Sicilia, 4000 anni fa: La scoperta che riscrive la dieta antica. Stufato di cavallo durante il rituale nell’Età del Bronzo

Sicilia, area ai piedi del monte Polizzello: un recente studio coordinato da Davide Tanasi, docente dell’Università della Florida del Sud e fondatore dell’Institute for Digital Exploration, ha cambiato il modo di concepire la presenza dei cavalli nella preistoria dell’isola. Un’indagine pubblicata su una prestigiosa rivista scientifica internazionale rivela la più antica testimonianza documentata sull’impiego dei cavalli e sul consumo della loro carne in Sicilia durante l’Età del Bronzo, ribaltando ipotesi radicate dagli studiosi sui tempi e i modi con cui questo animale fu introdotto nel cuore del Mediterraneo.

Il gruppo di ricerca, composto da esperti in antropologia come Robert Tykot e studiosi di archeologia preistorica come Enrico Greco, ha preso in esame un ricco insieme di materiali emersi dagli scavi presso Polizzello, risalenti al terzo millennio avanti Cristo. Nella zona, considerata nevralgica per la ricostruzione delle antiche società dell’isola, sono stati recuperati soprattutto frammenti di ceramica riferibili a recipienti da cucina e oggetti d’uso comune, tra cui catini, anfore e coppe impiegate in rituali di convivialità. Tra questi spicca un grande bacino su piede che, per dimensioni e collocazione, sembra essere stato il fulcro di una pratica collettiva dove veniva condiviso e distribuito del cibo a base di carne equina, probabilmente uno stufato tradizionale destinato a segnare momenti speciali della comunità.

La ceramica analizzata ha restituito tracce importanti anche dal punto di vista antropologico e simbolico. Oltre agli strumenti di uso quotidiano, il sito ha infatti restituito un grande fallo in terracotta, la cui funzione sembra legata a ritualità ricorrenti associate alla fertilità e al rinnovamento, secondo le interpretazioni offerte dal direttore degli scavi. Questi reperti mostrano dunque la molteplicità di significati che la cultura preistorica siciliana attribuiva sia all’animale domestico che agli oggetti del vivere quotidiano, tra esigenze di sostentamento e aspira­zioni rituali.

Decisivo nel percorso di ricerca si è rivelato lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni. Sebbene la scoperta archeologica risalga al 2005, solo nel 2024 è stato possibile applicare avanzati esami proteomici sui residui organici trattenuti nei vasi. Questa tecnica d’avanguardia ha permesso al team del laboratorio di Tanasi di individuare la presenza inequivocabile dell’albumina sierica equina, proteina ematica caratteristica del cavallo, attestando senza margine d’errore il consumo di carne equina da parte delle antiche comunità sicule. Una tale evidenza spinge oggi a rivedere tutti i paradigmi sul percorso di addomesticamento e sfruttamento del cavallo in questa parte del Mediterraneo, aprendo nuovi scenari sulle pratiche alimentari e sull’organizzazione dei gruppi insediati sulle alture siciliane.

Lo stesso ritrovamento solleva inoltre questioni di portata più ampia. Oltre a ridisegnare il quadro della presenza del cavallo nell’isola, esso getta nuova luce sulle relazioni culturali, sulle dinamiche economiche e sulle modalità rituali delle società preistoriche. Il fatto che la scoperta sia avvenuta in corrispondenza di oggetti legati a cerimonie collettive suggerisce una dimensione pubblica, partecipata e forse sacra del consumo di carne equina, che potrebbe aver avuto una funzione identitaria e propiziatoria nella vita delle antiche comunità locali. Gli studi etnografici aiutano a ipotizzare che attorno a questi momenti potessero ruotare preghiere, canti e danze, anche se il dettaglio delle pratiche resta sul piano delle ipotesi.

Non meno rilevante è l’impatto di questa scoperta sulla prospettiva storica degli scambi e delle influenze esterne in Sicilia. Una presenza così precoce del cavallo solleva interrogativi sulle vie di trasmissione delle innovazioni tra culture diverse del Mediterraneo antico, favorendo nuove ricerche sulle connessioni tra l’isola e le aree circostanti. L’insieme delle testimonianze – dalla ceramica rituale ai resti proteici – contribuisce così a restituire un mosaico complesso, dove si intrecciano alimentazione, pratiche religiose e strategie di sopravvivenza in un ambiente impegnativo ma ricco di stimoli.

Il lavoro della squadra coordinata da Tanasi, che in passato aveva già ottenuto risonanza internazionale per l’individuazione del vino preistorico nel complesso ipogeo di Monte Kronio e per le analisi sulle sostanze psicotrope in recipienti egiziani antichi, si inserisce alla perfezione in questa tradizione di ricerca interdisciplinare, dimostrando quanto le nuove tecnologie possano rivoluzionare la comprensione del passato.

Il risultato di Polizzello non si esaurisce quindi nella rivelazione di una data o di una semplice dieta, ma apre una finestra sulle strategie di resilienza, sulle identità culturali e sulla mutevole geografia umana della Sicilia di quattromila anni fa. La scoperta invita storici, archeologi e appassionati a confrontarsi con una preistoria mediterranea molto più dinamica, aperta a scambi tecnologici e rituali che attendono ancora di essere pienamente esplorati.