Costo della vita nel periodo classico: retribuzioni e lavoro a confronto nel mondo Greco-Romano

L’analisi dei salari nel mondo greco e romano offre un affascinante spaccato della realtà economica di Atene e Roma, città simbolo della civiltà antica, entrate nella storia non solo per la loro potenza politica e culturale, ma anche per la varietà delle professioni e dei compensi associati ad esse. Gli scavi archeologici e lo studio dei documenti, dalle iscrizioni agli archivi commerciali, hanno permesso di ricostruire con buona precisione il quadro delle retribuzioni corrisposte ai diversi gruppi sociali, rivelando quanto lo stipendio fosse legato non solo al mestiere, ma anche allo status, al genere e alla provenienza geografica.

Nel contesto di Atene, la remunerazione dei cittadini era regolata con attenzione, specie per chi era chiamato a svolgere incarichi pubblici o civici, come i magistrati e coloro che sedevano nell’assemblea. Verso il V secolo a.C., il cosiddetto “misthos”, una forma di indennità di presenza, rappresentava un modo per assicurarsi la partecipazione politica dei meno abbienti: a ciascun cittadino spettava una somma sufficiente a garantire un sostegno economico che permettesse di allontanarsi temporaneamente dal lavoro. Un operaio, in ambito edilizio o navale, poteva ricevere circa una dracma al giorno, cifra non trascurabile per l’epoca, che permetteva di mantenere una famiglia con una relativa dignità. Le donne, tuttavia, erano escluse dalla maggior parte delle attività retribuite e le loro entrate erano spesso circoscritte ai lavori domestici o all’artigianato tessile, con guadagni decisamente inferiori rispetto agli uomini.

A Roma il quadro si presenta più sfaccettato. Il salario giornaliero di un operaio comune — indicato da fonti come il “sesterzio” — oscillava spesso tra 3 e 4 sesterzi, cifra che permetteva di affrontare le spese quotidiane, ma che non offriva grandi margini di risparmio. I lavoratori qualificati, come muratori e artigiani, potevano aspirare a stipendi più alti, mentre i salari degli insegnanti, noti per il ruolo chiave nell’educazione dei giovani, restavano modesti, nonostante la responsabilità del loro compito. Nella società romana, il lavoro era profondamente segnato dalla presenza della schiavitù: molti schiavi non percepivano alcun compenso, ma talvolta, soprattutto nel caso dei “servi ad stipendium”, veniva loro riconosciuta una quota di guadagno, utile per pagare, col tempo, il riscatto della propria libertà.

Un elemento distintivo della remunerazione romana era la compensazione dei soldati. Nell’età repubblicana, la paga base del legionario si attestava su un livello sufficiente a garantire il sostentamento e il mantenimento dell’equipaggiamento: si parla di 900 sesterzi annui per il soldato semplice, cifra che veniva aumentata in caso di meriti o promozioni. Questa cifra subiva notevoli oscillazioni nel corso delle epoche, soprattutto per effetto della svalutazione monetaria, delle crisi agricole, e della decisione degli imperatori di aumentare le paghe per ingraziarsi l’esercito.

Il salario nell’Urbe era fortemente influenzato dal prezzo dei generi di prima necessità, come pane, olio e vino. Il costo di un pane poteva oscillare da 1 a 2 assi, quantitativo accessibile anche al lavoratore medio. Tuttavia, l’inflazione e le crisi, soprattutto nel III secolo d.C., ebbero un impatto drammatico sulla capacità di acquisto del denaro. Gli affitti delle case, per abitazioni modeste, si aggiravano intorno ai 30-40 sesterzi al mese, mentre l’accesso ai bagni pubblici e ad altri servizi rimaneva alla portata dei cittadini, almeno fino ai grandi mutamenti economici dell’età imperiale.

Atene offriva a giovani e magistrati la possibilità di partecipare all’attività politica attraverso una compensazione, che, secondo le testimonianze, raggiungeva le cinque dracme al mese, mentre a Roma le corporazioni organizzate fornivano protezione e stabilità ai lavoratori, favorendo un sistema salariale che anticipava alcuni aspetti moderni. La progressiva importanza delle associazioni di mestiere, le “collegia”, contribuì a regolare il lavoro e la distribuzione della ricchezza nel contesto urbano.

Non si può tralasciare il ruolo delle monete e della loro evoluzione: la diffusione del denaro sonante, dal bronzo al rame fino all’oro, mutò radicalmente i sistemi di pagamento. Le monete di valore, come il denario e l’aureo, venivano utilizzate per le transazioni di elevato importo, mentre le piccole spese quotidiane si affidavano al modesto sesterzio, la moneta di conto prediletta dai Romani.

L’intera struttura salariale era soggetta ai cambiamenti politici, alle guerre e alle leggi emesse dai grandi legislatori. Le riforme di Solone ad Atene e quelle dei vari imperatori romani miravano sia a stabilizzare il sistema economico che a prevenire le disuguaglianze più evidenti, ma le oscillazioni della valuta e le pressioni fiscali rendono il panorama dei salari nell’antichità un argomento di grande fascino e complessità per storici ed economisti.

La prospettiva odierna permette di cogliere come il valore del lavoro per Greci e Romani fosse modellato dalla struttura sociale, dalle esigenze della comunità e dalle dinamiche di potere. Le testimonianze sugli stipendi, dalla dracma ateniese al sesterzio romano, sono un prezioso indizio della vita quotidiana nel mondo antico, dove chi lavorava aveva davanti un ventaglio di possibilità e di limiti che riflettono le sfide di una società in costante movimento.