Come mangiavano i romani? I nostri antenati non erano solo soldati impegnati in guerre estenuanti, ma anche delle persone normali con i bisogni basilari di qualsiasi essere umano. E l’alimentazione rappresentava una delle loro caratteristiche più interessanti da conoscere.
Per comprendere come si nutrivano i romani in maniera completa è bene dividere il concetto in base alle disponibilità economiche categorizzando in poveri, benestanti e ricchi.
L’alimentazione del romano povero
Il cittadino romano povero, quello che apparteneva alla fascia debole della popolazione, seguiva un regime alimentare basato su verdura e legumi consumati in quantità davvero importante. E di qualsiasi tipologia: entrambi questi elementi consentivano ai cittadini meno abbienti di potersi sostentare in modo abbastanza completo senza spendere troppo.
Verdura e legumi erano così importanti per la popolazione romana più debole.
Altro elemento molto importante era il farro: in particolare nella prima parte della storia romana, questo cereale fa assolutamente da padrone all’interno dell’alimentazione degli abitanti: la zuppa di farro veniva mangiata quasi tutti i giorni.
E non solo: il farro veniva anche macinato per ottenere una farina da cui si ricavava della polenta, alla quale veniva poi aggiunto qualsiasi condimento disponibile, come piccoli residui di pesce, di carne o alimenti in grado di aggiungere sapore.
Alcuni cambiamenti arrivarono quando Roma iniziò a espandersi: con la conquista di nuovi territori come per esempio la Sicilia, conosciuta come il “granaio di Roma” assieme all’Egitto, il farro viene sostituito pian piano dal frumento.
Arrivarono addirittura a esservi tutta una serie di leggi “frumentarie” per distribuire il grano alla parte più bassa e più povera della popolazione con regolarità.
In questo modo diveniva possibile preparare il pane che, per quanto povero, era comunque di una qualità superiore rispetto a quello a base di farro. Un “pane rusticus”, nero e dal sapore non propriamente eccezionale che tuttavia serviva a variare l’alimentazione.
Ogni tanto gli appartenenti al ceto dei meno abbienti potevano permettersi qualche piccolo pezzo di carne di maiale o del pesce piccolo di seconda pescata, come le sardine o le acciughe.
Per il bere la scelta era abbastanza limitata: una bevanda composta di acqua e aceto o vino di scarsissima qualità, quasi inacidito, era il massimo a cui potevano aspirare, tra una colazione fatta di avanzi del giorno prima e l’occasionale buon pasto delle festività.
L’alimentazione del romano benestante
Come mangiava invece il benestante? Coloro che potevano contare su un’economia un pochino più florida, pur non essendo ancora ricchi, riuscivano ad ogni modo a permettersi degli sfizi maggiori rispetto alla fascia più povera della popolazione.
La struttura dei pasti era la stessa generalmente, ma caratterizzata da una qualità differente: per ciò che riguardava frutta e verdura il benestante poteva permettersi degli alimenti come le albicocche e le ciliegie che talvolta riusciva a coltivare e che altre volte trovava nel mercato.
Potendo spendere di più, poteva cibarsi di verdure più variegate e dal sapore più stuzzicante. E se il farro era comunque un alimento presente generalmente tra i romani, per ciò che riguardava il pane, questa fascia della popolazione poteva consumare un pane di farina bianca chiamato “pane secundus”, dal sapore più interessante e più raffinato perché la farina veniva macinata più volte.
Anche per ciò che riguarda il pesce e la carne il benestante poteva permettersi alimenti di qualità migliore: riusciva a mangiare spesso la carne non solo maiali ma anche manzo e coniglio godendo di gusti più piacevoli e prelibati grazie a una maggiore possibilità di scelta. Consumava pesci piccoli ma anche branzini: alimenti dalla struttura e dal sapore migliori.
Una delle differenze tra la classe povera e quella benestante in materia di alimentazione era la presenza di salse e condimenti che non fossero il miele. La salsa più utilizzata era il garum: un composto dal gusto forte che in pochi avrebbero il coraggio di mangiare al giorno d’oggi ma che era considerata una prelibatezza che veniva utilizzata dovunque ai tempi dei romani.
Una versione “antica” della più gustosa colatura di alici odierna: era infatti ricavata da interiora di pesce che venivano mescolate con un po’ di sale e messe ad essiccare al sole in grandi recipienti. In questo modo si otteneva una sostanza liquida o semiliquida – gelatinosa e molto forte dal punto di vista organolettico, che veniva abbinata a tutto, come accade oggi con la maionese.
Un altro condimento molto interessante era la muria: intestini e sangue del tonno messi a macerare finché non diventavano una salsa.
Per quanto sembri una cosa da nulla, questi composti erano in grado aiutare il ceto romano dei benestanti ad ampliare la propria dieta in materia di gusti. La bevanda più consumata era il vino, di migliore qualità, che poteva essere annacquato o addizionato con del miele per rendere il sapore più gradevole.
L’idromele rappresentava un’ottima alternativa al vino: un misto di acqua e miele fermentato, che veniva dato anche ai bambini.
L’alimentazione del romano ricco
Il romano ricco poteva mangiare ovviamente qualsiasi alimento consumato dalle due fasce di popolazione precedenti, a partire dal farro fino ad arrivare al garum, potendosi permettere però tutta una serie di alimenti dal gusto incredibile e dalla rarità, per i tempi, conclamata.
Un esempio? I funghi porcini: erano considerati una prelibatezza e valevano molto di più di quel che oggi può valere un tartufo.
Il pane ovviamente era un pane di prima qualità, composto con farine di frumento setacciate diverse volte fino a formare il “pane candidus”, dal sapore molto buono e più vicino in aspetto e qualità a quello attuale. Il ricco poteva permettersi carne tutti i giorni, scegliendo tra i tagli migliori di manzo o qualsiasi altro animale.
Stesso discorso valeva per il pesce: branzini e orate erano la consuetudine, ma anche anguille e storioni: pesci che nella maggior parte delle famiglie romane non abbienti era qualcosa che ci si poteva permettere dopo aver fatto sacrifici.
L’alimentazione dei romani ricchi era variegata per sapori, qualità e consistenza. Il vino portato in tavola era di altissimo pregio e non aveva bisogno di essere annacquato o condito con il miele: quest’ultimo veniva usato solo a discrezione del gusto della persona. Il più consumato nelle tavole dei più ricchi era il Falerno insieme a quelli provenienti da Sorrento.
I cibi, nelle case dei ricchi conquistavano anche una valenza coreografica e spesso venivano presentati ancora vivi agli ospiti prima di procedere con la cottura: i pasti di luculliana memoria ne sono un esempio.
Come si mangiava a Roma: i pasti
I pasti nell’antica Roma erano tre ed erano organizzati in un crescendo di quantità che partiva la mattina e si concludeva la sera.
La colazione era molto frugale e spesso basata sugli avanzi del giorno prima, il pranzo era si più completo ma sempre molto veloce: il vero pasto soddisfacente era servito alla sera dove al mangiare erano riservati attenzione, piacere e godimento. Ci si prendeva il proprio tempo e si mangiava con più calma, in compagnia della famiglia.
Di certo in quanto a gusto era particolare e risulterebbe insostenibile per molti palati attuali, ma nella sua composizione, l’alimentazione romana era da considerare sana, in un certo senso, grazie alla quasi totale mancanza di zuccheri al suo interno.