Negli ultimi giorni, il mondo accademico e giornalistico internazionale è stato scosso da una notizia che potrebbe riscrivere parte della storia della Sindone di Torino, la celebre reliquia che secondo la tradizione cristiana avrebbe avvolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione. Un’équipe di studiosi dell’Università Cattolica di Lovanio (Leuven), guidata da Nicolas Sarzeaud, ha identificato, studiato e pubblicato un antico manoscritto del XIV secolo che per la prima volta qualifica esplicitamente la Sindone come un falso, anticipando di decenni il documento finora più antico noto nell’ambito del dibattito critico su questa reliquia.
Come è emerso il manoscritto
Il nuovo documento, ora reso pubblico grazie a un saggio di Sarzeaud pubblicato sul Journal of Medieval History, è attribuito a Nicole Oresme (ca. 1320-1382), uno dei maggiori intellettuali francesi del suo tempo, noto filosofo, matematico, scienziato oltre che consigliere di Carlo V e vescovo di Lisieux. Oresme era già celebre per il suo approccio razionale e scettico verso molte superstizioni e credenze popolari dell’epoca; il testo appena riscoperto si inserisce in questa linea intellettuale.
Il manoscritto, databile agli anni Settanta del Trecento, era rimasto sinora inedito e viene oggi pubblicato e commentato specialistamente. Nel passo individuato, Oresme respinge l’autenticità della Sindone, qualificandola come “un inganno architettato dai canonici del piccolo priorato di Lirey a fini di lucro”. Egli condanna la pratica, assai diffusa nel Medioevo, di esibire oggetti presentati come reliquie autentiche per attrarre offerte e pellegrini. Il riferimento alla collegiata di Lirey, in Champagne, dove la Sindone era venerata, è diretto e inequivocabile; Oresme parla senza mezzi termini di una frode orchestrata da membri del clero per fini economici, mostrando così un atteggiamento critico e razionale già sorprendentemente moderno per l’epoca.
Un documento più antico di qualsiasi altra accusa nota
La vera portata della scoperta risiede anche nella sua cronologia. Finora, la più antica testimonianza documentaria che accusava la Sindone di essere un falso era la famosa lettera scritta dal vescovo Pierre d’Arcis nel 1389, nella quale si affermava esplicitamente che il telo era stato “abilmente dipinto” e che lo stesso autore della frode avrebbe confessato. Il testo di Oresme è di almeno vent’anni precedente a quella lettera, segnalando che già negli anni Settanta del Trecento, negli ambienti colti della Francia tardo-medievale, circolavano forti sospetti circa l’autenticità della reliquia.
Questo dato è fondamentale per comprendere che il dibattito non fu, come spesso si crede, un’invenzione polemica moderna o illuminista. Già nella stessa società ecclesiastica e intellettuale medievale esistevano voci scettiche che leggevano nella Sindone non un miracolo, ma il risultato di interessi concreti e pratiche devozionali molto radicate. Oresme, dunque, può essere indicato come il primo autore noto ad esprimere, e documentare con forza, questa posizione.
Oresme, la critica al sacro e la storia della percezione
Il valore del passo di Oresme emerge appieno nel commento di storici come Antonio Musarra che invita a leggerne il contenuto con serietà e metodo storico, ma senza confondere il valore testimoniale della fonte con la prova definitiva sull’origine della Sindone. Oresme, in quanto intellettuale razionale e critico, giocava un ruolo di “coscienza pubblica” della sua epoca: la sua posizione esplicita sull’inautenticità della Sindone, e sul carattere fraudolento dell’operazione ecclesiastica a Lirey, ci dice molto sia sulla cultura religiosa dell’epoca, sia sul clima di sospetto che già circondava il culto delle reliquie.notizie
Musarra ricorda che già in secoli precedenti figure come Guiberto di Nogent avevano denunciato il commercio e la moltiplicazione di reliquie di dubbia autenticità; il Concilio Lateranense IV (1215) aveva imposto norme contro l’abuso delle reliquie spurie, mentre Tommaso d’Aquino aveva ammonito contro i rischi di un culto indiscriminato degli oggetti sacri. Oresme dunque si inserisce in questa solida linea critica, portandola a un nuovo livello: nella sua lettura, la Sindone è il risultato di un intreccio tra devozione popolare, interessi economici e necessità di consolidamento del potere ecclesiastico e nobiliare locale.
Gli eventi della metà del XIV secolo — come la peste del 1348, le processioni penitenziali, la nascita di una nuova sensibilità religiosa imperniata sull’imitazione della Passione di Cristo — forniscono il contesto perfetto per l’introduzione e l’affermazione di un oggetto come la Sindone. Oresme non suggerisce necessariamente una “teoria del complotto” organizzata a tavolino, ma osserva il fenomeno con gli strumenti critici dell’intellettuale: più che una frode premeditata su larga scala, si trattò, probabilmente, di una combinazione di pratiche devozionali, patronati locali e lotte per il controllo delle offerte derivate dal culto delle reliquie.
Un giudizio sulla percezione, non una prova definitiva
Come sottolinea Musarra, il passo di Oresme va preso seriamente non come una dimostrazione né come un’analisi diretta della Sindone, bensì come una voce autorevole che attesta quanto la percezione della frode fosse, nella seconda metà del Trecento, già fondata e diffusa tra le élite intellettuali. Questo conferisce un valore storico notevole al documento: ci parla di come il lino fosse considerato e utilizzato e meno — per forza di cose — della sua effettiva genesi.
Anche per questo la polemica sulle origini della Sindone resta, ancora oggi, aperta: la datazione radiocarbonica del 1988 colloca il manufatto tra il XIII e il XIV secolo, mentre studi recenti tornano a discutere della rappresentatività dei campioni analizzati. Le analisi botaniche sui pollini suggeriscono un possibile legame con l’Oriente, ma nessuna delle ricerche finora svolte è riuscita a costruire una narrazione storiografica definitiva, accettata da tutti gli studiosi. La tecnica stessa di realizzazione dell’immagine sul telo, spesso dichiarata “non replicabile” con i mezzi noti dell’epoca, alimenta ulteriore mistero e fascino attorno alla reliquia.
Perché il ritrovamento è una svolta storica
Il manoscritto pubblicato dagli studiosi di Lovanio non fornisce la soluzione definitiva al mistero della Sindone, ma rappresenta una svolta nel modo in cui è possibile ricostruire le rappresentazioni, i conflitti e le appropriazioni simboliche di questa reliquia nel corso dei secoli. In altre parole, la voce di Oresme rafforza una narrazione già presente nella medievistica: la Sindone divenne, sin dalla sua prima comparsa pubblica, oggetto di contesa e di percezione critica, e non fu mai, neppure nel Medioevo, universalmente accettata come autentica nei circoli intellettuali più avvertiti.
Questa scoperta implica che il mestiere dello storico non può limitarsi a stabilire la verità materiale di un oggetto, ma deve indagare anche le sue funzioni culturali, la ricezione, la costruzione dei significati religiosi ed economici — e soprattutto il ruolo delle percezioni collettive, che sono spesso la chiave per capire il successo o il fallimento di un culto.
La Sindone di Torino continua ad affascinare, dividere, interrogare studiosi e credenti di tutto il mondo. L’emersione del nuovo passo di Nicole Oresme ci ricorda che il mistero, la polemica e la ricerca attorno a questa reliquia non sono patrimonio esclusivo del mondo contemporaneo, né degli scettici moderni, ma appartengono alla sua storia fin dalle origini. Se la verità storica resta ancora oggi elusiva, il valore di testimonianze come quella appena riemersa da Lovanio sta soprattutto nell’arricchire il quadro delle percezioni, dei conflitti e delle rappresentazioni attraverso cui è passato — e continua a passare — il racconto di uno dei più grandi enigmi della cristianità.