Fuoco controllato: prove umane di 400.000 anni fa cambiano la Preistoria

Nella contea di Suffolk, nell’Inghilterra orientale, una scoperta archeologica eccezionale sta riscrivendo una parte fondamentale della storia umana. Gli archeologi hanno infatti trovato le prove più antiche finora conosciute dell’uso intenzionale del fuoco da parte dell’uomo, spingendo questa capacità indietro di centinaia di migliaia di anni.

La scoperta arriva dal sito paleolitico di Barnham, oggetto di scavi e studi da diversi decenni. Qui, un team di ricercatori del British Museum ha individuato tracce inequivocabili di accensione controllata del fuoco, databili a circa 400.000 anni fa. Un risultato che offre nuove prospettive sull’evoluzione delle capacità tecniche e cognitive dei nostri antenati.

Il ritrovamento, descritto sulle pagine della rivista Nature, anticipa di circa 350.000 anni la data finora accettata per l’uso controllato del fuoco. Fino a oggi, infatti, le prove più antiche e affidabili di accensione artificiale erano attribuite ai Neanderthal e provenivano da alcuni siti del nord della Francia, risalenti a circa 50.000 anni fa.

Il sito di Barnham, immerso in un’area boschiva e situato all’interno di una cava d’argilla ormai dismessa, ha restituito un insieme sorprendentemente ricco di indizi. Questi elementi hanno permesso agli archeologi di affrontare uno dei grandi interrogativi della preistoria: quando i nostri antenati hanno smesso di affidarsi a eventi naturali, come i fulmini, per ottenere il fuoco, imparando invece a produrlo autonomamente e a controllarlo.

Rob Davis, archeologo specializzato nel Paleolitico del British Museum, insieme al suo team ha raccolto tre prove decisive, tutte emerse nello stesso punto del sito, che confermano l’origine intenzionale del fuoco. Il primo indizio è una porzione di argilla chiaramente sottoposta a cottura. Normalmente questi sedimenti hanno una tonalità giallo-aranciata, ma in quell’area apparivano di un rosso intenso.

Il cambiamento di colore è spiegabile con la presenza di ematite, un minerale che si forma quando sedimenti ricchi di ferro vengono esposti a temperature elevate. Le analisi geochimiche effettuate dai ricercatori hanno infatti dimostrato che, in quel punto, il terreno era stato riscaldato fino a superare i 700 gradi Celsius, una temperatura compatibile solo con un fuoco acceso e mantenuto dall’uomo.

Il secondo indizio riguarda una serie di manufatti in selce, tra cui asce a mano, che risultano spezzati o deformati dall’esposizione a temperature molto elevate. In una zona ben delimitata del sito, circa tre quarti dei reperti presentano chiari segni di contatto ripetuto con il fuoco: crepe, superfici arrossate e fratture tipiche dello shock termico.

Per comprendere meglio quanto accaduto, gli archeologi hanno pazientemente ricomposto i frammenti di questi strumenti danneggiati dal calore, dimostrando che non si trattava di eventi casuali, ma del risultato di focolai accesi e utilizzati più volte nello stesso luogo.

Il terzo elemento, considerato dagli studiosi la vera prova regina, è il ritrovamento di due piccoli frammenti di pirite di ferro, un minerale noto anche come “oro degli stolti”. La pirite non è presente naturalmente nell’area di Barnham, un dettaglio fondamentale che indica come gli antichi abitanti l’abbiano raccolta altrove e trasportata deliberatamente fino al sito.

Questi gruppi umani avevano infatti compreso che, colpendo la pirite contro la selce, si potevano produrre scintille abbastanza intense da accendere un’esca. L’abbinamento tra selce e pirite rappresenta quello che gli archeologi definiscono il primo “accendino” conosciuto: una tecnologia elementare nella forma, ma rivoluzionaria nelle conseguenze, capace di cambiare per sempre il rapporto dell’umanità con l’ambiente e con la sopravvivenza.

Per quattro anni i ricercatori hanno analizzato attentamente i reperti, con l’obiettivo di escludere che le tracce di bruciatura fossero il risultato di incendi naturali. I dati raccolti mostrano infatti un modello di combustione compatibile con un focolare costruito dall’uomo, e non con eventi casuali come la caduta di un fulmine.

Gli studiosi hanno individuato segni di accensioni ripetute nello stesso punto, avvenute nell’arco di un lungo periodo. Si tratta di brevi ma intensi picchi di calore, tipici di piccoli fuochi alimentati a legna. Questo schema rivela un’attività chiaramente controllata e suggerisce che i nostri antenati non si limitassero a conservare il fuoco trovato in natura, ma fossero già in grado di accenderlo, mantenerlo e utilizzarlo consapevolmente nella vita quotidiana.

Secondo gli studiosi, gli abitanti di Barnham erano probabilmente i primi Neanderthal. Le evidenze fossili rinvenute in Gran Bretagna e in Spagna suggeriscono infatti che, già 400.000 anni fa, queste popolazioni stessero sviluppando capacità cognitive e tecnologiche sempre più avanzate.

Questa crescente sofisticazione emerge non solo dagli strumenti che utilizzavano, ma anche dalle caratteristiche del cranio e dalle analisi genetiche, che indicano una fase cruciale dell’evoluzione umana, in cui abilità come la produzione controllata del fuoco cominciavano a far parte stabilmente del loro bagaglio culturale.

La capacità di accendere il fuoco intenzionalmente ebbe conseguenze profonde sull’evoluzione umana. Il controllo della fiamma consentì alle prime popolazioni di adattarsi a climi più freddi, di difendersi meglio dai predatori e di cuocere gli alimenti.

La cottura del cibo rappresentò una svolta decisiva: rese gli alimenti più facili da digerire e permise di ottenere una maggiore quantità di energia e proteine. Queste risorse aggiuntive furono fondamentali per sostenere lo sviluppo di cervelli sempre più grandi e complessi, contribuendo in modo diretto all’evoluzione delle capacità cognitive umane.

Questa innovazione tecnologica contribuì anche a trasformare profondamente la vita sociale dei nostri antenati. I momenti trascorsi attorno al focolare, soprattutto nelle ore serali, offrirono nuove occasioni per raccontare storie, pianificare attività future e rafforzare i legami all’interno del gruppo. Comportamenti di questo tipo sono strettamente legati allo sviluppo del linguaggio e alla nascita di società via via più organizzate.

Il sito di Barnham si colloca in un periodo chiave dell’evoluzione umana, compreso tra 500.000 e 400.000 anni fa, quando le dimensioni del cervello degli ominidi iniziavano ad avvicinarsi a quelle moderne e i segni di un comportamento complesso diventavano sempre più evidenti nei reperti archeologici dell’Europa continentale e della Gran Bretagna. In questo contesto, la capacità di produrre il fuoco all’occorrenza fu determinante per adattarsi a nuovi ambienti. Si ritiene che i gruppi umani che attraversarono il ponte terrestre tra la Gran Bretagna e il resto d’Europa portarono con sé questa conoscenza fondamentale.

La scoperta di Barnham rappresenta quindi un tassello decisivo per comprendere come una tecnologia apparentemente semplice, ma rivoluzionaria, abbia contribuito a rendere i nostri antenati esseri sempre più inventivi, adattabili e innovativi.