La battaglia dell’Orcomeno è uno scontro tenutosi in Beozia nell’86 a.C., e vide contrapposti l’esercito romano, capeggiato da Lucio Cornelio Silla, e l’esercito del re del Ponto Mitridate VI, cui erano a capo i comandanti Archelao e Dorilao. E’ una battaglia che mette a confronto il mondo orientale con quello occidentale: non solo pensieri differenti ma anche modi di fare la guerra diversi.
La situazione in Oriente
Mitridate VI, il re del Ponto, dimostra in quel periodo piene mire espansionistiche nei confronti dell’Anatolia, quella che può essere definita l’attuale Turchia. L’obiettivo di Mitridate è conquistare nuovi territori per allargare il suo regno e consolidare il suo potere.
A suo favore, Mitridate VI può sfruttare un punto debole importante dei romani: il malcontento delle province orientali. I cittadini erano stanchi delle vessazioni dei romani e in particolare delle tasse imposte dai pubblicani, ritenute ormai fuori controllo.
Il re del Ponto si presentò infatti alla gente come un “liberatore”, e sfruttando in egual modo diplomazia e forza , riuscì a portare le province ad una ribellione, con moti di violenza mai visti prima nei confronti dei coloni italici presenti nei territori.
Sono circa 80 mila le persone che vennero barbaramente trucidate per la sola colpa di essere romani o italici. A Oriente si configurava così una situazione di grave pericolo per la sopravvivenza della repubblica di Roma.
La situazione a Roma
Anche a Roma e in Italia non regnava affatto la tranquillità: si era appena conclusa la guerra sociale. Gli alleati italici che avevano sostenuto Roma nel corso delle guerre degli ultimi secoli non venivano rappresentati nel Senato e la questione aveva assunto proporzioni sempre maggiori fino a sfociare in un conflitto che sconvolse l’Italia.
Al termine della guerra, Roma decise di concedere la cittadinanza agli Italici ma la situazione rimaneva ancora grave per via della guerra civile in corso tra Caio Mario, rappresentante della fazione dei populares, e Cornelio Silla, il leader dell’aristocrazia senatoria.
Il punto più drammatico del conflitto fu l’entrata di Silla in Roma con l’esercito: un atto gravissimo.
Dopo aver preso il controllo della città con la forza, Silla cercò di ricostruire lo Stato romano e lasciò che si tenessero elezioni libere per riportare il Senato e l’intera organizzazione dello Stato al suo normale funzionamento.
E’ in questo scenario che Silla fu costretto a intervenire, nonostante tutto, anche in Oriente, dove venne scelto come generale capo della campagna contro Mitridate VI, per riprendere il controllo delle province orientali.
Il viaggio di Silla e il saccheggio di Atene
Per raggiungere Mitridate VI e le province orientali, Silla partì da Roma e raggiunse Capua dove mise insieme un esercito di grandi proporzioni: l’attuale Campania era a quei tempi una sorta di “serbatoio di legionari” dal quale Silla ottenne ben 5 legioni. Una volta raccolti i suoi uomini, Silla salpò per la Grecia, dove mise in atto le prime strategie per affrontare il suo nemico.
Pur non compiendo una strage su larga scala, Silla prese di mira la città di Atene, alleata del re orientale, e la assediò, sia per rappresaglia sia per utilizzarla come avamposto per le sue necessità logistiche.
Va detto che Silla riservò un trattamento molto duro alla città di Atene, lasciando ai legionari la libertà di uccidere migliaia di persone, di saccheggiare i tesori, e richiedere un riscatto elevato alla popolazione. La battaglia tra le due parti proseguì anche presso il Pireo, il porto di Atene, dove Silla ottenne una vittoria completa.
Il principale generale di Mitridate, Archelao, fuggì a questo punto verso la Beozia, nei pressi di Cheronea, dove avverrà una prima battaglia e presso l’Orcomeno, dove si svolgerà lo scontro finale.
La resa dei conti e lo scontro armato
Il primo scontro avvenne nei pressi della città di Cheronea, dove a combattere furono le truppe pontiche di Archelao e Mitridate contro quelle romane di Silla.
In quel luogo, il generale romano riuscì a vincere grazie all’occupazione del monte Thurium, che gli concesse un punto elevato rispetto al piano della battaglia, oltre all’utilizzo di una riserva tattica di uomini che diede un impulso decisivo allo scontro.
Dopo la disfatta di Cheronea, Archelao poteva contare solo sulle truppe che si erano salvate. Fu allora che il generale si accorse che sopra la piccola cittadina di Orcomeno si stagliava una pianura molto larga, perfetta per dispiegare la sua cavalleria. La presenza di profonde paludi alle sue spalle lo fece inoltre sentire ragionevolmente sicuro di non poter essere attaccato alle spalle.
Quando Silla, inseguendo il nemico, raggiunse la pianura, decise di porre il suo accampamento davanti a quello di Archelao e ordinò ai suoi uomini di scavare due grandi fossati ai lati di quello del nemico. Queste due fosse molto profonde e molto lunghe dovevano impedire alla cavalleria di Archelao di dispiegarsi come dovrebbe per combattere: in questo modo il generale pontico sarebbe stato privato di uno dei suoi principali punti di forza.
Allo stesso tempo Silla, a scopo precauzionale, dispose dei legionari a protezione dei commilitoni che stavano scavando.
La frenetica operazione romana, fu però scoperta da Archelao che lanciò il suo esercito contro i romani.
Si tratta di un momento molto difficile della battaglia per Silla: gli uomini di Archelao attaccarono con tutta la loro forza, mandando nel panico le truppe romane e spingendo alcuni soldati alla fuga. Per Silla la battaglia di Orcomeno rischiava di trasformarsi in una disfatta.
Il generale decise di prendere direttamente in mano la situazione. Racconta Plutarco, che Silla scese da cavallo e giunto sul luogo della battaglia, afferrò un’insegna e si fece spazio attraverso i fuggitivi in direzione dei nemici urlando:
“Possa avere io, o Romani, una morte onorevole qui, ma voi quando vi chiederanno dove avete abbandonato il vostro comandante ricordatevi di dire loro: a Orcomeno”.
Questo bastò per far ritornare sul campo di battaglia coloro che avevano tentato la fuga.
La riscossa romana e la vittoria
Silla riprese appena in tempo il controllo dei suoi uomini e le sue truppe sembrarono ritrovare il vigore, riuscendo a respingere il contingente di Archelao nel loro accampamento. Nel corso della stessa giornata, Archelao operò un secondo tentativo di sfondare le costruzioni romane, ma i legionari erano stati disposti in maniera solida e ben strutturata.
Quella stessa notte, l’intero esercito dei pontici si preparò ad affrontare una situazione disperata.
Il mattino dopo, Silla dispiegò i suoi soldati ai lati dell’accampamento di Archelao a chiudere ogni via di uscita. Si può dire che quasi non vi sia stato scontro: si racconta che un tribuno, avvicinatosi alle fortificazioni, uccise una sentinella e spronò l’esercito romano a fare irruzione, compiendo una vera e propria strage.
Secondo Plutarco e altri autori del tempo, la carneficina fu così grande che la palude posizionata dietro l’accampamento, ancora due secoli dopo la battaglia, continuava a restituire alla terraferma elmi, scudi e armi dei morti.
Le conseguenze
Dopo le vittorie di Cheronea e Orcomeno, i romani ripresero il controllo delle province romane ricostituendo la loro sfera di influenza ridimensionando Mitridate VI.
Un atto possibile sì grazie alle vittorie ottenute sul campo, ma soprattutto grazie alla riforma del sistema fiscale nelle province orientali che riuscirono a risolvere alla base il malcontento che era dilagato nei territori delle colonie.
È un esempio ulteriore di come Roma, per l’ennesima volta, abbia risolto i propri problemi non solo attraverso la forza militare, ma anche con delle profonde riforme strutturali.