La battaglia di Mosca (30 set 1941 – 20 apr 1942) è un conflitto all’interno dell’operazione Barbarossa, portata avanti dall’esercito della Wermacht tedesca con l’obiettivo di conquistare l’Unione Sovietica e la sua capitale. A fronte di due linee di difesa approntate dal Generale Zhukov, i tedeschi eseguirono ripetuti attacchi a tenaglia tramite la tecnica della Blitzkrieg. Tuttavia, la carenza di rifornimenti, il freddo e il contrattacco sovietico portarono al fallimento dell’operazione militare e al ritiro dell’esercito tedesco.
L’operazione Barbarossa
Il 22 giugno del 1941, le forze armate tedesche avviarono la cosiddetta “Operazione Barbarossa”, volta all‘invasione dell’Unione Sovietica. In circa tre settimane, grazie ad una straordinaria rapidità di movimento, i tedeschi conquistarono la Bielorussia e la più occidentale delle città dell’Unione Sovietica, Smolensk.
Giunti in prossimità dei confini sovietici, Adolf Hitler diede ordine di deviare la gran parte delle forze militari verso sud, per intercettare l’esercito sovietico in marcia verso Kiev: alcuni suoi generali fra cui Franz Halder e il feldmaresciallo Walther von Brauchitsch, non erano d’accordo, e suggerirono di puntare immediatamente verso Mosca, prima che il freddo dell’inverno potesse complicare le operazioni.
Hitler, ignorando i loro consigli, proseguì verso sud, arrivando alla “Battaglia della Sacca di Kiev”, che si concluse con la vittoria tedesca ma che fece perdere alla Wermacht del tempo prezioso.
Solamente il 6 settembre venne dato l’ordine di attaccare Mosca e il 30 dello stesso mese iniziò l'”Operazione Tifone”. Al comando della missione vi era il Feldmaresciallo Fedor von Bock, con 1.5 milioni di soldati, 1500 carri armati e cannoni di assalto, 14000 pezzi di artiglieria e più di 500 aerei della Luftwaffe, l’aviazione tedesca.
L’Unione Sovietica, guidata da Iosif Stalin, e dal suo miglior generale, Georgy Zhukov, poteva contare su 1.2 milioni di soldati, 2000 carri armati, 7600 pezzi di artiglieria e 900 aerei, più altri 500 riparabili in breve tempo.
Il piano di attacco tedesco
Il piano di attacco tedesco partiva dalla città di Smolensk e prevedeva di raggiungere Mosca, posizionata a 300 km di distanza. I sovietici avevano elaborato due linee di difesa: la prima attraversava le città di Rzev e di Vyazma, e la seconda faceva perno sulla città di Mozajsk.
I tedeschi, sul fronte Nord, intendevano utilizzare un attacco a tenaglia ai danni della città di Vyazma, per conquistare il centro della prima linea di difesa, mentre nel settore sud-occidentale puntarono verso la città di Orel per risalire verso Tula, in modo da sfondare da Sud.
Nel frattempo altri corpi di armata tedeschi avrebbero dovuto neutralizzare delle armate sovietiche posizionate lì dintorno, nel cosiddetto “Settore Briansk”. Infine delle armate di Fanteria sarebbero rimaste indietro a coprire la zona centrale, per evitare contrattacchi.
La seconda parte del piano di attacco tedesco, se le linee sovietiche fossero state distrutte come pianificato, prevedeva poi di partire dalla città di Vyazma per sfondare la linea di difesa di Mozajsk, e attaccare Mosca da settentrione, mentre dal settore Briansk sarebbe partito l’attacco da sud verso la capitale nemica.
Uno dei problemi principali dell’esercito tedesco, chiaro fin da subito, era il rifornimento di cibo, carburante e ricambi per i mezzi. Le basi di rifornimento erano in Polonia, e ogni giorno 30 treni carichi di vettovaglie dovevano raggiungere i confini dell’Unione Sovietica.
Inoltre, dal momento che la distanza tra i binari nei pressi dell’URSS era differente da quella in uso in Europa, i treni, giunti ai confini sovietici, non potevano proseguire: dovevano essere puntualmente scaricati dal loro contenuto e il materiale ricaricato su altrettanti treni per raggiungere i reparti tedeschi sparsi sul territorio.
Nonostante questa pesante difficoltà logistica, il morale dei soldati era alto e i tedeschi erano sicuri della loro tattica, la “Blitzkrieg“, una tecnica basata sulla combinazione di fanteria, mezzi meccanizzati ed aviazione, che attaccava con estrema rapidità l’avversario, per circondarlo ed inserirlo all’interno di “sacche”, da eliminare successivamente.
Il primo attacco tedesco: destinazione Vyazma
Il primo attacco tedesco eseguì una manovra a tenaglia, da nord e da sud contemporaneamente, ai danni della città di Vyazma. Il 10 ottobre, i tedeschi erano giunti presso Vyazma e furono in grado di insaccare ben quattro armate sovietiche. Queste si difesero con grande forza, tanto che furono necessarie 28 divisioni dell’esercito tedesco per annientarle.
Questo fece perdere tempo ai tedeschi, mentre nel frattempo la capitale Sovietica venne rinforzata con nuove trincee, oltre all’arrivo di nuove divisioni a rinforzo: dalla Siberia orientale giunsero nuovi corpi di fanteria e di carri armati.
Nel bel mezzo delle operazioni, il 7 ottobre, cominciò a nevicare, formando un pantano fangoso noto come Rasputitsa, che rallentò la marcia dei tedeschi. I russi poterono quindi riorganizzarsi e contrattaccare.
Presso la città di Mtsensk, un’imboscata sovietica ai danni del Panzergruppe quattro, annientò i tedeschi. I Panzer vennero attaccati a sorpresa dei carri armati russi, i T-34, nascosti nei boschi. Questa disfatta impressionò fortemente il comando tedesco, che si rese conto come i loro carri armati fossero di qualità e di resistenza inferiore rispetto a quelli sovietici.
Il morale era basso, tanto che il 9 ottobre, il ministero della propaganda tedesco diffuse una serie di volantini per rassicurare la popolazione e i soldati, assicurando che la battaglia stava per essere vinta, e che entro Natale gli uomini sarebbero tornati a casa.
Il secondo attacco tedesco verso Mozajsk
I tedeschi, nonostante le difficoltà, erano riusciti a superare la prima linea di difesa. Così il generale Žukov, pensò di rinforzare la seconda linea di difesa con 90mila soldati. Dal momento che questi, a fronte delle centinaia di chilometri da coprire, erano insufficienti, il generale preferì concentrare le sue forze in quattro punti strategici: Volokolamsk, Mozajsk, Malojaroslavec e Kaduga.
Nel frattempo, la capitale Mosca si preparava ad un assedio diretto. 250.000 donne, in poche settimane e con pochi strumenti, movimentarono 3 milioni di metri cubi di terra per scavare trincee attorno alla città. Le industrie e le officine vennero riconvertite per scopi militari e i vigili del fuoco si impegnarono per tenere la città al sicuro dagli incendi.
Il 13 e 14 ottobre vi fu la seconda offensiva tedesca. Di nuovo si verificò una manovra a tenaglia ai danni della città di Mozajsk: il 18 la città venne conquistata dai tedeschi e nei giorni successivi caddero anche Narofominks e Volokolansk.
Nel settore sud occidentale i risultati per la Wermacht furono minori: le colonne tedesche in marcia verso la città di Tula vennero sorprese dal maltempo e si arrestarono. Nel frattempo, dalla stessa città partì una controffensiva che mise in grave crisi l’esercito tedesco, tanto che il giorno 31 giunse l’ordine di arrestarsi e di rimanere sulle proprie posizioni.
Per la prima volta, verso la fine di ottobre 1941, Adolf Hitler iniziò a nutrire dei dubbi sulla riuscita della campagna: i suoi soldati erano completamente esausti e avevano ancora le divise estive di inizio settembre, mentre il meteo prevedeva parecchie decine di gradi sotto lo zero.
Stalin si sentiva invece più sicuro, perché i suoi soldati erano meglio difesi e più caldi. Addirittura, in occasione della ricorrenza del 14 ottobre, si organizzò nella Piazza del Cremlino la classica parata dell’Armata Rossa, dimostrando alla popolazione tutta la potenza dell’esercito sovietico.
Convinto delle sue forze, Stalin ordinò una controffensiva contro i tedeschi. Il generale Žukov non fu assolutamente d’accordo, ritenendo che i sovietici non potessero sostenerlo, ma Stalin si impose. La controffensiva, dando perfettamente ragione al generale Žukov, non ebbe effetto, e a parte una isolata vittoria presso Alexino, i tedeschi furono in grado di neutralizzare l’attacco nemico.
La terza offensiva tedesca: ad un passo da Mosca
Tra il 31 ottobre e il 15 novembre venne organizzata una nuova offensiva, la terza. Questa volta però i generali sovietici avevano capito come combattere il nemico, ed avevano fatto esperienza delle migliori tecniche per neutralizzare la Blitzkrieg.
Su Mosca vennero approntati tre anelli concentrici di difesa e posizionata artiglieria e unità di genieri per le principali strade attraverso le quali sarebbe dovuto passare l’esercito tedesco.
I tedeschi, nel frattempo, concepirono una nuova manovra a tenaglia. L’esercito doveva partire dal centro del fronte occidentale, salire verso la città di Kalinin, dirigersi verso Solnečnogorsk e attaccare Mosca da settentrione, mentre nel settore sud occidentale a partire da Tula bisognava raggiungere le città di Kascira e poi di Kolomna, per attaccare Mosca da sud.
Il 23 novembre, iniziarono le operazioni. La furia dei tedeschi gli permise di conquistare Kalinin e Solnečnogorsk: Stalin fu impressionato dall’attacco, tanto che domandò a Žukov se l’esercito fosse in grado di sostenere i tedeschi.
Žukov rispose che l’Armata Rossa poteva difendersi a patto di ricevere entro breve dei nuovi rifornimenti. Il 27 novembre, alcune isolate divisioni tedesche arrivarono a poche decine di chilometri da Mosca. La settima divisione Panzer conquistò una testa di ponte a 35 km dal Cremlino, ma fu neutralizzata dalla Prima Armata d’assalto Sovietica.
A nord-ovest, i tedeschi raggiunsero la città di Krasnaia Poliana, a soli 29 km da Mosca, ma i reggimenti erano ormai a ranghi estremamente ridotti, e non ebbero la forza di attaccare la capitale.
Nel settore sud-occidentale, il generale Heinz Guderian, con il secondo gruppo Panzer, voleva conquistare la città di Kascina, presso la quale risiedeva il quartier generale dell’intero fronte occidentale sovietico. Tuttavia, il primo corpo di cavalleria, la 112ma divisione carri armati, la 1a brigata corazzata e un battaglione di lanciarazzi Katiuscia, con il supporto dell’aviazione Sovietica, furono in grado di fermare l’avanzata di Guderian.
Il 30 novembre, le condizioni meteorologiche erano diventati estreme: il generale Von Bock scrisse a Berlino che si erano toccati -45 gradi, mentre Žukov segnava – 10. Comunque, si verificarono 130 mila casi di congelamento fra i soldati tedeschi, mentre i mezzi impiegavano ore per essere riscaldati prima di potersi accendere, tanto che Guderian, nei suoi diari, cominciò ad ammettere la sconfitta dell’esercito tedesco.
“L’offensiva su Mosca è fallita. Abbiamo sottovalutato il nemico, la sua grandezza e il clima”
Dai diari del Gen. Guderian
I sovietici, riuscivano invece a utilizzare l’equipaggiamento dei soldati caduti, coprendosi meglio e resistendo più efficacemente ai rigori dell’inverno. Secondo alcuni storici, i sovietici eseguirono anche delle inondazioni programmate per rinnovare quella fanghiglia che avrebbe potuto arrestare l’esercito tedesco.
La controffensiva sovietica e il ritiro tedesco
All’inizio di dicembre, i servizi segreti tedeschi ritenevano che i sovietici avessero finito i rinforzi. Così decisero di lanciare una nuova offensiva. Ma Stalin li colse di sorpresa. Ritenendo che il Giappone, in guerra con l’Unione Sovietica, fosse comunque impegnato militarmente contro gli Stati Uniti e non potesse costituire un pericolo immediato, decise di dirottare una vasta serie di forze verso Mosca.
18 divisioni di Fanteria, 1700 carri armati e 1500 aerei rinforzarono in maniera efficace l’esercito sovietico che arrivò, grazie ad una disposizione tattica efficace, ad essere in rapporto di 2:1 contro i tedeschi.
Così, venne lanciata la controffensiva Sovietica che riconquistò in poco tempo le città di Solnečnogorsk e di Klinn, cacciando indietro i tedeschi con grande efficacia.
Informato della situazione, Hitler diede ordine di mantenere le proprie posizioni, contrariamente ai suoi generali, che cercavano di convincerlo dell’impossibilità delle sue disposizioni. In realtà i generali diedero, disattendendo gli ordini di Hitler, il permesso ad un ritiro parziale per gran parte dell’esercito.
Il 20 dicembre 1941, si tenne però una nuova riunione tra Hitler e i suoi generali dove il Führer confermò il suo ordine di mantenere la posizione, anche “scavando delle trincee e utilizzando dei proiettili di obice usati per rimuovere la terra”.
I generali Gudorian e Von Block vennero rimossi dall’incarico
Ormai però, i soldati tedeschi non potevano più tenere le posizioni, tanto che Žukov fu in grado di provare, senza però riuscirci, ad accerchiare per due volte i contingenti della Wermacht.
Le conseguenze per la guerra
La controffensiva sovietica portò i soldati tedeschi a 250 km, quasi la stessa distanza da cui era partita l’operazione “Tifone”. Era chiaro che l’esercito tedesco non avrebbe mai conquistato Mosca.
Nonostante ciò, l’Unione Sovietica rimase fortemente impressionata e mantenne tutti i soldati sulle loro posizioni mentre Hitler, furioso, prese il comando personale dell’esercito, sostituendo tutto il suo capo di stato maggiore con giovani generali, inesperti.
Successivamente, Stalin, imbaldanzito dalla vittoria e sempre contro il parere di Žukov , decise di lanciare una nuova offensiva ai danni dei tedeschi, utilizzando un esercito comunque allo stremo delle forze. Si arrivò così alla seconda battaglia di Ržev (Gennaio-Febbraio 1942), chiamata anche “Tritacarne”, in quanto i sovietici vennero ripetutamente sconfitti e decimati per l’assurda decisione di Stalin.
Così, i tedeschi avrebbero potuto eseguire a loro volta un contrattacco, che avrebbe portato alla battaglia di Stalingrado.