Roma ha governato il mondo con il “gladio”, con le forze militari che componevano il suo esercito, ma anche e soprattutto con il “Diritto“, applicando la legge. È proprio quest’ultima la più grande eredità che i romani ci hanno lasciato.
Quel diritto e quelle regole ancora oggi fondamentali per comprendere i sistemi giudiziari del mondo: è per questo che è necessario comprendere quanto possa essere importante la conoscenza del diritto romano. Data la sua vastità è necessario, per capirlo, prendere ad esempio un caso concreto nel quale tutti si possono riconoscere: immaginiamo di vivere un processo nell’antica Roma.
Cosa succede? Cosa doveva affrontare una persona sottoposta a processo? Scopriamolo insieme.
Giustiniano, eroe del diritto romano
I romani avevano un bisogno “quasi” morboso di realizzare leggi: avevano bisogno di rendere legale ogni aspetto del loro vivere e non lesinavano i propri sforzi nel rendere istituzionale anche quello che fino a poco tempo prima non lo era. Un atteggiamento che nei secoli ha portato alla creazione di un numero elevatissimo di leggi e quindi ad un diritto estremamente consistente.
Ma la storia romana arrivò ad un momento nel quale questo eccesso di norme rischiava di non essere adeguatamente gestito: vi era la necessità di mettere a posto il caos che si era creato.
È qui che interviene la figura di Giustiniano: a capo dell’impero romano di Oriente, Giustiniano tentò una riunificazione con l’impero romano di Occidente, e nell’ambito di questo progetto, diede incarico ad un gruppo di giuristi di riunire tutte le leggi emanate fin dai tempi di Cicerone, armonizzarle, eliminare quelle superflue, quelle doppie od opposte in un grande lavoro di riordino. È stato proprio grazie al suo intervento che il Diritto romano è potuto arrivare fino ai giorni nostri.
Il Corpus Iuris Civilis è la base della storia del diritto e quindi della nostra legislazione.
I passi preliminari del processo
Oggi sappiamo che per formulare un’accusa servono le forze dell’ordine e degli inquirenti che raccolgano prove al fine di elaborare e sostenere un impianto accusatorio che verrà poi portato in aula da un Pubblico Ministero. Non siamo certamente noi in prima persona, a poter sostenere il ruolo di accusa in un processo.
Un approccio totalmente diverso rispetto a ciò che accadeva ai tempi dei romani: ogni persona infatti poteva diventare un potenziale accusatore di un’altra. Poteva raccogliere a sue spese testimoni e prove dell’avvenuto reato, creando da solo un impianto accusatorio: diventava quindi un’ “attore”. Era questo il nome di colui che accusava e citava in giudizio la controparte, che passava sotto il nome di “convenuto”.
L’attore si recava davanti a un giudice che quasi sempre era il pretore, sebbene potessero essere interpellati altri magistrati, e presentava la sua “postulatio”, ovvero la sua accusa corredata di prove e testimoni. Il pretore a sua volta, eseguiva un piccolo interrogatorio o “interrogatio” all’accusato, per eseguire una prima valutazione dei fatti.
Nel caso in cui mancava fondamento delle accuse, il pretore poteva decidere di annullare il processo dando modo al convenuto di “controquerelare” l’attore per calunnia. Se il pretore, al contrario, rilevava fondatezza e si poteva proseguire con un processo formale, stilava un documento che precisava lo svolgersi dei fatti, il diritto violato, e la difesa stabilendo l’inizio del processo, di norma 10 giorni dopo gli atti preliminari.
L’inizio del processo: accusa e difesa
Il processo romano si svolgeva in prevalenza nel foro all’aperto con la presenza del pubblico: in caso di maltempo venivano sfruttate le basiliche. Non deve stupire la “spettacolarizzazione”: per i romani i processi erano in qualche modo motivo di intrattenimento popolare.
Il processo poteva contare sul pretore, spesso accompagnato da altri giudici mentre le persone potevano sedersi in sedili appositi per ascoltare tutto ciò che veniva detto.
Ad iniziare quella che può essere definita la parte iniziale del dibattimento, come accade anche nei processi moderni, era l’accusa, che aveva fino a due ore di tempo (senza poter essere interrotta) per presentare e motivare l’elenco dei reati di cui il convenuto era accusato. Una volta concluso l’intervento, doveva lasciare spazio alla difesa che aveva fino a 3 ore per poter difendere l’accusato. In poche parole l’arringa iniziale contemporanea che serviva come presentazione meticolosa del caso.
Vi era poi una fase successiva, quella dell’”altercatio”, dove si susseguivano domande e risposte da parte dell’accusa nei confronti della difesa e viceversa e della difesa nei confronti del suo assistito per alleggerirne la posizione, analogamente a quel che succede nel corso dei processi moderni.
Prove e testimoni nell’antica Roma
Finito lo spietato botta e risposta tra le parti, vi era la fase della “probatio”, il momento clou dell’intero procedimento nel quale era possibile presentare le prove e i testimoni e di base “decidere” come sarebbe andato il processo. Chi testimoniava a favore di qualcuno era definito “patrono”.
Dopo questa fase, arrivava la sentenza: il pretore e gli altri giudici si riunivano per discutere il caso e prendere una decisione: sebbene avessero tutto il tempo che volevano a disposizione era costume impegnarsi a produrre un verdetto nell’arco della stessa giornata del processo. Ogni giudice esprimeva il suo giudizio: A- Absolvo (assolvo) o C- Condemno (condanno). Si calcolava il risultato e si pronunciava la sentenza che poteva essere una multa tanto quanto una sentenza capitale, a seconda del reato.
Di norma la sentenza era definitiva e irrevocabile. In determinate condizioni però, se il processo non produceva esiti schiaccianti, si potevano avere possibilità di appello in caso di condanna. Nello specifico si poteva fare una “provocatio ad populum”, una provocazione al popolo: in questo caso il giudizio dei giudici veniva sospeso e il giudizio rimandato alle assemblee.
A decidere sarebbero stati quindi comizi centuriati: cosa significa? Un magistrato si presentava al popolo, riassumeva il caso, e i comizi centuriati votavano se confermare o meno la condanna presentata dai giudici.
Il Diritto, l’eredità romana
Per secoli i processi sono stati intentati sia su ragioni serie e valide, sia per contrastare i nemici politici: nel corso di tutta l’egemonia romana i processi sono stati utilizzati come una vera e propria arma per la supremazia politica. Motivo per il quale Silla decise di istituire dei tribunali permanenti che potessero contare su magistrati adibiti al ruolo di giudici di processo senza che dovesse essere scelto di volta in volta il pretore.
Concludendo, tra il processo nella società romana e quello moderno è possibile notare come vi siano tante analogie: di certo l’organizzazione perfetta raggiunta nell’antichità è diventata la base del nostro dibattimento, la più grande eredità che ci ha lasciato il popolo romano.