medioevo, rivelano quanto la parola possa forgiare una realtà parallela, capace di mutare il corso degli eventi. L’intreccio tra mito e storia produce, ancora oggi, fascino e mistero: non soltanto per ciò che ci racconta di un passato che magari non è mai esistito, ma soprattutto per ciò che scava nella psicologia profonda di una società, nel suo bisogno di greggiarsi intorno a una narrazione.

Iniziando il nostro cammino nella Roma dei Cesari, ci si accorge che la bufala storica non è un fenomeno secondario né una semplice goliardia tramandata tra popolo ed esercito. La propaganda romana era uno strumento di governo cruciale, destinato a consolidare consensi, screditare avversari, legittimare dinastie e giustificare scelte politiche che avrebbero potuto sembrare impopolari senza l’ausilio di una narrazione ben confezionata. L’Impero nacque e si accrebbe anche grazie alle parabole, agli aneddoti e, a volte, alle invenzioni dei suoi storici, retori e poeti. Un caso emblematico è quello della fondazione di Roma, attribuita dai grandi autori antichi a Romolo e Remo, figli di Rea Silvia e di Marte, e dunque di stirpe divina. La testimonianza di Livio e di Virgilio — quest’ultimo nell’Eneide — eleva il mito delle origini a paradigma universale, collegando Roma nientemeno che ad Enea, scampato da Troia: “Figlio di Anchise e di Venere”, eroe consacrato dagli dei che avrebbe impiantato in Lazio la stirpe destinata a fondare l’Impero. La discendenza da Troia non è mai attestata da documenti archeologici o da cronache coeve, eppure per secoli è stata considerata una verità inconfutabile, base imprescindibile del diritto di Roma all’universalità.

Non sorprende che i rivali politici e le fazioni interne avessero fatto largo uso della bufala come strumento di lotta. Nerone, imperatore dai mille volti, divenne nell’immaginario europeo il prototipo della follia, della crudeltà e dell’abuso di potere. La sua leggenda nera nasce soprattutto da testi come quelli di Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Il celebre episodio dell’incendio di Roma nell’estate del 64 d.C. viene associato, spesso a posteriori, a un Nerone che suona la lira mentre la città brucia, incurante della disperazione del popolo. Nella realtà storica, le fonti riscontrano che Nerone al momento dello scoppio delle fiamme non si trovava a Roma, e vi sono testimonianze secondo cui l’imperatore si fece promotore di soccorsi e aiuti alla popolazione, accordando persino il proprio palazzo come rifugio per i dispersi. Eppure, la mascella della bufala storica — all’epoca amplificata da una efficace propaganda senatoria — manipolò l’immagine del sovrano, rendendolo in eterno simbolo del despota piromane.

Anche in campo religioso la Roma antica fu culla e matrice di bufale che avrebbero avuto conseguenze di immane gravità. La cosiddetta calunnia antigiudaica, ovvero il racconto del sacrificio umano compiuto all’interno del Tempio di Gerusalemme, nasce dalla penna di Apione, oratore di Alessandria e acerrimo avversario del popolo ebraico. L’apocrifa narrazione — contenuta nel “Discorso agli Ebrei di Alessandria” e confutata con rigore da Giuseppe Flavio nel suo “Contro Apione” — ricade in pieno nel novero delle bufale costruite ad arte: il sacrificio di uno straniero offerto come rito segreto, in spregio ai costumi, non ha mai trovato riscontri neppure tra le fonti romane più ostili. Eppure, questa menzogna alimentò secoli di diffamazione, provocando persecuzioni e pogrom, e sedimentando uno stereotipo che avrebbe tragicamente segnato la storia europea.

Alcuni storici ritengono che la bufala romana avesse la funzione di cementare la coesione interna attraverso la creazione di nemici esterni o interni. È il caso delle campagne di diffamazione contro gli schiavi ribelli, tra cui Spartaco: la narrazione ufficiale di Appiano e Cassio Dione descrive il gladiatore tracio come un predone senza scrupoli, feroce contro i propri stessi uomini e privo di ideale. Pur esistendo testimonianze di abnegazione e disciplina, il mito negativo di Spartaco avrebbe consentito ai romani di giustificare la repressione spietata e di alimentare la paura di una nuova guerra servile.

Lontano dalla luce ordinata della ragione romana, il Medioevo sviluppa una vera passione per la narrazione fantastica, la mistificazione e la leggenda. Col diffondersi della cristianità e l’indebolimento della centralità politica romana, nei secoli tra VIII e XV secolo si assiste a una proliferazione di storie che confondono il confine tra storia e fiaba. L’analfabetismo diffuso, la scarsissima circolazione delle fonti scritte e una cultura fondata prevalentemente sulla trasmissione orale facilitano la presa di bufale divenute, col tempo, patrimonio universale.

Emblematica è la vicenda della Papessa Giovanna. Secondo la tradizione nata nella Chronica universalis Mettensis, una donna avrebbe, nel IX secolo, raggiunto la somma dignità pontificia travestendosi da uomo, governando la cristianità per alcuni anni e morendo durante una processione a seguito di un parto in pubblico. La leggenda — a cui nessuna fonte antica attribuisce riscontri — diventa celebre nel corso del Medioevo, usata ora per attaccare la corruzione ecclesiastica, ora per difendere l’apertura del sacerdozio alle donne. Il racconto, trascritto soprattutto da autori anticlericali o dissidenti, si consolida nel tessuto della memoria popolare, alimentando dibattiti teologici e diventando soggetto di satire e racconti.

Altro pilastro della bufala medievale è la leggenda del Prete Gianni. Per generazioni si pensò esistesse, nell’Asia remota e poi in Africa, un potentissimo re cristiano, un sacerdote sovrano dotato di smisurate ricchezze, prodigi e poteri magici, capace di venire in soccorso all’Europa cristiana minacciata dalle avanzate musulmane. La leggenda del Prete Gianni, accreditata da lettere apocrife e ripresa in resoconti di viaggio nati quasi sempre dal nulla, fu sfruttata come strumento psicologico di consolazione, rafforzamento e speranza nei momenti di crisi. Eppure le fonti storiche antiche — dalle originali lettere, alle cronache di viaggiatori come Marco Polo — non ne confermano mai l’esistenza concreta: il Prete Gianni resta una costruzione immaginaria, servita spesso ad alimentare ideologie di espansione religiosa e a giustificare le crociate.

Non meno devastanti sono le bufale nate dal bisogno di trovare capri espiatori nelle fasi di emergenza. Con la diffusione della peste nera e di altre epidemie, le cronache medievali sono costellate di menzogne che accusano i “giudei avvelenatori” o gli “untori” di diffondere il contagio per fini inconfessabili. La Historia Ecclesiastica di Beda il Venerabile e i resoconti di Giovanni Villani narrano episodi di avvelenamenti, apparizioni miracolose, prodigi che non trovano il minimo riscontro nelle fonti coeve né nelle testimonianze più attendibili. In questo ambiente nascono e si propagano storie di mostri marini, draghi, santi capaci di compiere miracoli istantanei e reliquie dalle virtù taumaturgiche che, più che edificare la fede, servono spesso a consolidare interessi economici e potere politico.

La bufala medievale ha anche una funzione “positiva”: serve a costruire identità collettive e a dare voce a desideri inconfessati. Pensiamo alle vicende del Martirio di San Lorenzo sulla graticola, raccontato come episodio storicamente attestato, ma in realtà mai documentato dalle fonti più antiche: la leggenda nasce dalla fusione di racconti orali e simbolismi teologici, eppure è sopravvissuta nei secoli, diventando motivo dominante dell’iconografia cristiana occidentale.

Lo stesso vale per la Lancea Longini, la lancia che avrebbe trafitto il costato di Cristo. Menzionata in fonti apocrife e inserita nei grandi cicli della leggenda medievale, la lancia divenne protagonista di numerosi miracoli, apparve in corredi regali e fu usata come pegno di legittimità dinastica o di vittoria militare. La storia, mai confermata dalle fonti evangeliche canoniche, sopravvive nelle cronache e nei racconti d’armi, alimentando una narrazione identitaria e spirituale che sfida ogni verifica storica.

Osservando queste dinamiche, emerge che la bufala storica non è solo menzogna e manipolazione. Essa rappresenta uno strumento sociale che costruisce legami, alimenta paure, giustifica decisioni cruciali, consolida il potere e talvolta mobilita intere popolazioni verso obiettivi collettivi. Roma e il Medioevo insegnano che la menzogna ha una funzione strutturante: spesso la società preferisce una bugia confortante a una realtà scomoda, soprattutto quando i tempi si fanno incerti e minacciosi.

D’altra parte, la bufala genera anche pericoli e tragedie. La diffusione di storie di untori e avvelenatori provocò pogrom, persecuzioni indiscriminate, stermini di minoranze e roghi. Le bufale di Roma diventarono armi di polemica nelle lotte tra senatori, imperatori e popolo. Quelle medievali servirono a legittimare crociate, cacce alle streghe e repressione del dissenso.

Gli storici antichi erano consapevoli del potere della narrazione. Tacito, Svetonio, Cassio Dione e Appiano sapevano modulare il racconto a seconda dell’interesse politico del committente o della comunità di riferimento. Talvolta, come accade nella narrazione della discendenza troiana, il confine fra mito e realtà veniva volontariamente confuso, piegando i fatti all’esigenza celebrativa o ideologica. Lo stesso vale per le cronache medievali, dove la testimonianza si sottomette spesso al bisogno di edificazione morale o di rafforzamento di un’identità separata, come nel caso delle leggende agiografiche dei santi locali.

Le bufale storiche attraversano i secoli e si adattano alle nuove esigenze di ogni epoca. Dal racconto della fondazione di Roma ai miti di Prete Gianni e della Papessa Giovanna, dalle calunnie antigiudaiche ai mostri marini e alle reliquie miracolose, la storia europea è permeata da menzogne che hanno saputo influenzare la politica, la religione, la cultura e persino la scienza. Nel presente siamo tentati di guardare con sufficienza alle bufale antiche, ma la loro lezione è quanto mai attuale. Il meccanismo alla base della formazione di una fake news non è diverso da quello che, duemila anni fa, generava miti e leggende: qualcosa di vero, accresciuto dalla ripetizione, distorto dalla paura o dal bisogno di trovare un capro espiatorio, infine consacrato dalla penna degli storici o dalla bocca degli oratori.

In un’epoca dominata dall’informazione globale e dalla velocità di circolazione delle idee, la riflessione sulle bufale storiche ci invita a un esercizio critico fondamentale. Il lettore consapevole sa che la storia si costruisce anche sulle menzogne, ma che solo la verifica, il confronto e la capacità di interrogarsi possono proteggere la società dal pericolo di nuove manipolazioni. L’eredità delle grandi bufale di Roma e del Medioevo non è soltanto una serie di episodi curiosi o di miti da sfatare. È la consapevolezza che la verità è spesso fragile, controcorrente, difficile da affermare. La menzogna invece cresce spontaneamente, alimentata dalla paura, dalla speranza o dalla necessità di rassicurare una comunità in crisi.

Chi osserva oggi le cronache contemporanee e sorride pensando alle leggende medievali o alle fake news romane, dovrebbe forse riscoprire il monito conclusivo degli storici antichi: «La storia è fatta di narrazioni, la verità solo di fatti». Una meditazione che risuona anche al termine del nostro viaggio, invitando il lettore a coltivare il dubbio, la ricerca e la memoria critica come antidoti a ogni bufala. In fondo, le leggende tramandate dai nostri antenati non sono soltanto menzogne: sono le radici profonde di una cultura, le tracce della continua lotta tra verità e finzione, fra ragione e sentimento. E questa lotta ci riguarda ancora, ogni giorno.

Fonti (edizioni ufficiali inglesi di testi antichi):

  • Tacitus, Annals, traduzione di Alfred John Church e William Jackson Brodribb, Londra 1876.
  • Cassius Dio, Roman History, traduzione di Earnest Cary, Harvard University Press.
  • Suetonius, The Twelve Caesars, traduzione di Robert Graves, Penguin Classics.
  • Bede, Ecclesiastical History of the English People, traduzione di Leo Sherley-Price, Penguin Classics.
  • Chronicle of the Universal Church of Metz (Chronica universalis Mettensis), traduzione integrale in “Monumenta Germaniae Historica”.
  • Letters of Prester John, traduzione di Keagan Brewer, Routledge Medieval Translations.