La battaglia di Cartagine (149-146 a.C) o distruzione di Cartagine è il principale ed ultimo scontro della terza guerra punica, combattuta tra Cartagine e Roma. Dopo quasi tre anni di assedio, i romani conquistarono la città e la rasero al suolo, determinando la scomparsa definitiva dell’impero cartaginese.
Nel 149 a.C un grande esercito romano sbarcò nei pressi di Utica, in Nord Africa. I cartaginesi nutrivano la speranza di poter placare l’ira dei romani, ma nonostante avessero ceduto tutte le loro armi, i romani continuarono con l’assedio.
La campagna militare romana subì alcune battute d’arresto fino al 149 a.C, quando il generale Scipione Emiliano, nonostante due iniziali sconfitte, riuscì a stringere definitivamente d’assedio la città, bloccando il suo porto ed impedendo che a Cartagine arrivassero ulteriori rifornimenti.
I cartaginesi, nel frattempo, avevano parzialmente ricostruito la loro flotta, con sorpresa dei romani, ma questi risposero con la costruzione di una enorme struttura in muratura nella zona portuale. Nella primavera del 146 a.C, i romani lanciarono il loro ultimo assalto e nell’arco di sette giorni distrussero la città e ne uccisero gli abitanti.
In un solo giorno vennero fatti 50.000 prigionieri, tutti venduti come schiavi. I territori che appartenevano ai cartaginesi divennero ufficialmente la provincia romana d’Africa, con capitale Utica. Solo un secolo dopo, il sito di Cartagine sarebbe stato ricostruito, sul modello delle città romane.
La battaglia di Cartagine: lo scenario di guerra
Cartagine e Roma avevano combattuto la seconda guerra punica per 17 anni, tra il 218 e il 201 a.C, che si era conclusa con una piena vittoria romana. Il trattato di pace imposto ai cartaginesi li aveva privati di tutti i territori d’oltremare e di alcune vaste zone dell’Africa del nord.
I cartaginesi dovevano pagare l’esorbitante cifra di diecimila talenti di argento in un periodo di 50 anni. Oltre ciò, Cartagine dovette consegnare un nutrito numero di ostaggi, aveva il divieto di possedere elefanti da guerra e la sua flotta venne limitata a non più di 10 navi. I cartaginesi non potevano inoltre dichiarare guerra senza l’esplicito permesso di Roma.
Molti aristocratici cartaginesi furono riluttanti ad accettare condizioni di pace così dure, ma Annibale convinse il Senato cartaginese all’accordo con i romani, che venne ratificato nella primavera del 201 a.C.
D’ora in poi, era chiaro che Cartagine era politicamente subordinata a Roma.
Alla fine della guerra, l’alleato romano Massinissa divenne il sovrano più potente tra i Numidi, il popolo indigeno dominante nel Nord Africa, ad ovest dell’Egitto.
Massinissa approfittò ripetutamente della debolezza di Cartagine per estendere i suoi possedimenti a danno dei punici. Ogni volta che Cartagine richiedeva l’intervento di Roma per limitare l’espansione di Massinissa o in alternativa il permesso di intraprendere un’azione militare, Roma sosteneva sistematicamente il suo alleato.
Così, le incursioni e le devastazioni di Massinissa nel territorio cartaginese divennero sempre più evidenti. Nel 151 a.C, ormai sfiancata ed incapace di sopportare oltre, Cartagine organizzò un grande esercito, comandato dal generale Asdrubale e, senza il permesso di Roma, attaccò i Numidi. La campagna si risolse in un disastro e l’esercito cartaginese si arrese, contando innumerevoli morti.
Asdrubale fuggì a Cartagine e, nel tentativo di placare la prevedibile ira di Roma, il Senato lo incarcerò per poi giustiziarlo.
In realtà Cartagine aveva pagato la sua indennità, e non rappresentava più una minaccia militare per Roma. Tuttavia, diversi aristocratici all’interno del Senato romano desideravano da tempo la completa distruzione di Cartagine ed utilizzarono la loro iniziativa contro i Numidi, svolta senza il preventivo permesso di Roma, come pretesto per organizzare una spedizione punitiva.
Le ambasciate cartaginesi tentarono fino all’ultimo di negoziare con Roma, ma quando la grande città portuale di Utica passò dalla parte dei romani, nel 149 a.C, la guerra divampò nuovamente.
Nel 149 a.C, un numeroso esercito romano sbarcò ad Utica sotto il comando dei Consoli Manio Manilio e Lucio Censorino. I cartaginesi inviarono immediatamente una ambasciata: i consoli romani chiesero che gli venissero consegnate tutte le armi, cosa che i cartaginesi, seppur con grande riluttanza, fecero.
Le fonti antiche ci parlano di 200.000 armature e 2000 catapulte consegnate da Cartagine ad Utica, in atto di sottomissione. Inoltre, tutte le navi da guerra cartaginesi salparono per Utica, dove vennero bruciate dai romani.
Ma Cartagine, una volta completamente disarmata, ricevette un ulteriore ordine dei consoli romani.
I cittadini dovevano abbandonare la capitale e trasferirsi a circa 16 km dal mare. Cartagine sarebbe stata distrutta. Di fronte a questa minaccia, i cartaginesi abbandonarono i negoziati e si prepararono a difendere con le ultime forze la loro città.
La battaglia di Cartagine: le forze in campo
La città di Cartagine era molto grande, con una popolazione stimata di 700mila abitanti. Era fortificata da oltre 35 km di mura e a difendere l’ingresso principale vi era una tripla linea di difesa, con un muro di mattoni largo 9 metri ed alto 20. Inoltre, vi era un fossato ampio 20 m.
All’interno della città si trovava una caserma in grado di contenere 24000 soldati. La città disponeva in realtà di poche fonti d’acqua sotterranee ma aveva un complesso sistema per raccogliere l’acqua piovana e un grande numero di cisterne per immagazzinarla.
I cartaginesi riuscirono a costituire un nuovo esercito, liberando tutti gli schiavi disposti a combattere per difendere la città. Venne così realizzato un contingente di 30.000 uomini, posto sotto il comando del generale Asdrubale, che fu appositamente liberato dalla cella dove attendeva la condanna a morte.
I romani, invece, potevano contare su una forza tra i 35.000 e i 46.000 fanti, oltre a 4000 cavalieri
La battaglia di Cartagine: i tentativi dei romani e le sortite dei cartaginesi
L’esercito romano realizzò due primi attacchi contro Cartagine, tentando di scalare le mura della città, ma dopo essere stato respinto entrambe le volte, dovette organizzare un assedio in piena regola.
Asdrubale rinforzò sempre di più il suo esercito, continuando ad attaccare le linee di rifornimento romane. I romani reagirono costruendo due arieti di grandi dimensioni per abbattere un primo tratto di mura. Riuscirono a creare una breccia e ad assaltarla, ma mentre si arrampicarono vennero respinti dalle sentinelle dei cartaginesi.
In realtà, i romani sarebbero stati decimati, se non fosse stato per l’intervento di Scipione Emiliano, che occupava una posizione militare di medio rango nota come “Tribuno”. Piuttosto che unirsi all’attacco, come gli era stato ordinato, Scipione si era tenuto a distanza, nei pressi di un muro parzialmente demolito e in questo modo riuscì a respingere le sortite dei cartaginesi che stavano inseguendo i romani.
Nel frattempo, l’accampamento dei romani venne spostato, in quanto era stato inizialmente posizionato vicino a paludi che rendevano l’atmosfera malsana. Tuttavia, la nuova posizione dell’ accampamento non era molto ben difendibile, e i cartaginesi riuscirono ad infliggere diverse perdite ai legionari, attaccandoli con la loro artiglieria.
Inoltre, i cartaginesi lanciarono un attacco notturno contro l’accampamento di Manilio: le perdite furono importanti, ma vennero nuovamente limitate dalla pronta azione di Scipione l’Emiliano.
I romani, rendendosi conto della complessità della situazione e della pericolosità delle sortite dei cartaginesi, risposero aumentando le fortificazioni a protezione dei loro accampamenti.
La battaglia di Cartagine: le mosse diplomatiche dei cartaginesi
Nel 148 a.C, i romani elessero due nuovi consoli ma solamente uno di loro venne inviato in Africa, si trattava di Calpurnio Pisone. Lucio Mancinio, comandava invece la flotta come suo subordinato.
L’assedio di Cartagine ricominciò, e i romani tentarono di conquistare le altre città cartaginesi nell’area, fallendo.
Nel frattempo, muovendosi anche sul piano diplomatico, Asdrubale prese l’assoluto comando di tutte le operazioni ed inviò dei messaggeri per contattare gli avversari Numidi di Massinissa. Una capo numida giunse ai cartaginesi con un contingente di 800 cavalieri, pronto ad aiutare Asdrubale.
Cartagine strinse inoltre un’alleanza con Andrisco, un pretendente al trono macedone, che invase la macedonia romana e sconfisse l’esercito che era lì di stanza, facendosi incoronare Re e dando il via alla quarta guerra macedone. In questo modo, Asdrubale sperava di distrarre i romani aprendo dei nuovi fronti di guerra, confidando che avrebbero tolto l’assedio a Cartagine.
La battaglia di Cartagine: il comando a Scipione l’Emiliano e lo scontro nel porto
Nel 147 a.C, Scipione Emiliano intendeva candidarsi alle elezioni per diventare un edile, una carica che sarebbe stata naturale per i suoi 36 anni. Purtroppo, era troppo giovane per ottenere il consolato, per il quale l’età minima richiesta era di 41 anni.
Ma il popolo, che stava riconoscendo le sue capacità militari, chiese di nominarlo ugualmente Console e di affidargli l’incarico di portare a termine la guerra africana.
Il Senato, constatando le pressanti richieste dei cittadini romani, mise da parte il regolamento e lo nominò console. In realtà, vi erano notevoli manovre politiche dietro queste nomine, molte delle quali non ci sono note, e non sappiamo quanto Scipione abbia orchestrato il risultato. In ogni caso, Scipione Emiliano ottenne il comando unico della guerra in Africa, con il diritto di arruolare tutti gli uomini che desiderava per concludere l’assedio di Cartagine.
Nel frattempo, Mancinio colse un’inaspettata opportunità per passare attraverso il porto di Cartagine e penetrare in città con 3500 dei suoi soldati. Mancinio inviò immediatamente dei messaggi chiedendo rinforzi, credendo che fosse finalmente vicino alla vittoria.
Ma quella stessa sera, Scipione sbarcò ad Utica per prendere il suo posto ed arrivò giusto in tempo per salvare le forze di Mancinio, che erano state espulse da un contrattacco cartaginese e stavano per essere annientate.
Scipione trasferì l’accampamento principale dei romani più vicino a Cartagine, anche se era costantemente sotto il tiro di un distaccamento cartaginesi di ottomila soldati.
Scipione tenne un importante discorso, chiedendo ai suoi uomini una disciplina più rigida ed allontanando quei soldati che considerava mal disciplinati o scarsamente motivati.
Dopodiché, guidò una marcia notturna per attaccare un punto debole nelle mura di Cartagine. Passati attraverso una breccia, 4000 romani entrarono in città. Presi dal panico, nel bel mezzo della notte, i difensori cartaginesi, dopo un’iniziale resistenza, iniziarono a fuggire. Tuttavia, Scipione valutò che la sua posizione sarebbe stata indifendibile una volta che i cartaginesi si fossero riorganizzati alla luce del giorno, e con grande lungimiranza, decise di ritirarsi.
Asdrubale, sconvolto dal modo con cui le difese erano state violate, fece torturare a morte i prigionieri romani che erano stati catturati sulle mura, e le esecuzioni furono compiute alla vista dell’esercito romano, a titolo dimostrativo. In questo modo, Asdrubale contava di rafforzare l’animo dei cartaginesi, ma da questo momento in poi non vi fu più alcuna possibilità di trattativa o addirittura di resa.
Alcuni membri del Senato cartaginese denunciarono le azioni di Asdrubale, ma egli fece mettere a morte anche loro e mantenne il pieno controllo della città.
Scipione ritornò a stringere Cartagine d’assedio, impedendo ogni rifornimento via terra. Esisteva tuttavia un piccolo passaggio marittimo, attraverso il quale la città continuava a ricevere rinforzi. Così, Scipione diede ordine di costruire un immenso molo per bloccare interamente l’accesso al porto.
Vedendo la progressione dei lavori, i cartaginesi risposero creando un nuovo canale per accedere ugualmente al mare. A loro disposizione vi era una nuova flotta di 50 triremi, delle navi da guerra di medie dimensioni particolarmente manovrabili a remi, oltre ad un gran numero di navi più piccole. Una volta completato il canale, la nuova flotta cartaginese salpò, cogliendo completamente di sorpresa ai romani.
Si arrivò così ad uno scontro tra le navi cartaginesi e quelle romane: i cartaginesi resistettero, anche perché le loro imbarcazioni più leggere si rivelarono particolarmente difficili da affrontare per le pesanti navi romane.
Tuttavia, le triremi cartaginesi, mentre coprivano il ritiro delle loro navi più leggere, entrarono in collisione, con il risultato che il nuovo canale appena realizzato venne completamente ostruito. In questo modo, le navi cartaginesi rimasero bloccate contro le mura della città senza più spazio di manovra: i romani poterono così tranquillamente distruggere la nuova flotta cartaginese, mentre i sopravvissuti cercavano riparo all’interno delle mura.
I romani, tentarono quindi di avanzare contro le ultime difese cartaginesi. Questi si spostavano lungo le viuzze che costeggiavano il porto durante la notte e diedero fuoco a diverse macchine d’assedio per spaventare i legionari, e molti di essi, presi dal timore delle fiamme, fuggirono.
Scipione fu in grado di intercettare i legionari fuggitivi nell’oscurità, e gli diede immediatamente ordine di fermarsi. Il suo comando, però, venne completamente ignorato. Il generale romano non poteva permettere una tale insubordinazione, e diede ordine alla sua guardia del corpo a cavallo di inseguire i soldati romani disobbedienti e di ucciderli.
Ripreso il controllo della situazione, Scipione conquistò la banchina cartaginese ed iniziò a far costruire un muro di mattoni alto quanto le difese della città. Ci vollero diversi mesi per completare l’opera, ma una volta portata a termine, 4.000 romani furono in grado di colpire le sentinelle cartaginesi a breve distanza.
La battaglia di Cartagine: l’assalto finale
Nel 146 a.C, il comando di Scipione venne prorogato per un altro anno e in primavera venne lanciato l’assalto finale. Asdrubale, aspettandosi un attacco nella zona del porto, aveva appiccato il fuoco ai vicini magazzini. Nonostante ciò, una parte dell’esercito romano era riuscita a fare irruzione e a conquistare la posizione.
Nel frattempo, la principale forza d’assalto dei romani raggiunse la piazza più grande di Cartagine, dove le legioni si accamparono per la notte. La mattina successiva, Scipione condusse 4000 uomini per congiungersi con i soldati posizionati nel porto.
Durante queste operazioni, i soldati si attardarono per spogliare l’oro del Tempio di Apollo e farne bottino. Scipione e i suoi ufficiali, sebbene in disaccordo, furono incapaci di trattenere la furia dei legionari. I cartaginesi invece, si ritirarono in alcune roccaforti disseminate nella città.
Dopo essersi ricongiunti, i romani si fecero strada attraverso i quartieri residenziali della città, uccidendo tutti quelli che incontravano. A volte, i legionari venivano colti da alcune imboscate organizzate dai tetti delle case, e ci vollero altri 6 giorni per liberare la città dalle ultime resistenze.
Gli irriducibili cartaginesi, inclusi 900 disertori romani al servizio del nemico, continuarono a combattere nel tempio di Eshmoun ma, vedendo che ogni speranza era perduta, diedero fuoco alla struttura, morendo anch’essi tra le fiamme.
A questo punto, Asdrubale si arrese a Scipione, chiedendogli in cambio la promessa della sua vita e la libertà. La moglie di Asdrubale, che osservò la scena da un bastione, maledisse il marito ed entrò nel tempio con i suoi figli per morire con loro in mezzo nel fuoco.
Alla fine di tre anni di assedio, rimasero 50mila prigionieri cartaginesi, che furono venduti per la maggior parte come schiavi.
Il luogo dove sorgeva Cartagine venne maledetto per impedirne il reinsediamento. Tuttavia, l’idea che le forze romane abbiano ricoperto Cartagine di sale è un’invenzione del XIX secolo. In realtà, il sale era un bene estremamente prezioso, per cui è assolutamente inverosimile che una città tanto grande come Cartagine sia stata interamente ricoperta di un prodotto tanto costoso.
Molti degli oggetti religiosi e delle statue che adornavano i templi di Cartagine, compresi degli enormi bottini e delle ricchezze che i cartaginesi avevano conquistato nel corso dei secoli, vennero restituite alle rispettive città, soprattutto siciliane, con delle grandi cerimonie.
La battaglia di Cartagine: le conseguenze
Scipione Emiliano divenne un eroe per i romani e fu insignito del cognome “Africanus“, così come suo nonno adottivo, quello Scipione che aveva vinto Annibale nella piana di Zama.
I territori che appartenevano ai cartaginesi furono annessi definitivamente a Roma, e il Senato costituì la nuova provincia romana d’Africa, stabilendo Utica come capitale.
La Provincia divenne un’importantissima fonte di grano e di generi alimentari. Numerose città puniche vennero occupate dai romani, ma quest’ultimi concessero ai coloni e agli abitanti di mantenere un sistema di governo cartaginese.
Solamente un secolo dopo, il sito di Cartagine venne ricostruito da Giulio Cesare, e la zona ritornò ad occupare un posto di rilievo nella geopolitica del Mediterraneo. La lingua punica, continuò comunque ad essere parlata nel Nord Africa, almeno fino al VII secolo d.C.