La battaglia di Gaugamela, avvenuta nel 331 a.C, è stato il più grande trionfo di Alessandro Magno, che sul campo, grazie ad una tattica innovativa e spericolata, ha battuto il re persiano Dario III.
Dopo le prime vittorie e la conquista della regione costiera della Fenicia e dell’Egitto, Alessandro Magno attaccò il cuore dell’Impero Persiano arrivando allo scontro diretto con Dario III presso la cittadina di Gaugamela.
Pur in netta inferiorità numerica, grazie ad una saggia disposizione dei suoi uomini e ad un attacco diretto contro l’avversario, Alessandro Magno vinse lo scontro, conquistando tutta la parte occidentale dell’Impero Persiano.
L’invasione di Alessandro della Persia e le trattative con Dario III
Dopo essere dilagato nei Balcani, Alessandro Magno aveva avviato una conquista su vasta scala, battendo uno dopo l’altro i generali nemici.
La prima grande vittoria si era verificata nella battaglia del fiume Granico (334 a.C), dove Alessandro aveva sconfitto i satrapi persiani, dimostrandosi un condottiero straordinariamente capace e dotato.
Il secondo grande appuntamento si era verificato l’anno dopo, nel 333 a.C, presso la città di Isso, alle porte dell’Asia minore, dove Alessandro Magno aveva sfidato il re persiano Dario III in persona: con una straordinaria carica di cavalleria, guidata personalmente, Alessandro aveva provocato il collasso del suo avversario e umiliato i Persiani.
Dopo questa vittoria, Alessandro pareva inarrestabile: in pochi mesi, il generale macedone aveva conquistato tutta la fascia costiera della Fenicia, ottenendo la capitolazione di una città dopo l’altra, fino a conquistare Tiro, l’antica capitale dei Fenici.
Alessandro si era spinto fino in Egitto, dove si era fatto proclamare faraone.
Al termine di questa prima fase di conquista, costellata da vittorie, il generale macedone decise di muoversi verso l’interno per completare la conquista della Persia.
Secondo diverse fonti, è in questa fase del conflitto che Dario III cercò di ottenere la pace tramite la diplomazia. Sono stati riportati sostanzialmente tre tentativi di mediazione: nel primo, proprio all’indomani della battaglia di Isso, Dario III avrebbe offerto ad Alessandro, tramite i suoi emissari, un cospicuo riscatto per i prigionieri che era riuscito a catturare, chiedendogli di ritirarsi dalle sue zone e di ritornare in Macedonia.
Alessandro, all’indomani di una grande vittoria, rifiutò sdegnosamente.
Nel secondo tentativo, Dario cercò di convincere l’avversario tramite condizioni più vantaggiose: egli propose il matrimonio con una delle sue figlie e si dimostrò disposto a cedere una parte del suo regno, probabilmente tutte le zone ad ovest del fiume Halys, sperando di calmare così l’ambizione dell’avversario.
Ma ancora una volta, Alessandro Magno declinò l’invito di Dario III, deciso a proseguire la conquista dell’Impero Persiano.
Il terzo ed ultimo tentativo fu, per la sua estrema generosità, il più pericoloso per il proseguio della campagna: Dario III offrì ad Alessandro tutti i territori ad ovest del fiume Eufrate, il co-governo dell’intero impero achemenide, e rinnovò la proposta di sposare una delle sue figlie. Infine, la proposta di Dario III contemplava il pagamento di 30.000 talenti d’argento.
Le offerte di Dario III furono questa volta talmente invitanti da portare uno dei suoi generali, Parmenione, a prendere in seria considerazione l’ipotesi di accettare.
Secondo le fonti antiche, Parmenione avrebbe detto testualmente: “Se fossi Alessandro, accetterei”. E Alessandro avrebbe risposto: “Anch’io accetterei, se fossi Parmenione“.
Alcune fonti riferiscono che in occasione di questa terza offerta, Alessandro abbia contraffatto le lettere inviate da Dario III, modificandone il contenuto e il tono per renderle inaccettabili ai suoi generali e per essere sicuro che non avrebbe subito ulteriori pressioni per accettarle.
Fu così che la campagna di conquista dell’Impero Persiano da parte di Alessandro Magno proseguì senza intoppi.
Il superamento dell’Eufrate e del Tigri
Alessandro attraversò con poche difficoltà il fiume Eufrate.
Alchè si presentò per lui una scelta importante, che riguardava la direzione da imboccare: Alessandro avrebbe potuto guidare il suo esercito direttamente a sud contro la città di Babilonia, oppure scegliere un percorso più articolato, che prevedeva prima di salire a settentrione per poi costeggiare e superare delle alture e scendere successivamente verso la capitale persiana.
Il primo percorso, più diretto, era certamente più breve ma anche più difficile per i suoi soldati: il caldo micidiale che caretterizzava il territorio avrebbe messo alla prova i suoi. Inoltre, il terreno piuttosto brullo avrebbe complicato il rifornimento di cibo.
La seconda via, sebbene più lunga, sarebbe stata però più praticabile. Alessandro scelse il secondo percorso, facendo incamminare il proprio esercito verso il fiume Tigri.
Gli storici hanno notevolmente dibattuto sulla scelta di Alessandro e sul comportamento di Dario III. Secondo alcuni, il re persiano avrebbe dovuto osteggiare maggiormente il percorso del nemico, mentre secondo altri il suo comportamento fu saggio, dal momento che, lasciando che il macedone imboccasse la strada più lunga, ottenne tempo prezioso per organizzare il suo esercito.
L’unico ad opporre una certa pressione ad Alessandro fu uno dei satrapi di Dario, Mazeo. Egli fece uso della tecnica della terra bruciata, dando fuoco ai raccolti e alle città da cui i macedoni potevano rifornirsi.
Effettivamente, l’esercito di Alessandro si trovò in difficoltà, soprattutto per l’approvvigionamento.
Altro elemento sorprendente: nessun esercito si presentò per cercare di ostacolare il superamento del fiume Tigri. Anche qui, gli storici cercano di interpretare le mosse persiane.
L’ipotesi più accreditata è che i Persiani non ritenevano Alessandro in grado di guadarlo facilmente a causa delle forti correnti, e qualsiasi iniziativa per fermarne il percorso sarebbe stata presa in contropiede.
Comunque sia andata, Alessandro sorprese tutti e riuscì a presentarsi sulla sponda orientale del Tigri con pochissima difficoltà e con un esercito sostanzialmente intatto.
Fu proprio in questa fase della campagna che si sarebbe verificata un’eclissi totale di luna, che avrebbe sorpreso l’esercito di Alessandro mentre era in cammino.
Alessandro interrogò immediatamente il suo indovino preferito, Aristandro, il quale diede un’interpretazione positiva del segno celeste. Il condottiero macedone compì immediatamente sacrifici agli dei del cielo e della terra e proseguì fiducioso la campagna.
Mentre l’esercito macedone era intento a marciare sulla sponda orientale del fiume, proseguendo verso sud, una delle sue avanguardie, composta da cavalleria, si incontrò fortuitamente con unità di esplorazione persiane. Ne nacque subito uno scontro furibondo, dove i macedoni ebbero quasi subito la meglio.
I soldati persiani catturati e costretti a confessare riferirono che il loro re stava preparando un enorme esercito nei pressi della città di Gaugamela.
Nei quattro giorni successivi, le avanguardie macedoni continuarono a battere il territorio, utilizzando le informazioni estorte ai prigionieri: l’obiettivo principale era quello di comprendere la quantità di soldati a disposizione di Dario III e le unità di cui disponeva.
Alcune spie macedoni si resero rapidamente conto che l’esercito di Dario era straordinariamente superiore in numero e ritornarono all’accampamento preoccupati, innescando un consiglio di guerra carico di tensione.
Il generale Parmenione, quasi un vice di Alessandro, suggerì di eseguire un attacco notturno per cogliere il nemico di sorpresa e ridurre il numero dei soldati a sua disposizione. Alessandro però avrebbe risposto: “Non ruberò la vittoria: voglio vincere il mio avversario sul campo”, confermando la sua indole guerriera e il suo proposito di vincere Dario III in un combattimento leale.
I due eserciti si incontrarono qualche giorno dopo presso la città di Gaugamela, un territorio favorevole all’esercito di Dario.
La battaglia di Gaugamela: la disposizione dei persiani
Dario poteva contare su un esercito che andava dai 100 ai 150.000 soldati, di cui 56.000 fanti, 35.000 cavalieri, 200 carri falcati e quindici elefanti.
Inoltre, il terreno era particolarmente favorevole alle manovre della sua cavalleria, anche perchè il sovrano aveva fatto sgomberare il campo da arbusti e massi che potessero intralciare la corsa dei suoi carri.
Dario si posizionò al centro dello schieramento, com’era abitudine per i sovrani persiani. Alla sua destra e alla sua sinistra si trovavano le unità di immortali, le guardie del re, pronte a difenderlo con la vita. In una seconda linea davanti a lui, delle eterogenee unità di soldati: i cavalieri Carii, provenienti dalla Caria, una regione dell’Anatolia occidentale, dei mercenari greci e delle guardie persiane a cavallo.
In una terza fila, sempre davanti a Dario, venne disposta la cavalleria indiana. Questo costituiva il centro dell’esercito persiano.
Immediatamente sulla destra, due unità di fanteria del Caucaso: si trattava di soldati di fanteria ben addestrati ed equipaggiati, che costituivano una sorta di cerniera di collegamento tra il centro e l’ala destra dell’esercito di Dario.
L’ala destra era composta da cavalieri Medi, Parti e Siriani direttamente ai comandi del satrapo Mazeo. Davanti a loro, due ulteriori unità di cavalleria d’avanguardia composte da cappadoci e armeni.
Sull’ala sinistra, un altro contingente di cavalleria guidato dal satrapo Besso: si trattava di cavalieri Sciiti, Battriani e Persiani.
Di fronte a tutta la grande disposizione di Dario III vennero posizionate quattro unità speciali: un gruppo di carri falcati della Scizia posizionati davanti alla fanteria caucasica, altre due unità simili davanti alla cavalleria indiana e un’altra ancora che stazionava davanti ai mercenari greci, quelli più vicini a Besso.
Infine, davanti alla cavalleria indiana e fra le due unità di carri, i 15 elefanti.
La battaglia di Gaugamela: la disposizione di Alessandro
Alessandro si trovava in netta inferiorità numerica: il suo esercito contava al massimo 40.000 fanti e poco più di 7.000 cavalieri. Il condottiero macedone doveva quindi economizzare lo spazio e puntare tutto sulla tattica.
Egli decise di schierare al centro la falange macedone. Lui stesso si posizionò sull’ala destra, accompagnato sia dagli Etèri, cavalieri che costituivano la sua guardia personale, sia da altre quattro unità di cavalleria leggera.
Tra la falange centrale e l’ala di cavalleria di Alessandro furono disposti gli Ipaspisti, dei soldati di fanteria pesante.
Sulla sinistra, subito a fianco della falange, un’altra unità di cavalleria e infine, a costituire l’ala sinistra vera e propria, altre quattro unità di cavalleria, al comando di Parmenione.
Dalla disposizione macedone si evinceva subito la volontà di compensare l’inferiorità numerica. L’esercito di Dario si estendeva per ben 4 km, mentre quello di Alessandro era lungo esattamente la metà.
Dal momento che l’accerchiamento era un pericolo molto più che reale, le due cavallerie di Alessandro furono disposte a riga sfalsata, ovvero leggermente oblique, proprio per cercare di prevenire movimenti nemici sui fianchi. Inoltre, nel retro dell’esercito, Alessandro posizionò una seconda falange di riserva, da impiegare contro eventuali contingenti persiani che fossero giunti alle spalle.
La battaglia di Gaugamela: le mosse iniziali
Alessandro diede ordine alla falange centrale di muovere contro il nemico. I falangiti macedoni iniziarono quindi la loro marcia, ma il loro cammino era leggermente inclinato verso destra di 45 gradi, sia per confondere l’avversario sia per portare l’esercito di Dario in un territorio non più adatto all’utilizzo dei suoi carri.
Tutto era concepito per costringere Dario ad attaccare.
Dario diede quindi ordine agli elefanti e ai carri di caricare la falange. Ma questa, adeguatamente istruita da Alessandro, aveva elaborato un metodo innovativo per neutralizzare queste pericolose unità.
Mentre i carri e gli elefanti si avvicinavano, alcune porzioni della falange iniziarono a retrocedere volontariamente, creando dei buchi all’interno dello schieramento. Sia i cavalli che gli elefanti, piuttosto che attaccare un muro di lance, preferirono naturalmente inserirsi all’interno di questi spazi.
Una volta attirate in trappola, le unità che avevano indietreggiato eseguirono una controcarica, appoggiate da lancio di frecce e giavellotti. Intrappolati in questi varchi, sia i carri che gli elefanti vennero completamente circondati.
In questo modo Alessandro aveva trovato il metodo più efficace per disinnescare una delle armi più pericolose dell’esercito persiano.
Nel frattempo Alessandro decise di spostarsi verso destra con tutta la sua cavalleria. Il suo obiettivo era costringere il suo diretto avversario, Besso, a staccarsi dal centro dell’esercito di Dario per inoltrarsi in un territorio poco adatto alle sue unità.
Le mosse per Besso erano obbligate: non potendo permettere ad Alessandro di caricarlo sul fianco, fu costretto, proprio come voleva il nemico, a staccarsi da Dario e ad avventurarsi sempre più sulla destra. Arrivato al confine del terreno preparato prima dello scontro, Besso diede ordine ai suoi soldati di attaccare. Egli contava nuovamente sulla superiorità numerica: così Besso ed Alessandro vennero allo scontro diretto.
Sulla sinistra, la cavalleria guidata da Mazeo caricò quella avversaria: nuovamente in inferiorià numerica, la situazione di Parmenione si dimostrò da subito particolarmente complessa.
La mossa geniale di Alessandro
La situazione era in bilico: la parte centrale dell’esercito macedone era riuscita a resistere all’attacco persiano e Alessandro aveva spinto Besso esattamente dove voleva. Ma la cavalleria del macedone era pur sempre in grande inferiorità numerica e anche sulla sinistra Parmenione appariva sempre più in difficoltà.
La svolta si verificò nella parte centrale dell’esercito.
La cavalleria indiana decise di attaccare la falange centrale: i cavalieri, dopo una prima carica, videro che le sarisse avversarie erano troppo pericolose per i loro cavalli e decisero di tornare parzialmente indietro.
Alchè, la fanteria caucasica caricò la falange, sostituendosi alla cavalleria indiana, che si limitò a rimanere immediatamente dietro.
Questo movimento nella parte centrale dell’esercito impegnò tuttavia la quota principale delle forze di Dario III. Alessandro, finalmente, individuò la vulnerabilità nell’esercito avversario che cercava da tempo.
Il contingente centrale che difendeva Dario, infatti, era rimasto completamente scoperto.
Alessandro diede ordine alla parte della falange centrale che non era impegnata contro la fanteria caucasica di attaccare la guardia speciale di Dario III. Lui stesso, sottraendo cavalieri allo scontro con Besso, caricò personalmente il re avversario, contando sul fatto che, preso dal panico, avrebbe abbandonato il campo e provocato il collasso del suo contingente.
La falange e Alessandro attaccarono Dario III, che si ritrovò rapidamente circondato. Gli immortali lo difesero a costo della vita, ma parve chiaro che la mossa di Alessandro era stata imprevista e devastante.
Secondo alcune fonti, gli immortali dissero a Dario III di “prepararsi a sfoderare la spada” per difendersi personalmente.
A questo punto non siamo certi di cosa sia successo. Secondo alcuni, Dario III si sarebbe spaventato e avrebbe deciso di abbandonare il campo di battaglia per non perdere la vita; secondo altri, furono i suoi soldati a tradirlo e a decidere di allontanarsi.
Comunque sia andata, Dario III con i suoi fedelissimi si allontanò dal campo. In questo modo, anche la falange di riserva, anziché essere impiegata contro Alessandro, preferì abbandonare lo scontro.
Il resto dell’esercito persiano venne disarticolato di conseguenza.
La parte di fanteria caucasica ancora impegnata contro la falange macedone, vedendo il ritiro dei loro, decise di lasciare il campo. Anche Besso, nonostante il vantaggio sui residui della cavalleria macedone, si allontanò.
Alessandro, chiaro vincitore era intenzionato ad inseguire Dario III per catturarlo.
Il suo proposito venne però fermato dal richiamo disperato di Parmenione, che attraverso alcuni messaggeri, fece sapere ad Alessandro che era sul punto di essere completamente annientato con i suoi soldati.
Con enorme disappunto, Alessandro fu costretto ad interrompere l’inseguimento di Dario e ad attaccare alle spalle la cavalleria di Mazeo.
Allo stesso modo, un contingente di cavalleria indiana, che era riuscito a bucare la falange macedone, aveva raggiunto il fondo del campo di battaglia e aveva attaccato l’accampamento per saccheggiarlo.
Delle rimanenti unità di Alessandro, benché con significative perdite, attaccarono la cavalleria indiana e la misero in fuga.
Le conseguenze della battaglia e la morte di Dario III
Alessandro Magno aveva vinto la battaglia di Gaugamela, superando il grande numero dell’esercito avversario con una capacità tattica straordinaria e con un movimento totalmente imprevisto che aveva fatto breccia nel morale del nemico.
Le conseguenze della battaglia di Gaugamela si possono riassumere nel completo collasso dell’Impero Persiano.
Questo era ormai diviso tra la parte occidentale, nelle mani di Alessandro, e quella orientale, difesa da Dario III. Alessandro si mise immediatamente all’inseguimento di Dario, ancora intenzionato a catturarlo personalmente.
Dario III avrebbe voluto muoversi ancora più verso Oriente, in un terreno sempre più difficile per l’esercito macedone. Forse, per organizzare un nuovo contingente da opporre all’avversario.
Tuttavia, i generali di Dario III avevano completamente perso fiducia nelle sue capacità. In particolare, Besso e un altro consigliere persiano di nome Nabarzane, organizzarono un colpo di stato per detronizzarlo.
Nonostante questi fu avvisato per tempo delle trame contro di lui, Dario sapeva che il suo destino era segnato. Besso e Nabarzane lo arrestarono e incatenarono ad un carro trainato da buoi trascinandolo per chilometri.
Dario III morì nell’ignominia e nella vergogna.
Gli storici fanno coincidere spesso la morte di Dario III con la fine dell’Impero Persiano e del glorioso regno Achemenide.