Cambridge, Regno Unito – In una delle biblioteche più storiche d’Europa, il paziente lavoro di due studiosi dell’Università di Cambridge ha dato luce a una delle rivelazioni più dense di fascino della letteratura inglese medievale. Il ritrovamento del frammento della leggenda perduta “Song of Wade”, custodito nei recessi della Peterhouse College Library, rappresenta oggi un punto di svolta per la comprensione della cultura, delle credenze e delle narrazioni che hanno plasmato intere generazioni dell’Inghilterra medievale.
Per oltre 130 anni, filologi e letterati sono rimasti in cerca del vero volto di questa leggenda, citata nei testi di Geoffrey Chaucer, fra i massimi poeti inglesi. Fino a pochi mesi fa, la convinzione diffusa era che il racconto fosse caratterizzato da un fitto universo di mostri, elfi e giganti: una narrazione epica dall’impianto marcatamente mitologico, che tuttavia lasciava sempre una traccia di mistero nelle sue sporadiche apparizioni nei testi classici. La svolta è arrivata dagli studi di James Wade e Seb Falk, ricercatori del Girton College, che hanno riletto con occhi nuovi gli antichi manoscritti dopo essere risaliti all’origine della confusione: un errore di trascrizione di appena tre parole inglesi, causato dalla mano tremolante e poco chiara di uno scriba del XII secolo.
Il frammento chiave della vicenda risalente a quasi 900 anni fa, citato all’interno di una predica latina nota come “Humiliamini”, era stato fino ad oggi interpretato come riferimento a creature soprannaturali: “Some are elves and some are adders; some are sprites that dwell by waters: there is no man, but Hildebrand only.” Una versione del racconto che, fino a questa nuova analisi, aveva fatto inclinare la bilancia verso una lettura magica, intrisa di influenze teutoniche, popolata di spiriti acquatici ed elfici.
Falk e Wade, invece, hanno dimostrato che la frase originaria, ripulita dagli errori di copia, cita in realtà ‘wolves’ e non ‘elves’. Ciò trasforma radicalmente la cornice emotiva e semantica della leggenda: il cuore del racconto si sposta dai reami del soprannaturale ai territori molto più umani della rivalità cavalleresca e dell’intrigo. Un dettaglio iconico, perché spiega come Chaucer — nell’inserire Wade nei suoi lavori “The Merchant’s Tale” e “Troilus and Criseyde” — abbia accennato a una saga popolare centrata su sfide tra uomini e passione cavalleresca e non su giganti e mostri. Il nuovo testo, “Some are wolves and some are adders; some are sea-snakes that dwell by the water. There is no man at all but Hildebrand”, delinea uno scenario di fierezza e lotta, elemento caro alla letteratura cortese d’occidente.
Da tempo, la leggenda di Wade aleggiava come una presenza sfuggente nel patrimonio mitologico dell’Inghilterra medievale. Chaucer ne faceva menzione con toni enigmatici, evidenziando come le avventure di Wade fossero argomento noto ai suoi lettori — tanto che non ne spiegava mai il senso, lasciandole fluttuare tra le righe come parte di una memoria collettiva. Il vero mistero, che tanto incuriosiva gli studiosi, era comprendere in che modo questa leggenda si inserisse nel panorama narrativo di corte e perché, nel tempo, le sue tracce si fossero quasi completamente dissolte. Il lavoro di Wade e Falk si è fondato proprio su questa domanda, affrontando con rigore filologico la riscrittura moderna dei frammenti superstiti e confrontandone le traduzioni con altri registri accademici dell’epoca.
La ricostruzione di questo puzzle filologico rappresenta un caso emblematico di come la micro-storia — fatta di errori di trascrizione, di ambiguità grafiche tra lettere pressoché identiche (‘y’ e ‘w’) — possa modellare, o alterare, il senso profondo di una intera tradizione narrativa. Nel caso di “Song of Wade”, bastava una differenza grafica per passare dall’immaginario delle fate e delle creature magiche a quello delle bestie e degli uomini valorosi, restituendo un rapporto con la letteratura popolare medievale più ancorato alla dimensione della vita reale.
La leggenda, ampiamente nota nella società inglese tra XII e XV secolo, raccontava le gesta dell’eroe Wade, figura più celebre di quanto oggi si possa immaginare, probabilmente ispirata a modelli epici come quelli di Gawain o Lancelot. Le fonti secondarie, appartenenti alla tradizione orale e ad altre saghe, parlano del corteggiamento di Wade per Bell, così come degli scontri fra Wade e suo padre, il gigante Hildebrand. La storia si faceva eco nell’immaginario collettivo, tanto da essere stata adoperata come riferimento in prediche popolari: per la prima volta, grazie a questo studio, emergono evidenze tangibili di un predicatore medievale che integra consapevolmente un “meme” popolare della letteratura contemporanea nella propria omelia, per catturare l’attenzione del pubblico e illustrarne i valori.
Gli studiosi hanno sottolineato come la chiave di tale scoperta sia racchiusa proprio nella natura interdisciplinare dell’indagine: la padronanza della lingua latina, la familiarità con l’iconografia manoscritta dei predicatori inglesi, l’incrocio con la storia della predicazione popolare medievale e lo studio del pensiero religioso di Alexander Neckam — l’abate e poeta che potrebbe aver redatto proprio lui quelle righe nel Sermone Humiliamini.
Gli effetti del lavoro di Wade e Falk hanno varcato i confini della filologia, illuminando aspetti poco noti della società anglonormanna, a partire dalla diffusione e fruizione del sapere popolare. Il frammento ritrovato segnala che la leggenda di Wade era così conosciuta e radicata che poteva essere evocata senza spiegazioni, con l’aspettativa che il messaggio arrivasse chiaro agli ascoltatori del tempo. Un fenomeno paragonabile ai riferimenti culturali e comici che oggi permeano media, società e pubblicità.
L’individuazione della vera natura della leggenda di Wade rivoluziona la lettura dei testi di Chaucer, improvvisamente più accessibili e calati nel concreto contesto storico-culturale del tardo medioevo inglese. Da una parte, si dissolvono le nebbioline del mito folklorico, dall’altra si afferma la centralità del romanzo cavalleresco, con il suo carico di passioni, lotte e intricate dinamiche sociali tra rivali.
Il lavoro di archivio su manoscritti antichissimi ha permesso di salvare dall’oblio una storia che, per secoli, fu parte integrante dell’identità nazionale inglese, contribuendo con una nuova consapevolezza sia agli studi medievali sia alla conoscenza popolare. Le domande che restano aperte su chi fosse realmente Wade, o quanto la leggenda abbia subito variazioni e rielaborazioni nel passaggio tra oralità e scrittura, renderanno questo campo di ricerca fertile per i prossimi anni. Ma già ora, la leggenda perduta si è fatta più nitida e ricca di significato, unendo due mondi – quello della filologia accademica e della narrazione popolare – in un affascinante dialogo tra passato e presente.