I legionari romani sono sempre stati presentati dal cinema e li visualizziamo nei nostri pensieri, come guerrieri invincibili, che avanzano senza apparente emozione contro il nemico.
Ma è veramente così?
In realtà, diverse fonti ci parlano di comprensibili momenti di paura e di panico fra i legionari, come accadde a Besanzone, nelle Gallie, quando i soldati di Giulio Cesare si terrorizzarono ad ascoltare i racconti dei guerrieri Germanici, che gli venivano presentati come uomini dalla ferocia e forza sovrumana.
Nei tempi più recenti, ci si è chiesti se i legionari romani soffrivano di quello che oggi identifichiamo tecnicamente come Disturbo Post Traumatico da Stress, una condizione patologica dominata da flashback di terribili ricordi, notti insonni, agitazione, rabbia incontrollata e tendenza ad evitare tutto quello che ci ricordi un evento traumatico.
Le scuole di pensiero e i parametri
Le due principali scuole di pensiero in merito alla questione sono quella universalistica e relativistica.
La prima ritiene, semplificando, che l’essere umano sia sempre uguale, e dunque anche il soldato mostri caratteristiche comuni nel corso dei secoli.
A prescindere dal contesto storico, il soldato sarebbe esposto in maniera simile a disturbi post traumatici e a sensazioni profonde derivate dall’esperienza della guerra.
La scuola relativistica si fonda invece su un approccio differente, basato sulla considerazione che il contesto in cui si vive, il modo con cui la propria società intende la guerra e la propria psicologia personale influiscono sullo sviluppo o meno di disturbi e sofferenze post-traumatiche.
La scuola relativistica, che tende ad essere accettata dalla maggior parte degli studiosi, ha identificato alcuni parametri che possono portare allo sviluppo di un disturbo post traumatico da stress.
Vedremo dunque ognuno di questi elementi e lo confronteremo con il mondo romano, per cercare di capire se i legionari fossero particolarmente esposti a questo tipo di disturbi.
L’evento traumatico
Il primo parametro è certamente il tipo e la natura dell’evento traumatico a cui si è sottoposti.
Sotto questo aspetto la guerra romana era profondamente diversa da quella che concepiamo oggi.
Nonostante una guerra non sia mai definibile “intelligente” è evidente che i conflitti moderni sono basati sull’utilizzo di strumentazioni tecnologiche, di droni o di apparecchi estremamente sofisticati che rendono quasi “asettico” l’attacco nei confronti del proprio nemico.
Un moderno attacco missilistico o aereo è, per chi lo esegue, una operazione visibile su una mappa, così come la guerra cibernetica si sviluppa su un piano prettamente digitale.
Il mondo romano era invece dominato dagli scontri corpo a corpo, e ogni soldato non poteva esimersi dall’assistere a scene terribili: sangue, morte dell’avversario e dei propri compagni, orribili mutilazioni, grida di dolore, che derivavano da un confronto diretto sul campo.
Per questo motivo, la forza e la violenza della guerra romana, così come quella del mondo antico, non poteva che giocare a favore dell’ insorgenza di tali disturbi.
La cultura della propria società
Un altro fattore determinante è la cultura dominante nella propria società.
Una tribù africana che pratica regolarmente il cannibalismo o l’omicidio nei confronti di tribù avversarie, avrà certamente un giudizio morale diverso rispetto ad una comunità induista o buddista che dà alla vita un valore completamente differente.
Sotto questo aspetto, la società romana, sebbene non facesse differenze razziali fra gli uomini, era estremamente classista.
Si trattava di un mondo dove la vita di uno schiavo veniva normalmente considerata inferiore rispetto a quella di un cittadino, o dove una popolazione germanica con un basso grado di civilizzazione era accomunata facilmente ad un branco di animali selvaggi.
E’ chiaro dunque che la guerra romana poneva sulle spalle del soldato un carico “morale” e un “senso di colpa” di gran lunga inferiore rispetto al concetto che abbiamo oggi.
Il legionario che avesse trucidato intere famiglie nell’ambito di un saccheggio non sarebbe stato tacciato da nessuno dei suoi contemporanei di “cattiveria”, eccetto condizioni estreme o in situazioni di ingiustificata spietatezza.
Sotto questo profilo, dunque, la società romana non contribuiva in maniera particolare allo sviluppo di stress post-traumatici nei soldati.
La filosofia personale
Un terzo elemento che influisce sul possibile sviluppo del disturbo è la propria psicologia e filosofia personale.
Una persona che considera la violenza come parte della natura e che crede fermamente nella “legge del più forte”, avrà ovviamente meno problemi rispetto ad una persona convinta che l’essere umano debba migliorare e lavorare nel costruire una società più giusta ed equa.
Ora, il metodo di selezione e di addestramento del legionario romano era particolarmente duro. L’aspirante legionario doveva avere una serie di caratteristiche ben precise, che venivano poi sviluppate e rafforzate nel corso di parecchi mesi.
Nessuna persona con una filosofia rivolta alla pace o alla pacifica convivenza poteva entrare nell’esercito Romano. Tutti gli uomini che si schieravano per le file di Roma erano evidentemente inclini e avvezzi alla guerra e non mostravano certamente particolari scrupoli ad affrontare un avversario.
Per questo motivo, l’altissimo livello di selezione e di professionismo che si riscontrava nelle legioni garantiva che ogni uomo non sarebbe stato incline allo sviluppo di sensi di colpa e di moralismi incompatibili con azioni di guerra.
Le fonti antiche
Un altro elemento fondamentale è la presenza di fonti antiche che possano raccontarci di legionari impazziti o con importanti disturbi.
Abbiamo alcune testimonianze: ad esempio, il medico romano Celso, ci parla di una malattia che chiamava “pazzia senza febbre”.
Il paziente soffriva di insonnia, irritabilità, improvvisi attacchi di paura o di aggressività che egli curava con delle erbe che si riteneva potessero aiutare il sistema nervoso.
Ci viene riferito invece da Plutarco lo stato di ansia, che era sfociato nell’alcolismo, del generale Caio Mario, che verso il termine della sua vita aveva certamente accumulato una grande quantità di stress da guerra e memoria di situazioni altamente pericolose.
Un terzo indizio ci viene dalla lapide del Centurione Ulpio Optato: nella prima parte dell’iscrizione funebre si ricorda la sua carriera militare e la sua efficienza come soldato, mentre nella seconda si cita una serie di attacchi di rabbia improvvisi che avevano compromesso la sua vita quotidiana.
Appiano ci parla di Cestio Macedonico: si trattava di un soldato che durante l’assedio di Perugia del 40 avanti Cristo si chiuse improvvisamente nella sua abitazione, dandogli fuoco e morendo egli stesso, senza un’apparente ragione.
Potrebbero essere questi indizi di disturbi post-traumatici da stress, ma quello che conta ai fini di una valutazione generale è che a fronte di 11 secoli di storia romana, e di una storiografia dedita al racconto di ogni aspetto della vita militare, troviamo comunque pochissimi riscontri di un disturbo così importante.
Il che potrebbe essere una conferma della scarsa presenza di situazioni simili presso l’esercito Romano.
Conclusioni
Nonostante un’analisi sia particolarmente difficile e ci si possa solamente fermare a delle ipotesi e a lontane interpretazioni, eseguendo un’analisi quanto più possibile accurata dei vari parametri, sembra che il disturbo post traumatico da stress non fosse così diffuso presso i legionari romani.
E se anche fosse stato presente, questo avrebbe avuto delle caratteristiche profondamente diverse rispetto alla malattia e alla patologia che osserviamo oggi.
Fonti
- Post Traumatic Stress Disorder and Acute Stress Disorder in the Roman Army: Lessons for Modern Armies, Valentine John Belfiglio, Texas Woman’s University
- CAESAR IN VIETNAM: DID ROMAN SOLDIERS SUFFER FROM POST-TRAUMATIC STRESS DISORDER? – https://www.cambridge.org/
- Onslaught: The Centurions II, Anthony Riches, Manchester University.