Quando Lucio Cornelio Silla rimase come unico dittatore di Roma, al termine delle guerre civili contro Caio Mario, pensò di avviare una enorme riforma dello Stato Romano, per restituire potere all’aristocrazia senatoria e cercare di contenere i problemi che avevano causato momenti di grande violenza e tensione.
La strada di Silla verso il potere fu molto difficile: dovette affrontare una vera e propria guerra civile contro il principale capo della fazione dei popolari, Caio Mario, un generale di grande talento che aveva salvato Roma dall’invasione dei Cimbri e dei Teutoni.
La guerra contro Mario aveva toccato dei punti di straordinaria violenza: Silla era stato costretto, con un esercito, a violare il confine sacro di Roma per riportare le istituzioni al loro funzionamento e mentre, successivamente, era impegnato in una guerra contro Mitridate in Oriente, Caio Mario e i suoi avevano ripreso il potere, dando luogo ad un violentissimo regime, durante il quale si erano verificate delle esecuzioni sommarie.
Silla era quindi tornato nuovamente in Italia per affrontare delle nuove battaglie contro i seguaci di Mario, in una guerra civile durissima, che aveva stremato il popolo romano e compromesso totalmente il funzionamento della Repubblica.
Dopo la morte di Caio Mario e la sconfitta definitiva dei popolari, Silla divenne il capo supremo di Roma, ed iniziò subito a pensare ad una vasta riforma, che nei suoi piani, avrebbe dovuto garantire un nuovo corso alla Repubblica Romana.
L’attacco ai tribuni della plebe
Silla apparteneva all’aristocrazia senatoria e credeva nell’assoluta autorità del Senato: tutte le sue riforme mirarono a riportare il pieno controllo della politica romana nelle mani di questa istituzione.
Le sue prime misure furono rivolte contro i tribuni della plebe.
I tribuni della plebe erano dei magistrati deputati a difendere gli interessi della parte più debole della popolazione, i plebei, e avevano il potere di bloccare qualsiasi legge realizzata dagli aristocratici che potesse ledere i diritti del popolo.
Si trattava di un ruolo molto importante, di una carica inviolabile, che nel corso del tempo aveva costituito un grande ostacolo alle riforme da parte degli aristocratici.
Silla si premurò di ridurre drasticamente i poteri dei tribuni: le sue riforme obbligarono i tribuni della plebe a chiedere il permesso del Senato prima di presentare una qualsiasi legge. Inoltre, il tribuno non ebbe più il potere di veto sui provvedimenti che venivano votati, il che svuotava completamente questa magistratura della sua funzione di controllo.
Anche l’interesse a ricoprire tale carica venne annientato: chiunque fosse stato eletto tribuno della plebe, anche solo una volta, non avrebbe più potuto candidarsi a nessun’altra magistratura successiva, per nessun motivo. Il che equivaleva, praticamente, ad un suicidio politico.
In questo modo, Silla aveva cancellato i poteri dei tribuni della plebe e reso questa carica assolutamente sconveniente per qualunque personaggio volesse affacciarsi al mondo politico.
Senza la funzione del tribuno della plebe, i plebei rimasero disarmati di fronte alle leggi del Senato, e il potere politico ritornò completamente nelle mani delle grandi famiglie aristocratiche.
Le limitazioni alle carriere politiche
Un altro intervento di Silla riguardò la carriera politica di un personaggio. Nel corso delle guerre civili, Silla aveva constatato più volte come il cosiddetto “Cursus honorum”, il percorso politico, fosse stato più volte violato, le tappe bruciate, le scorciatoie continuamente imboccate.
Silla decise di stabilire un percorso politico estremamente rigido, che non ammetteva alcuna eccezione: chiunque doveva ricoprire la carica di questore, successivamente di pretore e solo in seguito di console. Non vi era più alcuna possibilità di saltare i passaggi, o di candidarsi senza avere l’età legale.
Anche i tempi vennero “irrigiditi”: tra due magistrature dovevano trascorrere almeno 2 anni, e un qualsiasi magistrato avrebbe dovuto aspettare 10 anni prima di ricoprire lo stesso ruolo.
Questi provvedimenti, estremamente severi, servivano, nel disegno di Silla, ad impedire che chiunque potesse accumulare troppo potere per un tempo pericolosamente lungo.
Dal momento che, tuttavia, il dominio romano si stava rapidamente espandendo, Silla pensò anche di ampliare il numero dei questori, portandolo a 20, e dei pretori, portandoli a 8 .
I provvedimenti sui governatori delle province
Un altro provvedimento importante da parte di Silla, fu quello di limitare il potere dei governatori delle province. Negli ultimi anni, i governatori provinciali riuscivano ad estorcere agli abitanti delle province parecchio denaro, sotto forma di tasse o di donazioni pretese.
In questo modo i governatori avevano la possibilità di arricchirsi rapidamente e di formare un proprio esercito privato da contrapporre a quello della Repubblica.
Le riforme di Silla prevedevano che un governatore potesse rimanere nella sua provincia per un numero di anni limitato, e avendo aumentato drasticamente il numero dei magistrati per amministrare le province, aveva evitato che i ruoli rimanessero vacanti permettendo a colui che era in carica di prolungare il suo mandato.
Inoltre, se un governatore, a seguito di una denuncia, fosse stato sospettato di soprusi, sarebbe immediatamente finito di fronte al cosiddetto “Tribunale del tradimento”, subendo un gravissimo e pericolosissimo processo, che avrebbe potuto stroncare la sua carriera.
L’aumento dei membri del Senato
La guerra civile aveva notevolmente ridotto i partecipanti al Senato. I senatori erano formalmente 300, ma dopo i combattimenti che si erano appena conclusi, il loro numero si era ridotto a poco più di 100.
Silla portò i membri del Senato da 300 a 600, nominando tra i nuovi senatori diversi appartenenti al ceto dei Cavalieri, una fascia della popolazione che si dedicava all’imprenditoria, e che stava assumendo un peso sempre maggiore nella società romana.
Ovviamente, un gran numero di Senatori apparteneva alla fazione politica di Silla, e condivideva con lui il suo piano di riforme.
La creazione dei Tribunali permanenti
Un’altra parte importante delle riforme di Silla riguardò i tribunali e soprattutto le giurie. Gli ottimati, gli aristocratici, volevano che le giurie fossero composte prevalentemente da Senatori, in modo tale da garantire maggiore protezione e minori condanne nei confronti di imputati del loro rango.
I Populares, al contrario, desideravano che le giurie dei tribunali fossero composte da loro seguaci e da Cavalieri, per ottenere il risultato opposto.
Silla annullò una precedente riforma del tribuno della plebe Caio Gracco, e permise nuovamente ai senatori di far parte delle giurie, dando all’aristocrazia senatoria un vantaggio nel giudizio dei tribunali e la possibilità di difendere con maggiore vigore la loro casta da processi e imputazioni.
Silla istituì sette nuovi Tribunali permanenti per i reati di omicidio, falsificazione, frode elettorale, appropriazione indebita, tradimento, lesioni personali ed estorsioni alle province.
Le punizioni personali di Silla
Oltre a questa vasta gamma di riforme, Silla utilizzò i suoi poteri di dittatore per colpire personalmente i nemici politici che gli si opponevano, o che potevano mettere in discussione l’impianto delle sue riforme.
Molto spesso Silla diede ordine di esiliare dei personaggi e di confiscare i loro beni, ma ancora peggio, in occasione di interrogatori per sospetti reati, si faceva spesso ricorso alla tortura.
L’azione di Silla, tuttavia, non si limitò solamente alle singole persone, ma coinvolse intere città che gli si erano opposte durante la guerra civile o che dimostravano resistenze politiche alle sue riforme.
In questo caso, la punizione di Silla si concretizzava in una serie di tasse e di tributi che mettevano in ginocchio le popolazioni di quelle città. Inoltre, spesso Silla faceva accampare contingenti delle sue legioni vicino alle città più turbolente e pericolose, come deterrente di natura militare.
L’eredità delle riforme di Silla
Le riforme di Silla riportarono il pieno controllo della politica Romana nelle mani del Senato e dell’aristocrazia. Erano riforme durissime, che soffocavano la possibilità da parte dei plebei di partecipare alla vita politica, e davano ai senatori poteri straordinari.
Tuttavia, le sue riforme non ebbero lunga durata: dopo il ritiro volontario di Silla a vita privata, la situazione politica venne dominata da nuove figure, come quella di Pompeo Magno, suo pupillo, e Licinio Crasso, un aristocratico che si stava facendo strada creando un enorme potere economico personale.
Alla morte di Silla, Pompeo e Crasso iniziarono a disattendere le istruzioni, e cercarono di ottenere il potere tramite delle misure come il ripristino dell’autorità del tribuno della plebe, in contraddizione con quanto aveva previsto Silla.
Gli eventi successivi, che culminarono con il triumvirato, un accordo politico privato tra Pompeo, Crasso e un giovane Giulio Cesare, rappresentarono la piena violazione delle riforme di Silla, che non sortirono minimamente l’effetto di riportare la Repubblica al pieno funzionamento, e che furono ben presto smantellate.