Anche se potrebbe non sembrare, le protesi hanno una storia molto antica, risalente a migliaia di anni fa, quando le prime civiltà iniziarono a sviluppare soluzioni ingegnose per sostituire arti e parti del corpo perdute
Queste prime innovazioni non erano semplici ornamenti, ma spesso dispositivi funzionali che permettevano alle persone di continuare a svolgere attività quotidiane nonostante le menomazioni fisiche.
Attraverso i secoli, dall’antico Egitto alla Grecia classica, dall’Impero Romano al Medioevo europeo, le protesi hanno subito un’evoluzione importante. Questo articolo esplora la storia affascinante delle protesi nel mondo antico, esaminando i materiali utilizzati, le tecniche di costruzione, la funzionalità e il significato sociale di questi dispositivi pionieristici.
Il dito del piede di Cairo: la più antica protesi funzionale
La protesi più antica conosciuta al mondo è un alluce in legno magnificamente scolpito, risalente a circa 3.000 anni fa. Scoperto alla fine degli anni ’90 nella tomba di Tabaketenmut, figlia di un sacerdote egizio sepolta in un sito chiamato “La Valle dei Nobili”, questo antico alluce presenta tre parti allacciate insieme per flettersi con il piede durante la camminata. Questa protesi, conosciuta come “Dito del Cairo”, è datata tra il 950 e il 710 a.C. ed è considerata la più antica protesi funzionale mai scoperta.
I ricercatori dell’Università di Manchester hanno condotto test scientifici utilizzando repliche di questa protesi, dimostrando che non era semplicemente un ornamento funerario, ma un dispositivo pratico utilizzato durante la vita del paziente. La protesi mostrava segni di usura e il suo design suggeriva che fosse stata realizzata per un uso quotidiano. Inoltre, è stato scoperto che la protesi era stata cambiata più volte per adattarsi perfettamente al piede della donna, indicando un’attenzione particolare al comfort e alla funzionalità.
Il dito di Greville Chester
Un’altra protesi egizia importante è il “Dito di Greville Chester”, conservato al British Museum e risalente a prima del 600 a.C.4. Questa protesi era realizzata in un materiale composito di lino, gesso e colla, modellato a forma di alluce destro. A differenza del Dito del Cairo, che era realizzato in legno e pelle, il Dito di Greville Chester era probabilmente più orientato all’estetica, anche se poteva comunque offrire un certo grado di funzionalità.
Per gli antichi egizi, le protesi non avevano solo uno scopo funzionale o estetico, ma anche un profondo significato spirituale. La completezza fisica era considerata essenziale per la vita nell’aldilà, e le protesi aiutavano a garantire questa integrità corporea dopo la morte.
L’amputazione era spesso temuta più della morte stessa in alcune culture, poiché si credeva che influenzasse non solo l’amputato sulla terra, ma anche nell’aldilà. Gli arti amputati venivano sepolti e poi dissotterrati e riseppelliti al momento della morte dell’amputato, in modo che potesse essere integro per la vita eterna.
Egesistrato e il piede di legno
Uno dei primi resoconti storici dell’uso di protesi nella Grecia antica proviene dallo storico Erodoto, che racconta la storia di Egesistrato, un indovino greco che si amputò il piede per sfuggire alla prigionia spartana e lo sostituì con uno di legno. Questo episodio, databile intorno al V secolo a.C., dimostra che le protesi funzionali erano conosciute e utilizzate nell’antica Grecia.
Durante il periodo ellenistico (323-31 a.C.), le tecniche chirurgiche avanzarono considerevolmente grazie agli studi anatomici approfonditi condotti dai medici presso il Museion e la Biblioteca di Alessandria. Questi progressi migliorarono la comprensione del sistema circolatorio e portarono alla scoperta che i vasi sanguigni potevano essere legati per prevenire emorragie, il che significava che le amputazioni potevano essere eseguite lentamente e con cura. Questo riduceva il rischio che il paziente morisse per perdita di sangue e rendeva i monconi più adatti all’uso di protesi.
Si stima che nell’antica Grecia, circa l’80% dei soldati gravemente feriti morisse il giorno stesso della battaglia, e del restante 20%, un terzo moriva per le ferite dopo essere tornato a casa. In questo contesto, le estremità dei soldati erano particolarmente vulnerabili, e la chirurgia ortopedica si era raffinata al punto che le protesi iniziavano a diventare disponibili come alternative a bastoni e stampelle.
La gamba di Capua: un capolavoro di ingegneria antica
Una delle protesi più famose dell’antichità è la “Gamba di Capua”, scoperta durante gli scavi a Capua, Italia, nell’inverno 1884-1885. Datata intorno al 300 a.C., questa protesi di gamba era realizzata con un nucleo di legno rivestito di bronzo e rappresenta uno dei primi esempi di protesi di arto inferiore.
La gamba era cava nella parte superiore, probabilmente per accogliere un’imbottitura per il proprietario, e veniva fissata con sottili aste e cinghie. Il rivestimento in bronzo assomigliava all’armatura degli stinchi dei soldati, suggerendo che potesse essere stata realizzata da armaioli piuttosto che da personale medico.
Purtroppo, l’originale della Gamba di Capua, conservato al Royal College of Surgeons di Londra, fu distrutto durante un bombardamento aereo nella Seconda Guerra Mondiale. Oggi ne esistono solo copie, tra cui una conservata al Science Museum di Londra.
Marco Sergio e la mano di Ferro
Un altro esempio notevole di protesi romana è la mano di ferro utilizzata dal generale romano Marco Sergio durante la Seconda Guerra Punica (218-201 a.C.). Secondo Plinio il Vecchio nella sua “Storia Naturale”, dopo aver perso la mano destra, Marco Sergio si fece costruire una mano di ferro che gli permetteva di tenere lo scudo in battaglia. Questo gli consentì di tornare a combattere, partecipando all’assedio di Cremona e catturando dodici accampamenti nemici in Gallia.
“Nessuno – almeno secondo la mia opinione – può giustamente classificare qualsiasi uomo al di sopra di Marco Sergio… Nella sua seconda campagna Sergio perse la mano destra. In due campagne fu ferito ventitré volte, con il risultato che non aveva alcun uso né delle mani né dei piedi: solo il suo spirito rimase intatto… Si fece fare una mano destra di ferro e, andando in battaglia con questa legata al braccio, tolse l’assedio a Cremona, salvò Piacenza e catturò dodici accampamenti nemici in Gallia.”
Le protesi romane erano tipicamente realizzate con materiali disponibili come legno, metallo (principalmente bronzo e ferro) e pelle. La lavorazione di questi dispositivi richiedeva abilità artigianali considerevoli, combinando tecniche di metallurgia, falegnameria e lavorazione del cuoio.
Le protesi erano spesso progettate non solo per essere funzionali, ma anche per imitare, almeno in parte, l’aspetto dell’arto mancante.
Giustiniano II e il naso d’oro
Un caso interessante nell’Impero Bizantino è quello dell’imperatore Giustiniano II, soprannominato “Rinotmeto” (dal naso tagliato). Nel 695 d.C., Giustiniano fu deposto dal generale Leonzio, che lo fece mutilare tagliandogli il naso, una punizione comune a Bisanzio per i nemici politici. Dieci anni dopo, Giustiniano riconquistò il trono di Bisanzio.
Secondo alcune fonti, durante il suo secondo regno, Giustiniano avrebbe indossato una protesi nasale d’oro. Un cronista di nome Agnello di Ravenna riportò che il basileus tornò al potere con un naso artificiale d’oro. Tuttavia, Agnello è considerato una fonte storica inaffidabile, avendo scritto circa 200 anni dopo il regno di Giustiniano, e affermò anche che l’imperatore avesse “orecchie d’oro”, un dettaglio non corroborato da altre fonti.
Tatikios e la protesi nasale
Un altro caso bizantino riguarda un generale dell’XI-XII secolo di nome Tatikios, che secondo alcune fonti avrebbe avuto il naso tagliato e sostituito con una protesi d’oro, simile a Giustiniano II. Questa informazione proviene principalmente da fonti franche come Guiberto di Nogent nella sua opera “Le Gesta di Dio attraverso i Franchi” e Guglielmo di Tiro nella sua “Storia delle Imprese Compiute Oltremare”, che lo descrivono come “dal naso tagliato”.
Ad onore del vero, l’attendibilità di queste fonti è discutibile, poiché i Franchi avevano una visione negativa di Tatikios nei loro scritti, e spesso lo hanno etichettato come truffatore e codardo.
La pratica di amputare il naso come punizione era diffusa nell’Impero Bizantino e successivamente tra gli Arabi. Questa punizione era spesso inflitta per adulterio (solo alle donne) o per opposizione politica.
La mutilazione nasale era considerata particolarmente efficace perché, secondo le credenze dell’epoca, il naso era associato al carattere e alla dignità della persona. La rinotomia (amputazione del naso) era anche decretata per legge in alcune parti d’Europa: Childeberto II, alla fine del VI secolo, condannò a questa punizione alcuni sudditi responsabili di una cospirazione contro di lui, e Federico II (1194-1250) inflisse la stessa punizione ai colpevoli di adulterio e a coloro che favorivano la prostituzione.
Protesi per Cavalieri e Guerrieri Durante il Medioevo, le protesi rimasero piuttosto basilari nella forma. I cavalieri debilitati venivano dotati di protesi che permettevano loro di tenere uno scudo, impugnare una lancia o una spada, o stabilizzarsi a cavallo. Solo i ricchi potevano permettersi qualcosa che potesse aiutare nella vita quotidiana. I cavalieri del Medioevo a volte utilizzavano arti di legno per la battaglia o per cavalcare. Le protesi medievali erano spesso realizzate da fabbri, gli stessi artigiani che creavano le armature per i cavalieri. Queste protesi erano generalmente pesanti e rudimentali, ma rappresentavano comunque un importante progresso tecnologico per l’epoca.
Le alternative protesiche disponibili per gli amputati medievali erano limitate, e le gambe di legno erano spesso l’opzione principale. Queste protesi erano costruite aggiungendo prima un’imbottitura alla parte inferiore dell’arto residuo, poi avvolgendo l’intero arto con calze per tenere l’imbottitura in posizione, e infine avvolgendo l’arto con bende di gesso. Successivamente, un pezzo di legno (il pilone) veniva tagliato in molti pezzi lunghi e stretti e fissato all’incavo con un filo sottile.
In presenza di un moncone estremamente corto, una gamba di legno con il ginocchio piegato offriva una soluzione valida per evitare l’amputazione dell’intero ginocchio. Le gambe artificiali nel periodo 1500-1700 non erano utilizzate solo quando parte di un arto inferiore era assente, ma anche da persone con disturbi del ginocchio e della parte inferiore della gamba.
Il caso dell’uomo medievale con il coltello-protesi
Un caso archeologico interessante proviene da una necropoli medievale nell’Italia settentrionale, dove gli archeologi hanno scoperto lo scheletro di un uomo adulto la cui mano sembrava essere stata amputata all’avambraccio.
Accanto al braccio è stato trovato un coltello di ferro, con il manico allineato con la mano amputata, insieme a una fibbia di bronzo a forma di D e organi metallici, suggerendo che l’uomo avesse utilizzato il coltello come protesi.
L’analisi dello scheletro, datato tra il VI e l’VIII secolo, ha rivelato che l’arto dell’uomo era stato rimosso con un trauma contundente, ma non è chiaro esattamente come o perché. Potrebbe essersi sottoposto a una procedura chirurgica o, data la “cultura specifica dei guerrieri del popolo longobardo”, aver perso la mano in combattimento, o ancora, il suo arto potrebbe essere stato tagliato come forma di punizione.
Su questa linea, abbiamo certezza dell’uso delle cosiddette: “Mani di ferro”. Si tratta di protesi metalliche per mani ed estremità superiori dal Medioevo e dalla prima età moderna. Questi design combinavano proprietà cosmetiche e funzionali. L’esempio più famoso di una mano di ferro fu realizzato intorno all’anno 1530, essendo la seconda mano prostetica realizzata per il cavaliere tedesco Götz von Berlichingen.
La maggior parte delle mani di ferro si basava sugli stessi principi costruttivi, sebbene ci fossero considerevoli differenze di complessità. Le dita potevano essere flesse passivamente (ad esempio usando la mano sana) e venivano bloccate in posizione da un meccanismo a cricchetto, simile a quelli delle contemporanee armi a pietra focaia. L’estensione delle dita funzionava mediante pressione a molla.
Innovazioni tecniche e materiali
I materiali utilizzati per le protesi nel mondo antico variavano a seconda della disponibilità locale e del livello tecnologico della civiltà. Nell’antico Egitto, le protesi erano tipicamente realizzate in legno e pelle e cartonnage. Nelle civiltà greca e romana, le prime vere protesi riabilitative erano realizzate in legno e pelle, con alcuni esempi che incorporavano anche metalli come rame e ferro.
Durante il Medioevo, quando le protesi erano realizzate per la battaglia e per nascondere deformità, i dispositivi erano pesanti e rudimentali, fatti di materiali disponibili come legno, metallo e pelle. Questi erano i materiali a disposizione anche di Ambroise Paré, che inventò sia protesi per arti superiori che inferiori nel XVI secolo. Le tecniche di costruzione delle protesi antiche mostrano una sorprendente ingegnosità. Il Dito del Cairo, ad esempio, presenta tre parti allacciate insieme per flettersi con il piede durante la camminata, dimostrando una ottima comprensione da parte degli artigiani egizi della biomeccanica umana. La Gamba di Capua utilizzava un sistema di aste e cinghie per fissare la protesi al moncone, un approccio che sarebbe stato utilizzato per secoli successivi.
Le protesi medievali spesso utilizzavano cinghie di cuoio per il fissaggio, come nel caso della mano di ferro di Götz von Berlichingen, che era attaccata all’avambraccio con spesse cinghie di cuoio. Alcune protesi più sofisticate, come quelle sviluppate verso la fine del Medioevo, incorporavano meccanismi a molla e ingranaggi per permettere un certo grado di movimento.
Una nuova vita per gli amputati
Le protesi di alta qualità nel mondo antico erano generalmente disponibili solo per individui di alto status sociale, come Tabaketenmut nell’antico Egitto. I materiali preziosi e la lavorazione meticolosa di questi manufatti possono in parte spiegare la loro sopravvivenza nei secoli. Durante il Medioevo, solo i ricchi potevano permettersi protesi che potessero aiutare nella vita quotidiana.
Le stime degli studiosi suggeriscono che le élite del Rinascimento fossero disposte a pagare somme enormi per le protesi. Un esempio del XVII secolo dalla Germania costava quanto una grande fattoria – edifici, campi, bestiame e tutto il resto.
In molte culture antiche, le protesi non erano solo dispositivi medici, ma avevano un profondo significato culturale. Erano spesso viste come simboli di forza o status sociale. Il modo in cui le antiche società vedevano la disabilità si rifletteva nei loro miti e leggende: alcune culture consideravano gli individui con disabilità come maledetti o puniti dagli dei, mentre altre li veneravano come saggi, eletti o addirittura soprannaturali. Le protesi hanno affascinato le persone per secoli. Molto prima che la tecnologia moderna rendesse possibili arti bionici avanzati, storie di arti artificiali apparivano in miti, leggende e registri storici. Che si trattasse di antichi racconti di guerrieri con braccia di metallo o visioni futuristiche di mani robotiche, le protesi sono sempre state un simbolo di adattamento e ingegnosità umana.